Abbiamo incontrato suor Carmen Pini

Incontriamo Suor Carmen Pini all’interno della sede di Modena della Congregazione delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù, presenti all’interno del quartiere modenese della Sacca dal 1927 per volontà del loro padre fondatore padre Luigi Boni. Originaria di Portile, decide di entrare a far parte della Congregazione 61 anni fa e di questi più di 35  li trascorre in terra di missione. Per lei è il Benin, un piccolo paese africano  sul Golfo di Guinea di cui non si sente troppo spesso parlare circondato dal Togo (a cui spesso è connesso), dall’imponente Nigeria, dal Niger e dal Burkina Faso. Un paese che non fa notizia, un paese che vive per lo più di sussistenza, privo di mezzi economici ma ricco di tanta cultura, sapienza e saggezza.

I primi vent’anni della congregazione le suore si trovavano nella regione del Monon, nel centro del paese, dove la gente vive per lo più di agricoltura, successivamente per poter offrire maggiori opportunità di formazione per le giovani che chiedevano di far parte della comunità si sono spostate in capitale, nel sud del paese, dove è stata creata una nuova comunità aperta all’accoglienza di  gruppi e capace di offrire momenti di ritiro e  di silenzio. L’attività della Congregazione tuttavia non si è arrestata, su richiesta del Vescovo di allora, è stato loro chiesto di aprire un’altra comunità nel nord del paese, a prevalenza musulmana. Qui è stata aperta una scuola elementare soprattutto per i figli dei musulmani i quali, dopo un’iniziale timore e diffidenza, hanno compreso e apprezzato l’attività educativa delle suore sul territorio. Suor Carmen racconta delle visite ai villaggi con le difficoltà nell’imparare la lingua, le cure che offrivano ai malati facendo dove possibile da dispensario nei villaggi più isolati della savana e facendo visite generali a chi ne aveva bisogno. “In Benin l’essere malato è una doppia disgrazia” ci racconta “perché non solo stai male, ma anche perché devi pagare le visite e le medicine; se vai in ospedale devi portare con te chi ti prepara da mangiare, per questo la gente ci va quando proprio è alla fine”. Per rispetto e per serietà sottolinea l’estrema importanza della presenza di un interprete durante le visite ai villaggi per poter offrire al meglio un servizio che fosse davvero per le persone. Vi è poi la collaborazione con la parrocchia, il servizio di catechesi in francese agli adulti che avrebbero dovuto poi tradurre alla comunità i messaggi trasmessi. Oltre a questo, fondamentale è poi l’animazione e la formazione dei ragazzi di 15-16 anni che si occupano dei bimbi più piccoli, un servizio che suor Carmen paragona a all’Azione Cattolica Ragazzi.

Il ricordo dei tanti volti e sguardi incrociati risuona in Suor Carmen nei gesti di riconoscenza che la comunità, la gente ha sempre avuto nei loro confronti: le prime pannocchie di mais, le prima uova delle galline, il pane.. tutto veniva donato loro, con grandi rinunce, come segno di riconoscenza per la presenza in mezzo a loro. “Sono gesti che allargano il cuore – afferma suor Carmen – e rispecchiano il clima di estrema amicizia, rispetto e affetto che la comunità aveva verso di noi – . E continua – La missione è fatta anche di questo, di cose semplici, banali forse, ma di una vita serena perché quando ti senti al tuo posto fai tutto quello che vuoi e nostro Signore ti aiuta ad alzarti e fare quello che c’è da fare”.

Pensando alla Fratelli Tutti, l’ultima enciclica di Papa Francesco, suor Carmen afferma: “abbiamo un Papa formidabile che sente con il cuore questa umanità che corre, che cerca, che si dà da fare, che si affanna. Ma anche questa umanità è in cammino ed è vero che la fratellanza, il riconoscere nell’altro, non importa chi esso sia perché è un figlio di Dio, un fratello, credo proprio che sia la base di questa pace e di questa trasformazione della nostra umanità. In modo particolare penso ai musulmani, brava gente soprattutto quando si parla di opere sociali sono i primi ad impegnarsi. Ciò che troppo spesso rende ostili noi occidentali  nei loro confronti non sono loro quanto piuttosto i fanatismi che giocano sulla povertà, l’ignoranza e tutti i problemi (spesso incomprensibili da spiegare) per imporsi e fare del male. C’è ancora molto razzismo e quel fanatismo che in nome di Dio provoca tante disgrazie quando invece il nome di Dio è pace, è amore e non violenza. Quindi ripensando alle parole del Papa certo è anche questo, anche essere fratelli con loro ma con la necessità di denunciare, di dire le cose come stanno, come sono”.

Infine un pensiero sull’essere missionario in terra straniera. Quando si parte bisogna bussare e chiedere permesso, senza  avere l’arroganza di sentirsi più bravi ed evoluti, più capaci o furbi: bisogna mettersi alla scuola di chi accoglie. Il popolo del Benin ha una propria cultura, saggezza e sapienza. Parlando con rispetto ed attenzioni si guadagna il cuore della gente. È fondamentale camminare insieme.

 Un’immagine racchiude il carisma della Congregazione di cui suor Carmen fa parte: nella comunità di base di Cotonou (vicino alla capitale) è stato aperto un santuario per l’adorazione perpetua, santuario che è rimasto aperto giorno  e notte anche durante il periodo di piena pandemia, quando probabilmente vi erano altri bisogni ed urgenze, su proposta dell’attuale vescovo che ha ricordato loro: “i problemi non li risolviamo noi ma il Signore con il nostro aiuto. Bisogna aiutare le persone a ‘mettersi in ginocchio’ per pregare”. E la gente è andata e continua a recarsi costantemente presso il santuario.

Eleonora Maccaferri