Eccomi qui. Davanti alla pagina bianca… Cerco di trovare qualche manciata di parole per descrivere questo primo mese di Ciad nella parrocchia di Abéché.
Già, penso tra me e me mentre mi trovo davanti al foglio bianco, è già passato un mese. Mi sembra ieri il 10 aprile quando sono atterrato a N’Djamena accolto dal caldo tipico di questo periodo dell’anno che precede la stagione delle piogge.
Questo mese è stato ricco di volti, di presentazioni, di silenziosa scoperta, di viaggi per andare a incontrare le comunità della parrocchia.
Infatti mi trovo in una parrocchia grande circa come l’Italia, e i tre padri comboniani che sono in questa parrocchia (Filo, Bernard e David) cercando di visitare 2-3 volte l’anno tutte le comunità del territorio. Ed è così che ogni week-end parte una delegazione dalla città di Abéché, con due padri e tutti coloro che della città hanno voglia di partire fino a riempire la jeep in partenza. Molto spesso ci si ritrova sardine, fitti come sardine nella jeep in partenza, per il numero di persone che decidono di partire.
Non è facile viaggiare! Le strade sono tutte sterrate e senza segnalazione. L’unico modo per riuscire ad arrivare a destinazione è conoscere la strada avendola già fatta altre volte. Quando esci dalla città ti trovi davanti a immense distese di sabbia, polvere e buchi… non propriamente delle strade ecco. Durante il viaggio si lasciano i finestrini aperti per provare a fare entrare un po’ di aria nell’affollata macchina, per non essere sopraffatti dal caldo… è vero l’aria è bella calda ma almeno ti dà un po’ di sollievo. Ovviamente l’aria non entra sola! Sabbia e polvere le fanno puntualmente compagnia. È così che, arrivati a Biltine (comunità a circa 95 km da Abéché), scendo dalla macchina e guardo Teofile e Alain e vedo che qualcosa è cambiato. Improvvisamente i vestiti e la pelle hanno lo stesso colore! Tutto è diventato giallo! Allora mi guardo e constato di essere nella stessa situazione. Facciamo un paio di battute, ci diamo una rapida ripulita, e andiamo verso la casa che ci ospiterà per questo week-end. Dopo una breve presentazione e due chiacchiere il nostro ospite ci dice che la doccia è pronta. Gli altri compagni di viaggio insistono e mi mandano per primo. È così che entro in bagno e trovo il secchio pieno d’acqua pronto ad accogliermi! Infatti sono più unici che rari i giorni in cui c’è l’acqua corrente qui nel Nord del Ciad. Per questo ogni casa ha una cisterna che viene riempita tempestivamente quando arriva l’acqua della città (quante volte l’acqua arriva verso le 22 e allora vedo le luci fuori dalla camera delle torce di Bernard Teofile e Remo che sono usciti per riempire le diverse cisterne). È così ormai sono io e il secchio ci reputiamo amici. Ci laviamo tutti e poi, via, si inizia a mangiare insieme un po’ di carne con del pane!
Questo è uno degli aspetti della missione qui ad Abéché: il viaggio. Infatti queste comunità normalmente alla domenica si ritrovano insieme per celebrare la liturgia della parola, guidati da un catechista formato per poter guidare la preghiera domenicale! Quando arrivano i sacerdoti, ecco che si può celebrare insieme l’eucarestia ed è l’occasione per matrimoni, cresime, battesimi… insomma è l’occasione di grande festa, balli.
È incredibile vedere l’energia e la forza di queste comunità, che riescono a mantenere tutte le loro attività coordinandosi tra loro e affidandosi al responsabile! È bello essere sommersi dalla loro voglia di mantenere vivo questo modo di stare insieme, che il centro in Gesù e nella voglia di condividere quel poco che si ha a disposizione.
