Um viagem no viagem   Chi semina amore, raccoglie felicità 

20180417arianna_baccariniMartedí 10 Aprile, si parte.
Per dove ? Per un piccolo Stato situato nel cuore del Brazil, il Tocantins. Prima di partire, in uno degli incontri fatti con il responsabile del centro missionario ( Frenci per gli amici 🙂 ) e la Madre superiora della congregazione, Suor Chidimna, avevamo parlato di un altro posto in Brasile, oltre a San Paolo, dove la congregazione lavorava, sempre con la crianças sorda, ma in maniera differente. E mentre me ne stavo seduta sul divano a sorseggiare the Sri Lankese, li ascoltavo parlare di questo Tocantins, un posto vicinissimo all’Amazzonia, delle suorine che lavoravano lì, con un caldo assurdo ma immerse nella natureza più incredibile e con la mente ho iniziato a fantasticare e a pensare se mai avrei avuto la possibilità di andare in questo posto, che appariva così lontano ed incredibile dai loro racconti.
Ed ora eccomi qua, con il piccolo trolley  prestato da irmã Eliene pieno delle cose da portare alle suorine di là e giusto qualche mio vestito, la borsa fatta, qualche paõ du queijo fresco per il viaggio e un bagaglio di emozioni che non entrerebbe neanche in due valigie da 23kg. 
Mentre mi incammino verso le scuola per salutare tutti i bimbi e i professori, mi rendo conto che un piccolo grande capitolo di questo viaggio si è concluso: la quotidianità che ha contraddistinto questi due mesi di Brazil è giunta al termine. Dopo il mio ritorno si respirerà già tanto aria di partenza, sarà già tempo di “dai facciamo questo prima che tu parta”.
“Sono stati due mesi incredibili” penso mentre  fecho la porta di casa; il sole splende e il cielo è limpido, di quell’azzurro intenso che ti porta a fare un respiro profondo come se potessi farlo entrare dentro di te. E ripenso alle risate fatte in compagnia dei professori nelle pause cafè, ripenso a pomeriggi interi passati sdraiata per terra sommersa di bambini che mi abbracciano forte e mi pettinano i capelli, ripenso a quella volta che dopo cena io e Suor Cristiana ci siamo messe a lavare i piatti ascoltando canzoni nigeriane. È incredibile come le cose che il tuo cuore ricorda di più nel momento esatto in cui le vivi sembrano quasi insignificanti: piccole cose quotidiane, che sai che il giorno dopo potresti rifare ma che quella volta in particolare hanno seminato nel tuo cuore qualcosa che con il tempo cresce e germoglia e da cui nascerà un ricordo bellissimo.
Entro nella sala numero 13, la sala mia e di Katia, e tutti i bimbi che stavano scrivendo come ogni giorno “Escola Severino Fabriani, Hoje è dia 10 de Abril” come mi vedono lasciano tutto e mi saltano al collo sorridendo, Richard mi mette qualcosa di nascosto nella tasca della felpa, Guilherme, che di solito se ne sta sempre zitto nel suo cantuccio, fa un gridolino di felicità mentre mi abbraccia forte; Katia ci guarda commossa e mi dice “ E tu che avevi paura di non riuscire ad entrare nei loro cuori!”
Segniamo sul calendario il giorno in cui torneró dal Tocantins, in modo che possano fare il conto alla rovescia, facciamo una foto insieme visto che oggi ci siamo tutti e li saluto un’ultima volta.
Che strano! Ci rendiamo conto di quanto abbiamo donato veramente soltanto quando è tempo di andare via e sono felice che questo viaggio mi abbia aiutato a capirlo prima della vera partenza.
È tanto tempo che non scrivo un conto perchè dall’ultima volta che sono riuscita a mettere per iscritto l’universo che ho dentro di me, mi sono ritrovata totalmente sommersa dalle persone, dalle attività, dai progetti della scuola, dal quotidiano. Come se nelle prime settimane io avessi solo toccato con la punta del piede questo mondo, osservandolo da vicino ma comunque dall’esterno, e poi, così d’un tratto, mi fossi trovata totalmente sommersa, felicemente. E quando è così, quando si è così, raccontarsi è difficile. Mille volte mi sono seduta a quella scrivania e mille volte ci ho dato a mucchio dopo poco perchè le parole proprio non volevano uscire.
Questa mattina qui a Palmas, capitale del Tocantins, nella casina di Suor Gelsina e Suor Neide, sono da sola. Oggi i professori hanno un consiglio di mattina e io essendo appena arrivata, non posso contribuire molto. Così mentre mangio un pezzo di paõ cum abacate, con un sottofondo di musica brasileira proveniente dalla rua, mi prendo un po’ di tempo per pensare. Non ho ancora avuto modo di metabolizzare questa partenza, con il cuore pieno da quella mattina di saluti a San Paolo, mi sono ritrovata catapultata in una nuova scuola, con una criança nuova, con suorine nuove.
Sono molto felice di essere qui. Penso che stare 3 mesi in un minuscolo angolo di San Paolo e quindi in un granello di Brasile, sia un peccato; e vedere come qui sia tutto diverso mi aiuta molto a ridimensionare i miei pensieri su questo paese magico e complicato, caloroso e contradditorio, pieno di gioia ma che sta a poco a poco perdendo la fiducia in se stesso.
