Il dono di una storia che continua

Medici missionari in città per raccontare come prosegue la storia di Luisa Guidotti Mistrali (1932-1979) e scoprire quanto sia attuale.

Neela stai tremando, hai freddo?” “No, I’m thrited”. Massimo è a braccetto con Neela e vicino a Sara tra le luci del Natale in centro a Modena. I loro sorrisi però sono più luminosi. Il passo è lento, quasi ad assaporare ogni istante. Lui riminese, loro indiane, generazioni diverse e luoghi lontani uniti da una storia partita da Modena. Dietro di loro sullo sfondo una giornata intensa di incontri con l’aiuto di tanti tra i mille impegni: alla mattina il Vescovo Don Erio, poi Francesco, responabile diocesano per le missioni, lungo i corridoi Mons. Gazzetti ed Elena della pastorale giovanile, nel pomeriggio ad UniMoRe con i medici, alla sera tra amici con Don Claudio in San Biagio.

Non poteva mancare la preghiera insieme a Luisa, unica donna, unico medico sepolta in Duomo.

Massimo è direttore del Luisa Guidotti Hospital in Zimbabwe: aveva 2 anni quanto Luisa è stata uccisa; dopo un viaggio estivo in missione, aveva capito quale fosse la sua strada ed ora è medico missionario delaa Diocesi di Rimini. Neela dall’India, grazie ad una borsa di studio, si era specializzata a Londa in ginecologia e, dopo aver conosciuto l’associazione di cui faceva parte Luisa, era partita per lo Zimbabwe, dove ha lavorato per 25 anni. Tra loro anche Sara ha lavorato per 25 anni in ospedale, ma in India ed ora è Presidente della medesima Associazione Sanitaria Internazionale: fondata, su invito di San Papa Paolo VI, ha cambiato nome per mantenere i visti per l’India. Sono rimaste in poche, Enza ed Aleyamma nella sede a Roma, altre in India e due in Zimbabwe al St. Albert Hospital, Julia come direttrice e Melania.

I medici missionari del terzo millennio hanno il pc, la chiavetta per immagini e dati ma l’energia e il sorriso restano di un altro mondo. Al Policlinico l’incontro per i medici specializzandi è stato organizzato da Ilaria, pediatra che era stata con il marito Antonio, chirugo, in viaggio di nozze in missione.

Dalle parole di Massimo, Sara e Neela il quadro della situazione in Zimbabwe è molto critica per carestia, siccità, inflazione ed emergenza sanitaria, ma anche ricca di progetti e collaborazioni. I medici governativi sono in sciopero da settembre per carenza di medicinali e stipendi miseri con un’inflazione del 300%: “come lavori senza guanti?!” Lo stipendio di 2500 $ rodesiani corrisponde a 150 $ statunitensi al mese. False invece sono le notizie di sanzioni internazionali contro il paese: sono in realtà contro singole persone che erano al potere, che cercano di strumentalizzare la situazione. I veri problemi sono altri. I cambiamenti climatici hanno portato prima il ciclone Idai e poi la siccità più grave degli ultimi 40 anni con le cascate Vittoria ai minimi storici e la diga del fiume Zambesi costretta a razionare l’energia elettrica: per molte ore al giorno gli ospedali dipendono da generatori. Circa la metà della popolazione non ha acqua e cibo a sufficienza.

Le missioni, per quanto possibile, cercano di mantenere i servizi al meglio: al Luisa Guidotti e al St Albert Hospital lavorano 3/4 medici locali in aiuto a Massimo e Julia, oltre ad infermieri “tutto fare” e ad una scuola di formazione. Nelle missioni non aderiscono allo sciopero, ricevono aiuti da amici ed associazioni e svolgono progetti in collaborazione con medici dall’Italia e dagli U.S.A per sessioni specialistiche, preziose esperienze sia per i medici locali sia i medici in viaggio. Usando le parole di Antonio, persino come chirugo, si impara che “basta molto meno”.

La collaborazione internazionale ha consentito anche la realizzazione di progetti innovativi. Massimo racconta dell’impianto di un’impresa di Rimini per la sterilizzazione di rifiuti ospedalieri con cui realizzare mattoncini e camminamenti. Al St. Albert invece hanno impianto di biogas e una piccola fattoria con terreni irrigati, un allevamento di galline e un impianto di potabilizzazione.

