La festa è riuscita!

IMG_3917Cari amici dei Centri missionari dell’Emilia Romagna,

“Missione in Festa” è riuscita!

Una giornata bella, grazie al Cielo (quello con la maiuscola e quello con la minuscola) e grazie a voi tutti che avete partecipato. La gioia di ritrovarsi, salutarsi, abbracciarsi e scambiarsi notizie ed emozioni, sentendosi una cosa sola, è stata il primo ingrediente della Festa.

Eravamo tanti? Eravamo pochi? Avremmo certo potuto essere di più, ma la partecipazione è stata buona: da Rimini, Reggio Emilia, Modena, Faenza, Bologna, Piacenza e dagli altri Centri missionari della Regione sono venute circa 400 persone, giovani per lo più… Don Fortunato ha salutato i presenti invitandoli ad alzarsi, Diocesi per Diocesi, e anche quando erano due o tre a levarsi in piedi, l’accoglienza si manifestava in un applauso corale.

Beato comunque chi c’era, perché ci siamo sicuramente arricchiti. Ad arricchirci è stata soprattutto la Tavola Rotonda del mattino. I quattro testimoni, venuti da diversi mondi, ci hanno entusiasmato, nel senso etimologico del termine: ci hanno messo dentro la luce di Dio e la forza della missione cui Lui ci chiama.

Il primo a salutarci è stato mons. Lino Pizzi, vescovo di Forlì e incaricato per la cooperazione missionaria tra le Chiese dalla Conferenza Episcopale dell’ER. La sua presenza è sempre puntuale, discreta, fraterna.

È seguito il saluto di Don Aldo Fonti, direttore del CMD di Rimini, a nome della Diocesi ospitante e dello stesso Centro missionario che lui dirige e che si è speso tanto per questo appuntamento. Don Aldo, già Fidei donum e America Latina e Direttore del CUM per alcuni anni, è un innamorato della missione e vuole veramente, con papa Francesco, che tutta la Chiesa diventi missionaria. Ha presentato questa Giornata come appropriata apertura di una “missione diocesana” che a Rimini si prolungherà per circa un anno.

Abbiamo continuato con la recita dell’Ora Terza, un momento di preghiera raccolta, accompagnata dai canti dei giovani di Modena.

Poi la moderatrice – dott.ssa Ilaria De Bonis – ha aperto la Tavola Rotonda chiamando per primo sul palco p. Alejandro Moreno, salesiano di origine spagnola, missionario in Venezuela da più di cinquant’anni (ne ha 81!). Egli ha affrontato il tema generale della Giornata – USCIRE, INCONTRARSI, ABITARE IL MONDO – partendo dalla sua esperienza nelle periferie di Caracas. Ha sostenuto che non esistono né “centri” né “periferie”. Occorre abbandonare l’idea e gli atteggiamenti di un Occidente centro del mondo e degli altri continenti come periferie. Ogni cultura è un mondo a sé: la cultura, infatti, non è esterna alla persona, un abito o una vernice, ma è la sua vita, il suo essere. Ha portato due esempi illuminanti, ricavati da una ricerca dell’Università di Caracas, in cui il Padre è stato docente. Nella tradizione cristiana è normale dare a Dio il nome di Padre, a partire dal “Padre nostro” insegnatoci da Gesù. Ma nelle periferie di Caracas padre è colui che non c’è, colui che abbandona, colui che tradisce. Come parlare di Dio in questo contesto culturale? Altro esempio: secondo la ricerca, una congregazione di suore, nata in Spagna, ma che ora ha un numero preminente di venezuelane, sono in realtà due congregazioni! Per le proteste delle interessate (“Abbiamo la stessa origine, le stesse regole, gli stessi fini”), s’è scritto che c’è una congregazione con due diverse modalità di vita e di missione. Ma non è vero: sono proprie due congregazioni diverse. L’amore può unirle, così come l’Amore fa di tante chiese l’unica Chiesa di Gesù Cristo.

È stata poi la volta di fra Ignazio De Francesco, monaco della Piccola Famiglia dell’Annunziata (dossettiano), che per anni è vissuto in Giordania, studiando teologia islamica nell’università di Amman insieme a tanti giovani, per il 90{445b7cea0c61809f4ff042dd7d3982d5e6e190b695a23ff0dabd40f71b148ec9} musulmani. Ora in Italia svolge una missione nel carcere di Bologna, incontrando i carcerati musulmani. Ha sviluppato il tema del dialogo interreligioso. Con una serie divertente di gesti e immagini ha mostrato che il dialogo interreligioso non è un “minestrone” dove tutte le verdure si riducono a un “passato liquido”, ma un mosaico, dove ogni tessera conserva il suo colore, la sua forma, la sua funzione e contribuisce con tutte le altre a comporre un disegno. L’insieme del disegno dobbiamo affidarlo a Dio e vederlo alla luce della fede nel mistero del Verbo, per il quale “tutto è stato fatto” e senza il quale “nulla è stato fatto di ciò che esiste”. Chiamato a parlare della sua esperienza tra i carcerati musulmani, ha raccontato che egli legge con loro i testi sacri del Corano o della tradizione islamica: riscoprendoli, essi spesso ritrovano la loro identità e la loro dignità di persone.