La comunità che mi accoglie si può definire in viaggio anche perché tutti i cristiani presenti qui ad Abéché vengono dal Sud. Il Nord del paese è fortemente Islamizzato, e non ci sono molti cristiani autoctoni. È così che mi ritrovo di fronte a persone che si trovano qui per lavoro o per gli studi. Le comunità di conseguenza cambiano spesso e rapidamente volto a causa degli spostamenti dei fedeli e del continuo rinnovamento delle persone. C’è chi parte e chi arriva…
Ho avuto anche la fortuna di viaggiare verso il Sud! Infatti lo scorso week-end (il 12-13 maggio) a Sarh sono stati celebrati i primi voti dei novizi comboniani che si sono formati per due anni qui in Ciad. Tre di questi novizi hanno passato tre mesi ad Abéché, e allora una delegazione è partita per partecipare alla festa. Per arrivare a Sarh è necessario passare per la capitale, N’Djamena, per poi arrivare fino a destinazione. È così che partiamo alle 5 del mattino da Abéché, quando ancora c’è buio e la città inizia a svegliarsi e c’è ancora fresco (ebbene sì, dall’una fino a circa le 5-6 del mattino scende un bel fresco sulla città che quasi ti scordi dei 40-45 gradi che ti aspettano appena il sole decide di uscire allo scoperto per far cominciare la giornata) con davanti un viaggio di circa 2000 km solo all’andata! Ci fermiamo a N’Djamena un giorno per riprendere le energie per poi ripartire, sempre verso le 5, per Sarh. La strada per Sarh è davvero dura, c’è un pezzo in cui l’asfalto è stato mangiato dall’acqua e dal passaggio dei camion… diciamo che quel poco di asfalto che è rimasto fa più danni che altro. Sembra di essere sulle montagne russe e va finire che arriviamo a destinazione verso le 22.00. Ebbene sì, circa 17 ore di viaggio!
Durante il tragitto, però, il paesaggio cambia. Vedi piano piano che tutto si trasforma e si colora di verde, che gli alberi prendo forza e crescono sempre di più, che il deserto lascia spazio ai campi coltivati… Uscendo da N’Djamena sono meravigliato dal paesaggio quando passiamo sopra ad un fiume e vediamo i primi campi verdi coltivati e le persone già in piedi a lavorare per portare l’acqua alle coltivazioni co dei secchi pieni d’acqua sulla testa.
Al Sud ormai piove da qualche tempo, e le persone hanno iniziato a seminare. È così che lungo la strada incontriamo le coltivazioni di riso, i campi arati in cui vedi le persone che iniziano a seminare, l’acqua nei fiumi…
Andando verso Sud tutto cambia, i villaggi diventano davvero frequenti e popolati, all’ombra degli imponenti alberi che crescono rigogliosi e pieni di forza. Ovunque tu ti giri incontri con lo sguardo grandi ceste pieni di mango. I bambini hanno voglia di salutarti, “lale,lale” gridano. L’arabo infatti lascia spazio alla lingua madre di questa terra, il Sara. Lungo il percorso poi per fortuna che c’è Mama Halume, che da brava mamma ha preparato per il viaggio un po’ di pollo e delle patate fritte. È così che la nostra colazione verso le 7 del mattino è a base di pollo!
Vediamo anche durante il percorso le prime mandrie di cammelli, mucche, capre che iniziano la transumanza verso Nord! Vedi queste maestose mandrie che iniziano la loro lenta e lunga marcia.
È così che mi scontro per la prima volta con la dura realtà che avevo ascoltato in una riunione del comitato Giustizia e Pace alla parrocchia. Il problema degli Enfant Bouvier (la traduzione di fatto dovrebbe essere bambini pastore) davvero molto diffuso qui in Ciad. Questo fenomeno vede per protagonisti i bambini. Con diverse tecniche vengono allontanati dalle loro famiglie e portati spesso dal Sud verso il Nord. Una volta portati nel sud e isolati dalla loro rete familiare, questi bambini sono obbligati a lavorare come pastori di queste mandrie di animali. È una problematica molto complessa di cui ho iniziato a scoprire solo la superficie, ma molto diffusa qui in Ciad.