Venerdì pomeriggio, dopo qualche giorno passato alla scuola di Palmas, dove Suor Gelsina, una brasileira piccolina ma esplosiva che si nutre di battute caffè e banane, fa lezione alla crianças udente mentre Suor Neide, che è l’esatto opposto, alta e accorta e sensibile, trabalha com crianças que têm dificuldade, Suor Gelsina, amante della macchina almeno quanto di Laura Pausini, mi accompagna a “Silvanopolis” una piccola cittadina a due ore da Palmas, dove c’è la casa della famiglia di Suor Eliene e dove staró per il weekend.
Il viaggio scorre veloce tra una canzone e l’altra, tra i racconti di Gelsina e i buracos nell’asfalto. Il paesaggio lungo il cammino cambia rapidamente, dai campi di miglio, a boschi che toccano tutte le sfumature di verde, a piccole fermate dell’autobus sperdute con persone che, nell’attesa, guardano chi passa.
Arriviamo nella casa e ad attenderci, seduto in veranda a gambe incrociate e con un sorriso gentile, c’è il papà di Eliene che conversa con la vicina curiosa, venuta a vedere la missionaria italiana in arrivo.
“Boa Tarde” dico sorridendo “Boa Tarde” mi risponde; Gelsina è già ripartita e io, rimasta sola con il mio zainetto, entro in casa.
La casa è piccolina e accogliente; appese alle pareti diverse foto dei numerosi figli e qualche immagine religiosa, io lascio lo zaino sul letto e mi siedo in veranda e mentre sorseggio un succo di laranja, iniziamo a conversare del più e del meno. Mi sorprendo di quanto le persone mi capiscano, un pochino di portoghese l’ho davvero imparato e mi fa piacere perchè è solo così che riusciró a conoscere davvero le persone che incontreró in questi giorni. Dopo poco il padre di Eliene mi fa cenno di seguirlo e ci incamminiamo verso la chiesa dove sta avendo luogo un funerale e dove si trova Elisa, la madre. Seduta davanti ma laterale in modo da vedere chi arriva, come mi vede si alza e si accende in un sorriso grande e gentile e prendendomi per mano mi fa sedere accanto a lei.
Mi dispiace se questo conto sarà un po’ diverso dagli altri, perchè qui non c’è nessun protagonista, solo comparse e personaggi secondari forse perchè il protagonista qui è il paese intero. In due giorni ho conosciuto moltissime persone, curiose di sapere come fossi arrivata fino a lì, sono salita su svariate motociclette avendo modo di osservare i paesaggi più svariati ma soprattutto ho avuto modo di capire quanto per me Missione sia incontro, sia abbraccio, sia legame.
Elisa, una donna piccola ma forte, che conosce le storie di tutti ma non per spettegolare, perchè è capace di mettere il suo cuore in ascolto, ha aperto quella porta centinaia di volte ad altrettante persone di paesi e culture diverse, grazie ad Eliene ma grazie alla sua incredibile volontà di accoglienza e di aiutare chi ne ha bisogno.
Dopo il funerale mi prende per mano e mi presenta a tutti e mentre io converso con le persone lei mi osserva felice; mi prepara una pentola di arroz con patate dolci, fagioli e carne e mi chiede di raccontarle la mia storia, mi chiede della mia famiglia, di tutto quanto.
Il giorno dopo mi risveglio con profumo di paõ tostato e mantega; facciamo colazione io, Elisa e Rosinha, la sorella di Eliene, che ha per me un programma di presentazione ad amici, feste di compleanno e serata danzante per farmi conoscere il “vero Brazil”.
Rimango ancora sorpresa da quanto tutte le persone che ho incontrato in questi mesi ci tengano così tanto a portarmi in giro, a farmi vedere le bellezze del Brasile, a farmi conoscere le persone che davvero stanno loro a cuore. Questa accoglienza sincera e gratuita mi sta entrando nel cuore e vorrei riuscire a farla quanto più mia possibile.
Questi due giorni a Silvanopolis mi hanno aiutato a capire come non servano sempre due mesi per entrare nei cuori delle persone, bastano anche due giorni per arrivare a commuoversi al momento della partenza. “ I brasileri si affezionano rapidamente” mi dice Rosinha al momento dei saluti, “ e io con loro” penso tra me e me.
Non so come sarà questa nuova settimana qui, sotto il cielo immenso di Palmas, che ti illumina con il sole e ti avvolge con le sue stelle, ma so che questo viaggio mi ha colmato di una pienezza enorme.
E ho pensato che questa missione mi ha aiutato a capire quanto aldilà di tutto quello che potrai mai fare in 3 mesi, la cosa che conta di più è donarsi sempre con amore e aprire sempre la porta, così come Elisa ha fatto con me. Perchè è dall’incontro che nasce legame, dall’abbraccio che nasce amicizia e dall’ascolto relazione sincera.
“Andare lenti è essere provincia senza disperare, al riparo dalla storia vanitosa, dentro ai sogni, fuori dalla scena principale e più vicini a tutti i segreti”
Um Abraço Grande
E ci vediamo presto per davvero!
Ari