Lettera di Giacomo da Abéché – Ciad

Buon Natale, e buon Anno.
Natale, la festa dei bambini, la festa in cui facciamo memoria di un bambino che è entrato nella nostra Storia. Un Bambino che diventato adulto, poi, ha portato diverse idee, ha fatto diversi gesti… Ma a natale prima di tutto accogliamo un bambino!
Non accogliamo l’uomo che diventerà, ma accogliamo un bambino che nasce in una mangiatoia.
A natale ci viene chiesto di accogliere la fragilità di questo Dio, che si fa carne in un bambino. Ci viene chiesto di fare spazio, di essere accoglienza.
Ci viene chiesto di amare.
Questo amore che, ascoltando le voci di amici e fratelli, sta lasciando sempre più spazio alla paura. Ci viene chiesto di amare in maniera esigente, rinunciando a qualcosa di nostro per lasciare lo spazio all’altro. Ci viene chiesto di COMPROMETTERCI, di metterci la faccia. Ed è questa la cosa più difficile, prendersi la responsabilità di amare!
È intorno a un bambino che ci riscopriamo comunità… intorno alla fragilità! Mi ricordo del capitolo 18 di Matteo, in cui Gesù ci raccoglie intorno a un bambino, e ci sprona a ritornare bambini… Ed è così che ci scopriamo comunità solamente se siamo capaci di accogliere e mettere al centro la fragilità. Questa fragilità ci interpella a due livelli: il livello personale e il livello comunitario. Infatti prima di tutto occorre essere capaci di mettere la propria fragilità al centro! Saperla accogliere, saperla riconoscere, prendere confidenza con essa. Ogni natale ci provoca a fare questo, a indagare gli angoli più oscuri del nostro io, quegli angoli che non amiamo visitare, frequentare… ma è proprio grazie alla scoperta e all’accoglienza di questi angoli bui, che possiamo arrivare ad accogliere gli angoli bui degli altri, e che allo stesso tempo possiamo diventare davvero comunità, perché ognuno può completare le fragilità dell’altro. Fare esperienza di relazione con i fratelli e le sorelle a partire da queste fragilità è un’esperienza profondamente liberante, e che ci aiuta a diventare più UMANI!
Il secondo livello è quello comunitario! Siamo capaci, come comunità, di mettere al centro le persone più fragili? Ad interessarci a loro? A “sporcarci le mani” stando con loro? Oppure cadiamo nella facile tentazione della comunità dei “perfetti”, dove per essere ammessi occorre rispondere a determinate caratteristiche?
Sia ben chiaro, queste domande vogliono essere una provocazione, quella famosa spina nella carne di cui parla San Paolo (Cor 12, 7), e ci siamo tutti dentro. Sono domande e riflessioni che mi stanno accompagnando da qualche tempo, e mi stanno aiutando ad avere una visione molto diversa sul senso di comunità, anche se, ammetto, amo ancora fin troppo l’idea della comunità dei “perfetti”!

Ed ecco che qui in Ciad mi sono ritrovato, la domenica 23 dicembre, a N’Djamena, la capitale, e parto normalmente alla messa in una delle parrocchie. Tutto procede normalmente, fino alla fine della messa. Prima della benedizione il parroco prende la parola. Inizia a parlare delle visite che ha fatto ad alcuni fedeli della parrocchia con le persone della CARITAS. Sta di fatto che era rimasto molto colpito dalle condizioni di miseria e difficoltà che ha incontrato in alcune famiglie. Inizia a descrivere i diversi problemi e inizia a interrogare l’assemblea su cosa avremmo dovuto fare per aiutarli. Ed ecco che inizia la discussione e il confronto sul da farsi. In semplicità e naturalezza ecco come la fragilità è stata messa al centro da questa comunità. Alla fine, dopo un po’ di discussione, si è deciso di fare una questa speciale per aiutare queste famiglie in difficoltà. Ammetto che questo momento mi ha profondamente commosso. È stato un momento denso di emozione e di amore verso i nostri fratelli. È stata una vera e propria lezione di UMANITA’ che mi è stata offerta quella domenica.
Ecco allora che natale diventa l’occasione per riscoprirsi umani, riscoprirsi fratelli. Ed è un discorso che va oltre la religione. Io sono in missione qui per conto della chiesa cattolica, e quindi tutti gli esempi derivano da questa realtà. Ma ho la profonda sensazione che tutto questo vada oltre le barriere della religione. È un insegnamento a ciascuno di noi in quanto uomini e donne. Impariamo a riscoprire la nostra UMANITA’!
