Cambiare lo sguardo

MessaPartire per un viaggio significa partire con domande, con sogni e con speranze. Partire per un viaggio di tre settimane per visitare il quartiere di Tondo, a Manila, nelle Filippine, significa avere voglia di incontrare, voglia di cambiare lo sguardo.
È con questo desiderio nel cuore che decidiamo di partire per essere catapultate in una realtà così lontana dalla nostra. Ci siamo messe in cammino con delle domande, alla ricerca. È difficile mettere dentro a poche righe quello che abbiamo trovato, ma proviamo a riportare qualche immagine.
Per fare un po’ di chiarezza Tondo si trova a Manila City, è un quartiere con un tasso di popolazione elevatissimo, in cui la povertà materiale e morale sono protagoniste insieme a rumore, spazzatura ed inquinamento. In questo contesto si inserisce, tra le tante, la parrocchia di San Pablo Apostol, retta dai padri canossiani. È questa parrocchia che diventa per tre settimane la nostra casa, la nostra famiglia. All’interno del quartiere le abitazioni sono molto piccole ma affollate. Tondo comprende anche quelle che vengono definite “squatter areas”: zone in cui troviamo i buildings dentro i quali le famiglie, molte delle quali migranti dalle periferie, hanno costruito le loro case utilizzando materiali di fortuna, come legno vecchio e lamiera. Intorno a queste strutture, ricche di vita, si articolano le altre piccole unità abitative. Spesso in queste aree non c’è asfalto, se non nelle vie principali, quindi nella stagione delle piogge ci si trova a camminare nel fango.
Ci era stato raccontato, avevamo letto qualcosa, avevamo conosciuto Don Graziano e qualche ragazzo ma non eravamo pronte. Non eravamo preparate alla concretezza che ci avrebbe investite. Una concretezza fatta di sensazioni e di sensi che travolge completamente. Gli sguardi, l’odore, il rumore anche il tatto… è stato travolgente e spiazzante e ci ha scagliate dentro una realtà che prima potevamo solo immaginare. Ma anche queste cose, a cui pian piano ci siamo abituate, ci hanno permesso, nel corso delle tre settimane, non solo di vivere a Tondo ma di vivere Tondo.

cof

cof

L’esperienza però non è stata solo quello che abbiamo visto o quel poco di servizio che abbiamo fatto, è stata un’esperienza di incontri, di storie, di sorrisi e di sguardi. La cosa che da subito ci ha colpito è come la vera casa, focolare attorno a cui ruota la quotidianità, sia la strada. C’è un vero e proprio vivere la strada, non c’è privacy! In strada tutti sorridono, tutti chiedono qualcosa, non puoi girare in silenzio, non puoi semplicemente andare in un posto. Quella strada si fa tela per l’incontro con gli altri. Mentre cammini qualcuno ti chiede “Chi sei?”, “Da dove vieni?”, “Dove stai andando?”. Per la nostra cultura è fuori dall’ordinario: la strada è un mezzo per andare, non il mezzo per incontrare.
I primi giorni non sono stati facili. Non è facile cercare di adattare la propria vita in poco tempo, non è facile cercare di comprendere. Poi, però, ci sono stati momenti diversi per ognuna di noi che hanno fatto cambiare la rotta, hanno dato un senso alla fatica di quei giorni, ci hanno fatto sentire al posto giusto nel momento giusto, una commozione inspiegabile che partiva dal cuore e ci ha fatto dire “E’ qui che voglio essere”. E allora lo sguardo un po’ cambia e le cose che si colgono sono diverse: al posto dell’immondizia maleodorante, noti la donna che, per pochi pesos, passa la giornata seduta sullo sgabellino a pulire aglio. La vedi, lì seduta, alza lo sguardo e ti sorride, ha poco o nulla lavora ed è stanca (le sue occhiaie lo indicano bene), però in quel sorriso e in quello sguardo trovi serenità, non rabbia, non tristezza. Fare tesoro di questi volti è stata la vera ricchezza.
Altra svolta fondamentale sono stati i giovani che abbiamo incontrato, con cui siamo riuscite ad intrecciare le nostre vite, a condividere per arricchirci, ad integrarci. Ragazzi della nostra età tanto simili a noi, ma anche tanto diversi per stile di vita e necessità. In loro abbiamo visto il grande lavoro operato dai padri canossiani che, grazie al progetto di adozioni a distanza, hanno insegnato loro che il posto dove nasci non condiziona per forza la tua vita per sempre, c’è possibilità di cambiamento! Basta mettersi in gioco e non smettere di sognare. È stata una ricchezza grande poter condividere i sogni con i giovani, vedere quanto a differenza nostra lottino e non possano dare nulla per scontato. Il nome del progetto di sostegno scolastico, fondato 29 anni fa dai padri, è “Una mano aiuta l’altra” per dire e ricordare che il bene genera bene. Infatti, molti dei ragazzi che hanno studiato grazie alle sponsorizzazioni ora si spendono nell’oratorio, nelle periferie e nel tutoring scolastico per aiutare i più piccoli e per donare a loro volta. Ed è stato così anche con noi: ci hanno donato tanto tempo, numerose domande, fiducia e gentilezza, storie da custodire e storie da raccontare. Ci hanno insegnato come i momenti di difficoltà, gli imprevisti possano diventare occasione di gioia e incontro.
Alla fine delle tre settimane ci riferivamo alla parrocchia di San Pablo come “nostra parrocchia” e all’appartamento come “nostra casa” senza nemmeno farci caso. Anche dopo il ritorno in Italia, parlando con gli amici, più volte è scappato un “noi” al posto di un “loro”. È la magia del donarsi a vicenda, è la magia che ti fa sentire che quel posto è “una casa lontana da casa”, come ci ha detto una sorella conosciuta durante il viaggio.
Abbiamo vissuto l’integrazione come condivisione e trasformazione reciproca, non come assimilazione. Siamo partite con l’idea di conoscere questa realtà, di imparare dal popolo Filippino. Non ci aspettavamo che questo intreccio di vite potesse avere un peso anche in chi ci ha accolto, un peso che ci ha portati a commuoverci insieme al momento dei saluti e ad abbracciarci con il desiderio di rincontrarci.
Federica Zanetti, Elisa Borsari, Beatrice Ferri.