Come anticipato pubblichiamo alcuni contributi per conoscere meglio il vicariato apostolico di Mongo che il vescovo Erio visiterà alla fine di agosto.
Questo è un articolo di Maria Pia Cavani che nell’agosto del 2016 ha incontrato Henri Coudray, vescovo di Mongo.
Ha trascorso alcuni giorni d’estate a Modena mons. Henri Coudray, vescovo di Mongo, in Ciad, una diocesi che al 96{445b7cea0c61809f4ff042dd7d3982d5e6e190b695a23ff0dabd40f71b148ec9} è abitata da musulmani e comprende un territorio vasto quasi il doppio dell’Italia. Nel 2014, nella sua precedente visita a Modena, così raccontava di sé: “Ho 72 anni, sono in Africa da 40: i primi tempi in Ciad, poi ho trascorso 5 anni in Costa d’Avorio; ho iniziato la mia formazione con i Gesuiti, poi ho svolto in Ciad il servizio civile: qui ho sentito in modo netto la chiamata missionaria, ed in particolare ho avvertito la necessità di costruire un ponte tra cristiani e musulmani, con un’esperienza di Chiesa di strada, che costruisce legami con le persone”.
Ancora una volta – quando lo abbiamo incontrato la notizia dell’uccisione di padre Jacques Hamel, a Rouen, era ancora nelle pagine di cronaca – ci confrontiamo con lui sul tema delle relazioni tra Islam e Cristianesimo, nella complessità attuale.
“Molti amici musulmani – racconta – mi hanno chiamato, sia dopo la strage di Nizza che dopo l’uccisione del sacerdote, uno di loro ha scritto anche una poesia. Penso si sia trattato di un gesto eccezionale, fuori del comune, che contraddice la bella convivenza costruita da anni in quella città. Lo scopo di Daesh è quello di distruggere l’intesa tra cristiani e musulmani, tra occidente ed oriente, per questo la risposta islamica è stata netta e decisa”.
La riflessione tocca anche il piano politico e strategico: “Se si pensa che la lotta al fondamentalismo si esaurisca cacciando Daesh da Iraq, Siria e dia territori del Califfato, non si è compreso appieno la dimensione del fenomeno. Una sconfitta militare infatti non caccia Daesh dai cuori degli uomini e da una cultura che si è diffusa nel mondo”. Il vescovo cita Olivier Roy, politologo ed orientalista, nella sua affermazione per cui stiamo assistendo ad una islamizzazione della radicalità e non ad una radicalizzazione dell’Islam. “E’ in corso una radicalizzazione sociale e culturale, che esiste al di fuori dell’Islam, creata da una società a due velocità: la reazione al modello occidentale immette anche nell’Islam una dimensione di violenza ancora non del tutto correttamente interpretata”.
Una riflessione che mons. Coudray aveva già condiviso con noi, e che si fa sempre più urgente, è quella sulla lettura e l’interpretazione dei testi sacri, anche attraverso i metodi più scientifici, un’esegesi filologica e storico-letteraria: “I musulmani – prosegue – cominciano a farlo oggi, ma senza avere l’autorità del Magistero, come lo conosciamo noi cattolici, una autorità che unifichi le interpretazioni, indicando quindi la prassi. Un collega musulmano, sufi, docente a Lione mi disse una volta che noi cattolici siamo fortunati ad avere un Papa. Per noi ci sono i Sinodi, come quello recente sulla famiglia, in cui ci si confronta con grande libertà: ero presente e mi ha davvero colpito positivamente la libertà di parola davanti al Papa. ‘Noi musulmani – proseguiva quel collega – non abbiamo un’autorità riconosciuta e ci bilanciamo tra due estremi: la ripetitività indefinita delle stesse cose o la creatività sbrigliata, senza riferimenti, per la quale si può fare qualunque affermazione’. Nessuno sancisce che l’autorità di Al Baghdadi, per fare un nome, è maggiore di altre, ma di certo è tra i più ascoltati per ragioni economico-sociali”.
Mons. Coudray torna ancora sul tema, quanto mai attuale, della radicalizzazione che accompagna l’Islam: “E’ un fenomeno che trova sui media numerose scappatoie religiose. E’ vero che nel Corano ci sono passi violenti – come nella Bibbia peraltro – ma manca al suo interno il concetto di storia, che invece fonda il Cristianesimo: Antica e Nuova Alleanza, Cristo che nasce nella storia… Nell’Islam tutto è già detto fin dall’inizio, tra Abramo e Mohammed non ci sono stati progressi, l’uomo è lo stesso oggi come al tempo di Abramo. Fortunatamente anche l’Islam ha avuto e ha interpreti capaci di una lettura storica: il Corano è stato rivelato in maniera frammentaria lungo 22 anni, è possibile una lettura ortodossa del testo che tenga conto delle circostanze storiche? Questo permetterebbe di riflettere su molte questioni, aprendo un ricco confronto. Ma è un lavoro che solo i musulmani possono fare, con rispetto e competenza”.