Un ragazzo l’altro giorno mi diceva: “per me la vita è avere qualcosa da mangiare, e poterlo condividere con gli amici”. Che profondità in una frase così semplice… mi ha spiazzato. Ma ha una profonda verità! Siamo sempre più in ricerca di cose complicate o alte per arrivare alla felicità, quando in realtà tutto quello che serve per essere felici è qualcosa di molto più semplice e banale. È lo stare! Il condividere! La relazione!
Queste persone mi stanno guidando, mi guidano verso la scoperta della semplicità dell’amore. Di come ciò che scaldi il cuore è il passare dei momenti insieme, anche in silenzio, anche annoiandosi perché l’altro è il tesoro che può rendere la mia vita ricca. Non è nel fare mille cose, nel riempirsi la giornata di impegni che troviamo la felicità. Io sono il primo che da sempre si riempie la giornata di cose da fare, di volontariato… Ed è vero che alla fine della giornata ti senti soddisfatto, senti che hai fatto qualcosa di UTILE, ma a lungo andare, se in questi servizi non c’è il tempo e lo spazio per la relazione, ci riscopriamo svuotati, senza energie e il cuore è freddo, siamo insoddisfatti. Quante volte mi sono ritrovato in questo stato d’animo!
Ma è qui che sto scoprendo di come il vero tempo che scalda il cuore, è quel tempo passato a non fare nulla di utile, insieme agli amici, scoprendo il mistero che è l’altro. Se ripenso agli ultimi anni a Modena, i momenti che più restano sono i momenti di relazione, di stare insieme! Quel “tempo perso” durante le pause delle giornate di studio con i compagni di corso, quel “tempo perso” prima e dopo la messa per scambiare due chiacchiere con qualche giovane africano che, fuori dalla chiesa, prova a trovare qualche cosa per dare da mangiare alla famiglia. Quel “tempo perso” per passeggiare con il Papà, o per giocare a carte con la Mamma, anche se il giorno dopo avevo un esame da preparare…
È questo “tempo perso” che si trasforma per magia in tempo donato! Prima di tutto donato a noi stessi! Tempo che scalda il cuore, che dà la gioia di vivere! Ed è in questo che trovo la più grande contraddizione con la mentalità che mi ha accompagnato fin da piccolo. L’essere utile! In particolare credo che il fatto di amare fin da piccolo le materie scientifiche abbia acuito questo aspetto! Mi ricordo ancora una discussione piuttosto accesa con un amico sulla poesia…
Ed è così che mi riscopro umano quando “perdo” perdo il mio tempo per qualcuno. Ho la testa piena di esempi per sostenere questa idea, ma credo che ognuno di voi abbia ben chiaro in testa qualche momento in cui qualcuno ha deciso di lasciare tutto quello che stava facendo per stare con voi, e di come questo scaldi il cuore. Bastano gesti semplici, ma restano ben impressi!
Davvero in questo Natale e per questo anno nuovo vi auguro di “perdere” un po’ del vostro tempo per scoprire le persone al vostro fianco. Un fratello, un genitore, un amica, un insegnante, un compagno di lavoro… Tutte le persone che abbiamo intorno a noi sono dei misteri e allo stesso tempo dei tesori per noi!
Per il resto qui in Ciad le fatiche degli studenti continuano! Gli scioperi si sono un po’ interrotti, ma la paura della ripresa degli scioperi da parte degli insegnanti (e quindi la chiusura di scuole e università, e perfino degli ospedali!) è sempre dietro l’angolo. Molti ragazzi con cui sto condividendo il mio tempo, stanno aspettando da un paio di anni di poter dare gli ultimi esami per poter terminare la triennale… il livello della scuola statale si sta abbassando sempre più, provocando sempre più problemi per ai giovani studenti, il cui livello di istruzione a volte è davvero troppo basso.
Sta iniziando anche la stagione calda, con i vari problemi legati all’acqua tipici di questa zona del Ciad.
Abbiamo anche salutate padre Filippo (padre comboniano italiano, che era qui ad Abéché da 4 anni) che ha preso la strada per rientrare in Italia dopo 9 anni di Ciad. Insomma ci sono molti cambiamenti qui ad Abéché, ma allo stesso tempo la comunità resta attiva e viva!
Vi abbraccio forte! Spesso penso a voi e a Modena con affetto! Vi auguro un buon 2019 e vi porto con me!
A presto! On est Ensemble!
Giacomo