È così che viaggiando, faccio esperienza concreta di quello che ascolto dalle persone che ho iniziato a incontrare qui nella parrocchia. Faccio esperienza della terra da cui provengono, scopro il diverso modo rispetto al Nord di stare insieme, tutti insieme nei villaggi, mangiando ciò che gli dona la terra, vendendo lungo la strada il di più e vivendo in un’unica grande famiglia.
In questo mese sto piano piano entrando nelle diverse attività della parrocchia, tra una riunione e l’altra scopro nuovi nomi, nuove parentele, nuovi volti…
Sto scoprendo cose nuove, sto scoprendo cosa si nasconde dietro alle mille sigle con cui amano chiamare ogni singolo gruppo parrocchiale (infatti qua hanno davvero una passione preoccupante per l’utilizzo delle sigle per ogni cosa, i primi giorni spesso non capivo niente dei dialoghi a causa di questo ahaha). Rimango sempre spiazzato da quanto desiderio abbiano di mostrarmi tutto ciò di cui si occupano, il desiderio di mostrarmi la loro casa, di presentarmi i famigliari, di mostrarmi il loro ufficio in parrocchia in cui lavorano, di farmi vedere la loro università…
Mi piace molto questo aspetto delle persone che mi stanno accogliendo! Ogni volta che mi presento ad una qualche attività vedo subito nei loro occhi il desiderio di sapere da dove arriva questo Nassar (dovrebbe essere la traduzione di bianco in arabo locale se non mi sbaglio) e perché si trova qui! È interessante vedere le loro reazioni quando provo a spiegargli: “no non sono un padre, sono un ragazzo, proprio come voi che ha appena finito gli studi e ha deciso di provare a passare un anno con voi!”. Fanno fatica a capire questa cosa, i bambini soprattutto, con il loro modo diretto, mi chiedono come mai non sono un padre e come mai sono lì con loro. Io rispondo spesso con un sorriso che loro ricambiano e allora non è più tanto importante il perché sia lì ma importa solo il fatto stesso che siamo insieme in quel momento e si riprende a giocare e a scherzare insieme.
In particolare ci sono due giovani che mi hanno preso “in custodia”, Alain e Olivier. Sono due giovani molto in gamba della parrocchia. Alain è al terzo anno di medicina mentre Olivier ha appena terminato gli studi in diritto all’università. Sto passando molto tempo con loro (per farvi capire i padri li chiamano le mie guardie del corpo perché ci vedono quasi sempre insieme e a volte si presentano davanti alla mia camera!) ed è dai dialoghi con loro che sto imparando sempre più cose del paese.
Ad esempio mi hanno spiegato che negli ultimi anni ci sono talmente tanti scioperi a livello di professori dell’università che spesso per fare una laurea di tre anni, ne devi impiegare cinque perché i professori non si presentano a fare lezione. Per farvi capire meglio l’anno accademico 2017-2018 è iniziato la scorsa settimana, quando normalmente dovrebbe iniziare a settembre. Sempre grazie a loro ho la fortuna di passare un sabato mattina alla Maison d’arre, il carcere. Scopro così che ogni sabato mattina un gruppo di parrocchiani partono per il carcere per fare un momento di preghiera insieme ai carcerati cristiani presenti. È stato davvero un momento molto forte, di forte con-passione con questi ragazzi. Dopo la preghiera ci fermiamo un po’ a parlare con loro, a cercare di fargli forza. Ci spiegano che in questo periodo stare in carcere è terribile, l’acqua è poca, il caldo è molto forte, l’ombra inesistente. Ci chiedono di ricordarli nella preghiera e ci spiegano che anche durante la settimana loro si trovano insieme a pregare per farsi forza. Sono davvero rimasto molto colpito da questa esperienza e dalla fede semplice, ma fondata di queste persone.