La parola è poi stata data a Maria Soave Buscemi, da vent’anni missionaria Fidei donum in Brasile, educatrice popolare, animatrice e studiosa di lettura popolare e “al femminile” della Bibbia. Ci ha aperto gli orizzonti di un’ecologia integrale, che abbraccia le persone e le cose. “Nessuno – ha detto – è tanto povero da non avere niente da dare e nessuno è tanto ricco da non avere niente da ricevere”. Ognuno di noi è “nell’altro da sé”, persona, animale, minerale, stella e Dio! Dobbiamo tutto comporre nell’armonia sinfonica del “pluriverso”. In Gesù crocifisso ogni cosa muore per l’altro da sé e in Gesù Risorto tutto diventa una Vita sola, quella in cui Dio “è tutto in tutti”. L’ecologia non è una pratica, ma una spiritualità che comporta per ogni cosa l’amore e la cura con cui Dio la crea e la unisce a sé, per formare quell’Uno, di cui ciascuno è parte.

Infine, Filomeno Lopes, della Guinea Bissau, studioso di filosofia, di costumi e di musica africani, attualmente giornalista di Radio Vaticana, ha “sollevato” l’assemblea facendola letteralmente alzare in piedi e cantare in coro, come si usa in Africa (ballare non si poteva!), uno sfottò sui bianchi e sui neri, sugli immigrati “terroristi”…, per poi però farci considerare che l’Africa è il continente della Vita e la Vita non è mia o tua, la Vita è un “noi” che comprende le persone, la natura e Dio. Ha richiamato il detto della Guinea Bissau: “Io sono tutte le cose e tutte le cose sono me”, citando poi il versetto del Salmo: “Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome” (Sl 147,4). Chiamare per nome, nella Bibbia, significa dare una missione. Ogni persona, ogni cosa è creata per una missione e questa missione la mette a servizio di tutte le altre persone e cose.

 

Colmi di questa ricchezza, verso le ore 13 moviamo in corteo dalla Sala Manzoni, in via IV novembre – presso la Curia vescovile di Rimini – verso la grande Scuola delle Maestre Pie dell’Addolorata, dove ci sarà servito il pranzo e trascorreremo tre ore del pomeriggio. Ci accompagna il coro CARI di Rimini perché vogliamo che anche la città partecipi un po’ alla nostra esultanza.

Il pranzo è molto sobrio e preso insieme, in letizia. Infatti, possiamo nutrirci di ben altre cose. Nel cortile della scuola sono allestiti tanti banchetti in cui diversi organismi missionari delle nostre chiese evidenziano i loro messaggi, vendono le loro stampe o mostrano oggetti di artigianato dell’Africa e di altre regioni della terra.

Finito il pranzo, ci distribuiamo tra diverse “offerte”: nelle sale della Scuola ci sono “testimonianze vive” di missione in Italia o nel mondo, la presentazione di libri dell’Editrice Missionaria Italiana, i video che fotografano realtà drammatiche di inquinamento o di guerra, in Italia, in Brasile, a Gaza… Tre grandi mostre, poi, raccontano il “martirio della carità” in situazioni e personaggi diversi: la missione di Rimini in Albania, la vita di don Oreste Benzi – che a Rimini è “di casa”! – e quella di don Daniele Badiali, il prete di Faenza ucciso alcuni anni fa in Perù e la cui causa di beatificazione sembra procedere spedita.

Vorremmo vedere o ascoltare tutto, ma alle 16.00 dobbiamo muovere verso la cattedrale – il grande tempio malatestiano, noto a tutti i cultori di arte – dove il vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, presiederà la celebrazione eucaristica che chiude la Giornata. All’omelia, il Vescovo commenta il vangelo di questa domenica, che racconta l’episodio del cieco Bartimeo. Ogni missionario è un “cieco” che ha incontrato Gesù e ha sperimentato la sua salvezza. Questo è il presupposto di ogni chiamata alla missione: incontrare Gesù e non poter trattenere la gioia di ciò che Lui ci dona.

Al termine della celebrazione eucaristica viene distribuito a tutti un “ricordo” di questa Giornata: un piccolo nastro, come usa nei santuari dell’America Latina, in cui è incisa la frase programmatica: USCIRE, INCONTRARSI, ABITARE IL MONDO. È quello che dovremo fare ogni giorno, seguendo i ripetuti inviti di papa Francesco e il messaggio che oggi ci è stato così fortemente testimoniato e abbiamo così gioiosamente condiviso.

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un breve video per raccontare Missione in Festa