Macchine da ricucire

‘Macchine da Ricucire’, questo il titolo che i giovani del Centro Missionario Diocesano Modenese hanno scelto per il laboratorio proposto in occasione del festival della filosofia dal tema: MACCHINE.
Date le numerose restrizioni dettate dal Covid19, il percorso ideato è stata un’installazione, un percorso in cui le persone si sono potute immergere all’interno della filiera tessile. In questo modo hanno potuto scoprire o approfondire tanto gli aspetti negativi che alimentano e arricchiscono il mondo della moda, quanto le alternative positive che la nostra società offre proprio a partire da realtà virtuose presenti sul nostro territorio.
L’idea ha avuto origine da poche semplici domande a partire da ciò che ognuno di noi indossa quotidianamente: cosa c’è dietro una maglietta a 10 euro? Quali sono i passaggi e le storie dei vestiti che compriamo? Come i tessuti, che sono a contatto con la nostra pelle, incidono anche sulla nostra salute? Il nostro modo di essere consumatori ha un’influenza diretta sulla vita dei produttori?
Il laboratorio proposto non ha avuto lo scopo di fornire risposte, ma voleva essere uno stimolo  da cui partire per riflettere sui nostri stili di vita, metterci in discussione e porci delle domande.
Lungo il percorso si è cercato di sviluppare il viaggio dei vestiti dalla loro produzione al loro smaltimento. E’ fondamentale considerare l’impronta che ognuno di noi lascia sulla Terra, la nostra casa comune, come ci ricorda Papa Francesco nella Laudato Sì, fino ad arrivare a mettere in discussione l’intero sistema economico nel quale viviamo. La società globalizzata nella quale ognuno di noi è immerso e vive, rende complesso risalire ai tanti passaggi e ingranaggi che fanno parte dell’industria tessile. Il percorso ha voluto mettere in luce tutto ciò, a partire da un approfondimento circa le materie prime, gli effetti che queste hanno sulla pelle ed i differenti tempi smaltimento.  La conoscenza circa la ricca varietà di fibre che compongono i nostri abiti è fondamentale tanto per un discorso più strettamente ambientale quanto legato alla salute. Uno studio realizzato dalla Ue ci dice che il 7-8% delle patologie dermatologiche è dovuto a ciò che indossiamo.
Spostandosi sul piano delle industrie che si occupano della lavorazione delle materie prime, uno spunto di riflessione riguarda il consumo di acqua legato al confezionamento del prodotto finito. Il  20% dell’inquinamento delle risorse idriche mondiali dipende dall’industria della moda. La pericolosità di questi scarichi ha effetti negativi sull’uomo, sugli animali e sull’ambiente circostante. Quanta acqua c’è dietro ad un solo paio di jeans? Che impatto hanno tutti questi processi sulla qualità delle acque che inquinano? Quali conseguenze hanno sulla salute delle popolazioni che vivono lungo questi fiumi?
Come è la vita di chi lavora nelle fabbriche delle grandi multinazionali della moda? Viene garantito loro un salario dignitoso?
Il mondo così interconnesso e apparentemente vicino e accessibile è davvero tale? Quanti km percorrono i nostri vestiti per arrivare fino a noi? L’industria della moda alimenta enormemente la quantità di CO2 presente nella nostra atmosfera (8% delle emissioni di gas serra) e incide profondamente anche sulle problematiche legate allo smaltimento degli abiti. E’ possibile sviluppare e seguire nella pratica un’economia circolare, un’economia nella quale non è previsto alcun rifiuto?  E’ possibile scegliere in maniera consapevole alternative virtuose?
Sono tutte domande che devono interpellare ognuno di noi. Ognuno di noi è responsabile nel suo piccolo.
“In mezzo a tutte le sfide che stiamo affrontando oggi, per tutti i problemi che sembrano più grandi di noi e fuori dal nostro controllo, forse possiamo partire da qui, dai vestiti.”  (dal documentario The True Cost)
Eleonora Maccaferri