Il Madagascar per noi è stato condividere per tre settimane la vita delle suore missionarie francescane. È stato il cielo grigio della capitale, Tanà, una metropoli caotica che al suo interno racchiude tutte le contraddizioni di questo Paese. È stato il vociare incessante dei venditori ambulanti. È stato la puzza di smog e di carne lasciata al sole. È stato vedere quest’isola-continente riflessa negli occhi dei bambini che giocavano nelle strade sterrate con dei pezzetti di lamiera in mezzo ai polli e ai cani randagi. Per noi il Madagascar è stato sedersi in braccio ad altre persone dentro ai taxi brousse. È stato piantare piselli sotto il sole nel campo delle suore.
È stato mangiare riso a pranzo e a cena tutti i giorni, senza dimenticarsi di ringraziare Dio per ogni pasto. È stato entrare nelle case dei poveri per ascoltare il loro dolore e i loro sforzi. È stato raccogliere la sfida, voler vedere l’altra faccia della medaglia. È stato salutarsi con “manao ahoana” e “veloma”. È stato partecipare ad una Messa di più di 3 ore con quasi 5000 persone, non capire una parola ed essere comunque contenti.
È stato un villaggio di terra rossa, in cui la gente vive al ritmo del sole e della notte, in capanne dalle pareti di fango e dal tetto di paglia. È stato visitare il reparto di maternità di Ampahimanga, chiedendosi com’è possibile far venire alla luce un bimbo in mezzo alla polvere e alle mosche eppure riuscire a sorridere. È stato lo stupore nelle esclamazioni dei bambini che ci vedevano per la prima volta. È stato essere “vasà”, stranieri, invasori motorizzati di una terra ancora intatta, sfiorata solo dagli zebù.
È stato viaggiare per ore nel retro di un pick-up su una strada sterrata e ritrovarsi pieni di polvere fin nelle narici. È stato offrire un pasto ai bambini di Saradroa. È stato adottare a distanza Fanantenana, figlia di genitori ciechi. È stato farsi la doccia con i secchi per mancanza di acqua corrente. È stato distrarre per qualche ora i bimbi, giocando e disegnando insieme. È stato non riuscire ad addormentarsi per i ragni nella stanza. È stato lasciarsi stupire, fermandosi ad osservare incantati le stelle dell’altro emisfero.
È stato essere presi a schiaffi dall’ingiustizia del mondo, di fronte a una ragazzina costretta a lavorare nei campi per aiutare i suoi genitori a pagare l’affitto della casa. È stato l’accoglienza delle persone e la speranza negli occhi dei ragazzi. È stato svegliarsi alle 4 di mattina per andare a vedere le cascate, così maestose nella loro purezza.
È stato farsi prendere per mano da una bambina e farsi portare sulle rocce ad Alarobia. È stato piangere davanti a un ragazzino che raccoglieva il cibo da terra. È stato il sorriso rassicurante di suor Françoise, la fermezza di Suor Cristina, l’esperienza e l’affetto di Suor Elisbetta.
È stato tornare a casa con le treccine nei capelli. È stato dover fare un viaggio di 8000km per non cambiare nulla, ma riuscire a cambiare noi stessi.
È stato un villaggio di terra rossa, in cui la gente vive al ritmo del sole e della notte, in capanne dalle pareti di fango e dal tetto di paglia. È stato visitare il reparto di maternità di Ampahimanga, chiedendosi com’è possibile far venire alla luce un bimbo in mezzo alla polvere e alle mosche eppure riuscire a sorridere. È stato lo stupore nelle esclamazioni dei bambini che ci vedevano per la prima volta. È stato essere “vasà”, stranieri, invasori motorizzati di una terra ancora intatta, sfiorata solo dagli zebù.
È stato viaggiare per ore nel retro di un pick-up su una strada sterrata e ritrovarsi pieni di polvere fin nelle narici. È stato offrire un pasto ai bambini di Saradroa. È stato adottare a distanza Fanantenana, figlia di genitori ciechi. È stato farsi la doccia con i secchi per mancanza di acqua corrente. È stato distrarre per qualche ora i bimbi, giocando e disegnando insieme. È stato non riuscire ad addormentarsi per i ragni nella stanza. È stato lasciarsi stupire, fermandosi ad osservare incantati le stelle dell’altro emisfero.
È stato essere presi a schiaffi dall’ingiustizia del mondo, di fronte a una ragazzina costretta a lavorare nei campi per aiutare i suoi genitori a pagare l’affitto della casa. È stato l’accoglienza delle persone e la speranza negli occhi dei ragazzi. È stato svegliarsi alle 4 di mattina per andare a vedere le cascate, così maestose nella loro purezza.
È stato farsi prendere per mano da una bambina e farsi portare sulle rocce ad Alarobia. È stato piangere davanti a un ragazzino che raccoglieva il cibo da terra. È stato il sorriso rassicurante di suor Françoise, la fermezza di Suor Cristina, l’esperienza e l’affetto di Suor Elisbetta.
È stato tornare a casa con le treccine nei capelli. È stato dover fare un viaggio di 8000km per non cambiare nulla, ma riuscire a cambiare noi stessi.