Ecco il commento di p. Filippo Ivardi Ganapini, missionario comboniano ad Abéché, in Ciad, al vangelo della terza domenica di Avvento (Gv 1,6-8.19-28) Buona continuazione di Avvento!
Testimone é chi ha fatto esperienza. Chi ha toccato con mano. Come Giovanni che ha incontrato Dio in profondità e apre un varco al suo arrivo. Come noi cristiani al nord est del Ciad che incontriamo Gesù di Nazareth nelle vene aperte dei bambini pastori schiavi nel deserto. Come i giornalisti della CNN che hanno scoperto come i migranti provenienti da Nigeria, Senegal, Gambia sono venduti come schiavi in Libia ad un prezzo che varia dai 200 ai 500 dollari. Molti poi costretti ai lavori forzati e alla prostituzione.
Camminando verso il Natale a tutte le latitudini siamo invitati ad essere testimoni diretti dell’incontro con Gesù di Nazareth. Nei volti dei crocifissi della terra. Sguardo che invita ad un impegno senza confini per togliere sofferenze e ingiustizie. “Dio accetta solo una sofferenza” diceva il teologo José Maria Castillo. “Quella che deriva dal lottare per togliere tutte le sofferenze del mondo”. Riconoscere in quel volto, in quella storia, la presenza di un Dio che prende carne tra gli ultimi e diventa luce che invita ad affidarsi. Perché é la sola strada che libera. Come le vicende dei rifugiati del Darfur, della Nigeria, del Centrafrica che il Ciad accoglie senza troppo gridare paura e razzismo contro lo straniero. Li c’é Dio. Come Emmanuelle, Mado (con 9 figli!) e Deneram donne ciadiane abbandonate con i bambini dai mariti che cercano di sbarcare il lunario vendendo sapone al mercato. Fabbricando la bili bili, bevanda tradizionale a base di miglio fermentato. Come Claude et Germaine coppia cristiana giovanissima che prova a tirar su quattro figlioli vendendo per strada ciabatte e medicinali. Li c’é Dio. Il Dio che illumina la vita di chi si avvicina. Che tocca il cuore. Che fà cogliere il senso dello stare al mondo. Che fa intuire il varco di un impegno al loro fianco. Una missione di liberazione. Perché “vale la pena di vivere solo per cio per cui vale anche la pena morire” diceva Martin Luther King.
Giovanni é mandato da Dio ma non é lui l’atteso. Né il profeta che scaccia gli idoli di ieri e di oggi. Né Elia né un altro profeta che parla in nome di Dio. Agli emissari inviati dai religiosi della capitale che vogliono controllare ogni novità che puo metterli fuori gioco, Giovanni per tre volte nega di essere lui la chiave di svolta. Lui é solo voce. Di tutti i senza voce della terra che gridano per raddrizzare il mondo! Dei senza terra (ad ogni minuto che passa 20 migranti in cammino in più), senza fissa dimora, senza cibo sufficiente ( 800 milioni!), senza acqua potabile (più di un miliardo!). Una voce importante. Perché si tratta di raddrizzare la via di Dio. Via di giustizia e verità. Diritti umani e riconciliazione. Una via dissestata, calpestata dagli egoismi di tutte le latitudini, dal peccato (il non centrare il bersaglio!) della corruzione dilagante. Come il nostro sistema giudiziario in Ciad. Ottiene una sentanza chi paga. Molti marciscono dimenticati nelle prigioni superaffollate. Per non parlare della politica. Come il presidente Deby che resta in sella dopo 27 anni di regime che tiene in scacco il paese intero. Restringendo libere manifestazioni di protesta, minacciando i difensori dei diritti umani, facendo violenza su giornalisti e attivisti della societù civile arbitrariamente arrestati. Lo testimonia Amnesty International in un rapporto molto duro dello scorso settembre.
Giovanni é testimone che tra noi c’é qualcuno che non conosciamo ancora e che porta vita e linfa nuova. Indica la strada della vita. Non mette l’attenzione su sé stesso, come oggi il mondo del consumo e della pubblicità selvaggia invitano maledattamente a fare, ma sull’Altro. Si decentra. Il contrario di guardarsi l’ombelico. La missione più ardua. Lo diceva Helder Camara a suo modo: “Missione é prima di tutto uscire da sé stessi”.