Quest’estate ho deciso di fare un’esperienza che potesse soddisfare il mio desiderio di comprendere meglio che cosa volesse dire essere missionaria; così, sono stata accolta due mesi dalle Missionarie Saveriane in Thailandia. Ho trascorso un mese a Pak Kret, nella periferia di Bangkok e un mese a Nan, una piccola città piu a nord.
Fare un’esperienza in missione per me è stato prendere le scarpe (o nel caso della Thailandia toglierle) e iniziare a camminare a fianco delle persone. Non sono andata per FARE qualcosa, ma ad imparare a STARE CON e soprattutto PER gli altri. Quello che la missione mi ha chiesto è stato di decentrarmi: spostare l’attenzione da me all’altro.
Ospitata dalle Saveriane ho avuto modo di conoscere di più la loro congregazione: la loro scelta di non indossare l’abito per entrare in contatto con la gente in modo più diretto, senza barriere culturali di pregiudizio e in una realtà assai poco cattolica come la Thailandia ciò fornisce un aiuto non indifferente. La comunità mi ha accolto con grande calore, facendomi sentire una di famiglia, rispondendo pazientemente alle mie continue domande e facendosi da interprete nelle conversazioni con chi del posto non sapeva l’inglese.
Nella realtà di Bangkok le missionarie sono impegnate nelle visite alle famiglie e agli ammalati che vivono negli slam (le baraccopoli), in cammini di formazione e catechesi per giovani e adulti e nella Casa degli Angeli: una struttura che accoglie mamme con bambini gravemente disabili e le aiuta a prendersene cura sia dal punto di vista fisico (insegnando loro tecniche di riabilitazione fisioterapica) che dal punto di vista spirituale alla luce del Vangelo in cui Gesù è il primo a dire che a chi è come loro appartiene il regno dei cieli (Lc 18,16)
Il primo e forse più grande ostacolo che ho trovato è stata la lingua: il thailandese è a dir poco incomprensibile avendo un alfabeto completamente diverso dal nostro e una miriade di toni e accenti differenti. Per cui questi due mesi passati mi hanno allenato a sopportare la frustrazione di non capire nulla durante i dialoghi e mi hanno anche dato la possibilità di osservare di più le persone, i gesti, il linguaggio non verbale, non essendo “distratta” dal dover seguire i discorsi.
Se da una parte la lingua era un ostacolo non indifferente al creare relazione, dall’altra ho avuto grandi testimonianze di accoglienza senza il bisogno di parole. Ho rivalutato il vero senso del “sentiti come fossi a casa tua”: togliti pure le scarpe, siediti , ora ti do da bere e da mangiare qualcosa, voglio che tu ti metta comodo e faccia veramente come fossi a casa tua. La semplicità commuovente con cui mi accoglieva la gente mi ha interrogato molto sul significato vero di aprire la porta della casa e lasciar entrare qualcuno .
L’esperienza alla Casa degli Angeli è stata impegnativa ma molto bella: ho conosciuto mamme che avevano deciso di chiudere le porte ad un passato più o meno burrascoso e avevano ritrovato il coraggio di vivere ogni giorno meglio del precedente nei loro figli, ribaltando la visione proposta dalla cultura thai in cui vige la legge del karma e i bambini disabili sono una vergogna poiché il risultato dei misfatti compiuti nella vita precedente. L’obiettivo principale della Casa è quello di sostenere l’accoglienza, l’amore e il servizio verso questi “piccoli” promuovendo lo sviluppo del bambino anche attraverso la fisioterapia. I sorrisi e gli sguardi intensi di questi bambini che ogni mattina mi davano il buongiorno mi hanno veramente testimoniato il miracolo della vita: quanto è meravigliosa la nostra esistenza !
Dopo il mese trascorso a Bangkok sono salita a Nan dove ho incontrato il resto della comunità delle religiose, pronte ad accogliermi a braccia aperte. Nel nord le Saveriane si occupano prevalentemente delle visite nei villaggi ai malati e alle loro famiglie, impegnandosi in attività di formazione in preparazione ai sacramenti per i pochissimi cristiani della zona e all’animazione missionaria coi bambini. Proprio per la grande povertà spirituale che c’è in Thailandia l’annuncio del Vangelo viene quasi sempre accolto con il cuore aperto. Il fatto che i giovani con cui le missionarie si relazionano non sappiano chi sia Gesù Cristo rende ancora più importante trasmettere i valori cristiani con la vita oltre che a parole. L’obiettivo non è quello di convertire nessuno, ma quello di farsi strumento nelle mani di Dio e lasciare che sia Lui ad entrare nei cuori della gente.
E ora che i due mesi sono passati torno in Italia con la valigia piena, pur consapevole che quello che mi riporto a casa lo scoprirò solo con il tempo. Probabilmente col passare dei giorni mi dimenticherò degli enormi ragni pelosi trovati in camera, dei cobra e dei variopinti uccelli, mi scorderò dell’umidità che non mi asciugava i vestiti stesi e della pioggia che spaventava da quanto era insistente. Ma credo ormai sia impossibile dimenticare i sorrisi delle persone, le risate fatte insieme, i paesaggi mozzafiato, le carezze, gli abbracci, i discorsi profondi fatti con le missionarie, no… ormai quelli sono entrati nel cuore.
L’incontro con la cultura thailandese in questa esperienza, seppur breve, di vita missionaria mi ha ricordato l’importanza delle relazioni, la magia dell’incontrare l’altro: da una parte il saper andare incontro, con spirito di sacrificio, superando la stanchezza e la fatica del momento; dall’altra significa sapersi fermare per incontrare l’altro: saperlo ascoltare, dedicargli tempo rinunciando ad altri programmi.
Spero di riuscire a cogliere con entusiasmo la sfida del momento: riportare nella mia quotidianità quello che ho vissuto in Thailandia, sia quello che ho imparato di nuovo, sia quello che mi sono ricordata di avere di vecchio e soprattutto di capire con il tempo la ricchezza di questa esperienza davvero sconvolgente.
Teresa Camellini