I racconti più toccanti però sono i piccoli e grandi miracoli che illuminano il loro sguardo. Per una bambina in fin di vita il viaggio verso l’Italia per un intervento al cuore è stato senza saturimetro: la sua mamma voleva partire, la teneva in braccio e se fosse morta avrebbe detto che stava dormendo. Per un giovane con una grave ernia non c’era tempo di arrivare all’ospedale centrale: bisognava studiare e agire, pur non avendo mai fatto quel tipo di intervento. La bambina e il ragazzo sono sopravvissuti con grande gioia, ma quale il segreto di tanto coraggio? Neela, Sara e Massimo hanno una risposta sola: oltre alla professionalità, la preghiera serve davvero per sapersi fidare del Padre, proprio come faceva Luisa, che con grande umiltà e umanità si lasciava guidare.

Sara aveva conosciuto Luisa mentre studiava a Roma “sapeva raccontare in un modo così speciale da viverlo e non vedevamo l’ora di poter partire”. Il ricordo è anche per la sua allieva Elisabeth Tarira (1951-2012): dopo aver studiato a Roma era divenuta coordinatrice di tutti gli ospedali missionari, iniziando sin dal 2001 al St Albert un importante programma di prevenzione alla trasmissione dell’HIV, poi esteso a tutto il paese. “L’educazione è fondamentale”, Neela spiega che per la prevenzione ospitano fino a 100 partorienti per uno o due mesi.

Al Luisa Guidotti Hospital ne sono rimaste 2 delle capanne di quando lei era arrivata nel 1969. Hanno voluto creare un luogo del ricordo e preghiera per lei, ma anche per John Bradburne, missionario e martire ucciso 2 mesi dopo Luisa, e per Marilena Pesaresi, medico riminese che dal 1983, finita la guerra di indipendenza, aveva ripreso i collegamenti con Italia. Per Luisa e John sono in corso le cause di beatificazione: in tanti arrivano nei giorni della memoria e in pellegrinaggio anche sul monte Matewua con un panorama indimenticabile al tramonto.

La giornata è finita e anche se le difficoltà sono tali da lasciarci disarmati, quanto può essere prezioso l’intreccio di vite nel tempo e i collegamenti diretti che abbiamo ora, grazie alle nuove tecnologie!? Massimo rivolgendosi ai giovani medici ha lasciato un augurio per loro come professionisti, ma prima ancora come persone, per la responsabilità della storia iniziata da una studentessa come loro, della loro stessa Università. Quella responsabilità non è anche nostra e delle nostre città, anche per le potenzialità in parallelo agli obiettivi dell’Agenda 2030 per superare crisi economica, sociale ed ambientale!? Forse basterebbe intrecciare un briciolo delle singole professionalità con spirito di servizio!? Il Papa ripete che “è tutto collegato” ed incoraggia ad un cammino di cambiamento.

In questo Santo Natale ci siamo scambiati emozioni e racconti, il filo di una matassa in un groviglio di impegni e difficoltà. In una staffetta contro il tempo, il testimone ricevuto rischia di perdersi ma fa tremare dall’emozione e c’era bisogno dell’aiuto dei piccoli. Grazie alle scuola Figlie di Gesù e ad un’impresa sensibile a questo cambiamento, abbiamo potuto ricambiare con un piccolo dono da donare: un biglietto con un disegno, le parole dei bimbi, insieme a quelle di San Giovanni Paolo II. Proprio da Modena nel 1988 invitava a camminare verso il vero progresso attraverso “la valorizzazione della dignità della persona in ogni stadio della sua esistenza” dalla vita nascente fino a quella che non avrà fine, e attraverso la solidarietà internazionale seguendo l’esempio di Luisa (http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1988/june/documents/hf_jp-ii_spe_19880603_cittadinanza-modena.html). Leggetelo e scoprirete quanto sia attuale.

A 50 anni da una foto in bianco e nero tra capanne e popolo shona, gli auguri sono a colori “con gli occhi dei bambini”!

Quel sorriso e coraggio ci siano da guida per riscoprire la gioia vera del Santo Natale, per un nuovo anno ricco di sincera amicizia in cui imparare e lasciarci stupire.

Grazie a voi per questa storia che continua!

Giorgia