Qualche pensiero da Caterina in Madagascar

con don Pietro Ganapini “storico” missionario reggiano

“Lo spessore del viaggio non lo fanno i chilometri che percorri o i luoghi che visiti, ma la gente che incontri” Alex Zappalà

«Mi sono messa in viaggio, ma non ho percorso così tante strade o visto tanti luoghi diversi. Sono rimasta in quelle poche vie dei villaggi in cui ho vissuto: prima ad Alarobia, poi ad Ampahimanga. Qualche strada, tante persone, altrettante storie. Di certo sono stati giorni pieni di novità e in alcuni momenti mi è sembrato di essere tornata bambina: emozionata per ogni cosa nuova. Come quando si vede per la prima volta il mare o la neve.  É stato uno scambio continuo di sguardi “meravigliati”. Io incuriosita dalla semplicità di questo popolo, loro pieni di voglia di conoscere un vazaha (straniero). Questa curiosità si é espressa in tanti modi: chi timido si nascondeva e mi osservava da lontano, chi più estroverso veniva a parlare con me e chi (tra i più piccoli) mi toccava e poi scappava via, come se volesse controllare che esistessi per davvero. Il gioco “tocca il vazaha e scappa” me lo ricorderò per sempre!
Tuttavia, la cosa che più mi piace è quando questa novità si trasforma in quotidianità. E allora l’altro diventa un amico. Tu non sei più un vazaha e lui non è più un malgascio. Diventi qualcuno per lui e lui diventa qualcuno per te. Tutto questo, in una semplicità che voglio tenere ben impressa in mente. Perché forse mi sento “a casa” proprio grazie a questa semplicità. Non tanto per la comodità della casa in sé, ma sicuramente grazie a chi ha deciso di fare un po’ di spazio a una vaza bianca e sbadata, che non ha nulla di particolarmente speciale (ma che sta diventando una grande impezzatrice per cercare di conoscere chi vive qui con me).
E allora c’è già in me un gran senso di gratitudine verso tutto questo, a partire dalle suore (davvero incredibili in questa accoglienza cosi calda) fino al bambino che scappa via.»

“Saro` felice di vedervi correre più forte di chi nella Chiesa é un po lento e timoroso” Papa Francesco

«Ho conosciuto per la prima volta Tefy e i ragazzi del Movimento Eukarestika, gruppo di animazione giovanile del distretto, pochi giorni dopo essere arrivata ad Alarobia. Quel giorno i ragazzi si sono riuniti da 24 parrocchie diverse e hanno percorso da 1 a 5 ore di cammino per arrivare in paese.
Io mi sono unita a loro e quando hanno iniziato a pregare, sono rimasta senza parole: hanno cantano tutti a squarciagola. Ho cercato di scovare qualcuno che non stesse cantano ma non ne ho trovato neanche uno. Chi mi conosce, sa che ho sempre una canzone in testa e canticchio di continuo… E cosi, mentre la Chiesa risuonava delle loro voci, io in silenzio ho pensato che non sarei potuta andare in un paese più adatto a me.
Verso sera poi, tutti hanno cominciato a stendere dei teloni in fondo alla chiesa, unico posto in grado di contenerli tutti, per prepararsi a dormire lì. Tornare a casa con il buio e tutte quelle ore di strada era infattibile. Per me è stato bellissimo vederli lì, con le torce e candele accese, seduti su quei materassi di paglia e pronti per passare la notte insieme come é capitato a volte anche a me con alcuni amici.
Ho sorriso decisamente meno quando li ho visti prendere l’acqua da grandi cisterne perché quel giorno qualcuno ha rubato una tubatura che rendeva possibile l’accesso all’acqua. Tutto il paese è rimasto senza e ogni giorno bisognava recuperarla dai villaggi vicini. Per fortuna, sono riusciti a sistemare il tubo a metà maggio, dopo quasi un mese. I giovani però erano tutti piuttosto determinati a prepararsi bene e insieme alla Pasqua perciò hanno continuato a trovarsi ad Alarobia quasi ogni settimana e io li ho rivisti tante volte.»

“Ma la voce più convincente, è spesso quella che ti dice meno” Niccolò Fabi

«Qualche giorno fa era una giornata no per me e stavo tornando a casa dopo aver lavorato la terra con le suore. Mi ha fermata Fefalina, una ragazza sordomuta di Ampahimanga, mi ha fatto un gesto che chiaramente indicava di voler giocare a basket con me. Sinceramente, ho pensato che non poteva esserci momento peggiore, oltre al fatto che il basket non è proprio il mio sport. Ho accettato. Dopo i primi cinque minuti non è stato difficile pensare che invece, non poteva scegliere momento migliore per trascinarmi con sé. Ha reso quella giornata intensa e bella. Mi ha raccontato un po’ della sua storia, non so bene come, tra gesti e cenni, ci siamo capite. Credo sia merito suo: la sua felicità lei non la tiene per sè. Ed io ammiro tanto la sua forza. Qui non c’è una scuola per sordomuti, quindi lei non ha mai frequentato nessun tipo di scuola. Non sa né leggere né scrivere, ma è travolgente ed estremamente generosa. Continua a trasmettermi tanto tutte le volte che la incontro e mi ricorda che anche quando ci manca “qualcosa” riusciamo a dare agli altri qualcos’altro, anche senza rendercene conto. Non so se si sia accorta che mi ha rivoluzionato la giornata. Forse il semplice incontro non sempre ci rende capaci di accorgerci che stiamo dando qualcosa all’altro. Allora credo sia importante anche far capire agli altri in cosa ci hanno aiutato, per renderli consapevoli del loro valore. Fefalina ne ha tanto.»