2 domenica di Quaresima – commento di Maria Soave Buscemi

In questo tempo di quaresima, in questa seconda settimana, siamo chiamati e chiamate a dire sì, almeno per oggi, ogni giorno della vita, alla chiamata missionaria, alla chiamata della sequela di Gesù e del suo Vangelo.
Per questo, la prima lettura ci richiama alla chiamata di un patriarca (e poi di una matriarca e di più matriarche – insieme a Sara anche Agar), che è Abramo, dell’abbandonare tutto nella terra di Ur, e di mettersi in cammino verso una terra promessa, che non è solo terra, ma è la promessa di nuove relazioni, di una vita di condivisione, di una vita dove la vita (quella in abbondanza) abbia l’ultima parola.

Per questo la liturgia richiama nella prima lettura il padre Abramo, e nel Vangelo la trasfigurazione.
Gesù invita i suoi discepoli, quelli che nella tradizione sono i più vicini, ma sono anche quelli che hanno bisogno di un maggiore cammino di conversione, a salire sulla montagna. E lì il Signore Gesù si incontra con due persone molto presenti nella tradizione di fede d’Israele, e soprattutto sono due progetti di vita: Mosè ed Elia. Mosè, uomo della tribù di Levi, insieme a Miriam e ad Aronne. Mosè non è solo la persona a cui Dio ha rivelato la legge nella storia dell’Israele antico, ma è la tribù di Levi, insieme a sua sorella Miriam e a suo fratello Aronne, la tribù che anima il cammino di liberazione del popolo dalla schiavitù d’Egitto. È la tribù che, arrivata alla terra promessa, non riceverà terra. Sarà la tribù errante di tenda in tenda, perché l’unica eredità è il Signore. La tribù di Levi è la tribù che ci ricorda nei piedi, nel cammino, nell’errare, nel camminare insistentemente, che siamo gente di esodo, gente che ha fatto l’esperienza della Pasqua di liberazione, gente che cammina in un progetto di condivisione che è il progetto della Pasqua. Questo Mosè non è solo un nome di una persona, ma è proprio un “modo esodale” di stare al mondo, e la liturgia ci ricorda che dobbiamo essere gente della tribù di Levi, gente come Miriam, gente come Mosè, gente che cammina errante testimoniando con la vita che l’unica eredità, l’unica essenziale essenzialità è il Signore Jahvè, il Dio liberatore. E anche Elia farà parte di questo gruppo; sarà profeta itinerante, insieme a Eliseo saranno chiamati profeti minori: cioè profeti che non scrivono nulla perché il loro corpo è errante di tenda in tenda nella preoccupazione quotidiana della vita delle persone semplici, delle vedove, degli orfani, delle persone ammalate, degli stranieri. Proprio la vita delle persone semplici che vivono di tenda in tenda è la preoccupazione della profezia di Elia e di Eliseo. Allora, Mosè ed Elia saranno i profeti presenti sul monte della trasfigurazione assieme a Gesù, per dire che Gesù appartiene a questo cammino di profezia: il Figlio di Dio che viene a compiere questo cammino errante di tenda in tenda, errante senza nulla possedere, un cammino in uscita nella difesa dei poveri, delle vedove, degli orfani.

E noi a volte, come i discepoli, diciamo: “facciamo delle tende qua, fermiamoci qua”. Gesù invece ci invita in questo tempo di quaresima e in tutti i tempi di vita alla sua sequela, a scendere dalla montagna e a iniziare a praticare sempre di più la bellezza dell’incontro con Lui.

Buon cammino di erranza e di profezia.