Oltre a ciò sono arrivato in un Ciad in forte cambiamento. Ho infatti scoperto che il governo ha tagliato internet al paese per evitare alle persone di mettersi d’accordo attraverso WhatsApp e Facebook per organizzare manifestazioni e proteste contro il presidente Idris Deby. Infatti in questi ultimi anni il paese è stato soggetto a una crisi economica molto forte, e, in più, diverse figure politiche di primo piano sì sono rese protagoniste di frodi di denaro dei cittadini aggravando ancor più la situazione. Per questo motivo il presidente Deby ha deciso che era ora di cambiare qualcosa e cos’ha fatto? Ha deciso di creare la quarta repubblica, cambiare la costituzione ed eliminare tutte quelle figure politiche come il primo ministro e altri concentrando ancor più il potere nelle sue mani. Questo fa sì che il paese sia in uno stato di forte cambiamento e che i cittadini siano preoccupati dalla situazione, questo traspare dai dialoghi con le persone di qui (per farvi capire uno dei cambiamenti è stato eliminare tutti i posti di controllo di polizia lungo le strade del paese, di fatto ora, senza queste barriere e controlli da parte della polizia, tutti coloro che viaggiano nelle lunghe e solitarie strade di questo paese rischiano di essere assaliti dai banditi che abitano la zona che hanno l’usanza di costringerti a lasciare loro la tua auto costringendoti con le armi).
Insomma, questo è il Ciad che mi ha accolto e che, con calma, sto iniziando a scoprire attraverso chiacchiere davanti alla boule, con un bicchiere di the super zuccherato e bollente tra le mani, seduto su un tappeto, davanti a una Gala (birra nazionale detta “la figlia di Mundu”), attraverso tante strette di mano, ascoltando in silenzio, attraverso momenti di scherzo e di battute, nei dialoghi con i tre comboniani che mi accolgono nella loro comunità, viaggiando… Stando!
Se c’è una cosa che sto scoprendo qui in Ciad è che, a volte, per cambiare ciò che ti sta intorno e scoprire cose nuove e far scoprire cose nuove agli altri, è sufficiente stare, ascoltare in religioso silenzio i discorsi delle persone che hai vicino, accettare un invito a casa di qualcuno a mangiare qualcosa insieme, lasciare da parte la voglia di andarsi a riposare per fare due chiacchiere con un amico di passaggio anche se il giorno dopo la partenza è alle 5, salutare per strada quegli occhi che ti fissano quasi sbigottiti… Un semplice atteggiamento, quello di stare ad ascoltare l’altro, di “perdere tempo” che non è un perdere, ma è un donare. Stare. Anche se in quel momento non sei utile lì dove sei, anche se fai fatica a trovare le parole per intavolare un discorso, stare alla presenza degli altri, incuriosirsi della storia dell’altro, cercare di grattare la superfice e scoprire la bellezza del dono che è l’altro per te in quel momento. Questo sto piano piano imparando da questi nostri fratelli, che vivono in una terra non facile… Un clima difficile da sopportare, in situazioni concrete molto lontane dalle nostre… Quanti giorni senza elettricità, quanti giorni senza ACQUA ho passato qui ad Abéché…
Ed è bello vedere come in tutto questo, si prosegue, i nostri fratelli mussulmani hanno iniziato il Ramadan lo scorso giovedì… non so dove trovino la forza. Quando esco con i 45 gradi tipici di questa stagione li vedo lavorare e penso al fatto che da quando sorge il sole fino a quando non tramonta (circa dalle 5 alle 18) non possono bere…
Questo è il Ciad che sto abitando e che mi sta entrando piano piano nel cuore, fatto di giovani desiderosi di studiare (nei miei occhi ho ancora ben chiara l’immagine di ragazzi appollaiati sotto i radi lampioni funzionanti nella città per studiare durante la notte), fatto di famiglie desiderose di aprire le loro porte, fatto di danze che esprimono quello che le persone portano nel cuore.
Non è sempre facile essere qui, ma come un’amica mi ha detto prima di partire “Ca en vaut la peine” (ne vale la pena)
Vi abbraccio CALOROSAMENTE dal Ciad, vi ricordo spesso e come dice la maglia che qualcuno di voi mi ha regalato alla partenza, vi porto qui con me!
A bientot!