Vito Fiorino c’era quel mattino a Lampedusa. La sera prima lui e altri sette amici avevano deciso di trascorrere la notte in mare, e mai si sarebbe immaginato che poche ore dopo avrebbe assistito ad una delle più grandi tragedie umanitarie del Mediterraneo.
La sua testimonianza ha scosso il Teatro Tempio di Modena, con il racconto del naufragio di un’imbarcazione con 543 migranti a bordo, nel quale hanno perso la vita 366 persone. Un episodio lontano cinque anni, che si inserisce in un fenomeno drammaticamente attuale e le parole del pescatore siciliano mettono i brividi: «Quando ho aperto gli occhi quella mattina ho sentito l’ancora che veniva tolta dal fondo e la barca muoversi per pochi secondi, poi si è spento il motore. Mi sono precipitato in coperta per chiedere ad uno degli amici che era con me, Alessandro, che cosa fosse accaduto, e lui mi ha risposto: “Non c’è nessun guasto, ma ho sentito vusciare”, che in siciliano significa gridare di dolore. Dopo 500 metri davanti ai miei occhi si è presentato uno scenario terrificante, con 200 persone in mare, che urlavano e chiedevano aiuto».
I sopravvissuti spiegheranno poi che erano in acqua da almeno tre ore, che si era rotta la cinghia del motore dell’imbarcazione e lo scafista aveva provato, senza successo, a raggiungere l’isola. «Ho lanciato il salvagente, – prosegue Fiorino – il primo che ho trascinato a bordo mi scivolava dalle mani perché era cosparso di gasolio. Ci ringraziava e i suoi occhi sembravano delle palle di fuoco. Gli abbiamo chiesto quante persone fossero in mare, ci ha risposto che erano più di 500. È in quel momento che ho capito che era in corso un’autentica tragedia».
Il pescatore non ha risparmiato critiche alle istituzioni: «Due grandi barche li avevano avvistati, ma poco prima due motovedette della Capitaneria di porto avevano portato a riva 400 persone e devono aver pensato che mille persone sulla banchina sarebbero state ingovernabili.
L’indifferenza nei confronti di questa barca ha causato la morte di 366 persone, che potevano essere salvate: un peccato mortale. La Capitaneria di porto, dopo aver risposto alle nostre prime chiamate, non si è fatta più sentire ed è uscita in mare alle 7.25, un’ora dopo il nostro primo allarme. Dieci giorni dopo il Comandante mi chiese di firmare un documento dove affermavo di averli avvisati alle 7.01. Non ho firmato». Le 47 persone che Vito Fiorino è riuscito a salvare col suo peschereccio Gamar quando lo vedono lo chiamano father, papà, e con loro si è creato un legame speciale: «Da quel giorno la mia vita è cambiata in bene, – conclude – perché in me è lievitata la determinazione e credo ancora più di prima nei valori della vita».