Articolo di Maria Elena Mele pubblicato su Nostro Tempo del 22 settembre 2019
Lo sguardo vivo e attento, il sorriso sempre sulle labbra: don Bledar Xhuli di strada ne ha fatta dalla fine dell’estate del 1993 quando da giovane ragazzo, appena 16 anni, ha deciso di lasciare il suo paese natio Fier, in Albania, per tentare la fortuna in Italia. Un viaggio con il barcone assieme ad altri connazionali per crearsi “un futuro migliore”. Ora, don Blady così si fa chiamare, è parroco a Santa Maria a Campi Bisenzio di Firenze. La sua è una storia singolare e umana che ha commosso anche Papa Francesco quando ha ascoltato la testimonianza, 4 anni fa, nel corso di un convegno svoltosi nel capoluogo toscano. L’onda di stupore e ammirazione è arrivata anche a Modena, precisamente alla Beata Vergine Mediatrice, parrocchia del quartiere Madonnina, dove don Blady è stato invitato da don Franco Borsari, incontro sostenuto dal centro missionario diocesano, affinché i parrocchiani ascoltassero l’incredibile esperienza del sacerdote albanese. Incredibile perché la vita, prima di incontrare Cristo, non gli ha risparmiato giornate dal sapore amaro e dalle delusioni cocenti. Un percorso tortuoso che ha generato anche legami forti, talmente stringenti e struggenti che lo hanno convertito fino a rispondere alla chiamata vocazionale.
“Sono sbarcato a Otranto, in Puglia” ci ha raccontato poco prima che incontrasse un gruppo di giovanissimi della parrocchia modenese “e dopo aver girovagato in alcune città del nord Italia, durante le quali ho trascorso intere giornate senza cibo ed un posto dove dormire, sono arrivato a Firenze dove ho raggiunto un amico il quale mi aveva assicurato che nel capoluogo toscano potevo avere da mangiare e da dormire gratuitamente. Grazie alla Caritas locale i pasti giornalieri non mancavano, il letto che avevo a disposizione, invece, si trovava sotto il ponte del torrente Mugnone”.
Che momenti sono stati? “E’ stato un periodo difficilissimo perché trascorrevo le giornate alla ricerca di un lavoro che mi consentisse di aiutate anche i miei familiari rimasti in Albania, ma trovare un’occupazione non era così semplice. Tutti i giorni pensavo: sono partito per crearmi un futuro migliore, in realtà il presente era ancor peggio di prima”. Poi l’incontro che gli ha cambiato letteralmente la vita e che, ancora oggi, è stampato nella sua memoria.
Cosa è successo? “Era il 1 dicembre 1993 e il mio amico mi aveva chiesto un favore: dovevo ritirargli una busta in una parrocchia di Firenze. Quando il sacerdote mi ha visto mi ha fatto tante domande: come mi chiamavo, quanti anni avevo e, soprattutto, dove vivevo. Dopo tanti mesi in Italia c’era una persona che si preoccupava per me. Quel prete mi aveva veramente stupito e colpito nella sua semplicità; si chiamava don Giancarlo Setti e per me è stato come un padre”. Una accoglienza quella di don Setti che ha varcato i confini delle parole e si è trasformata in concretezza. “Don Giancarlo appena ha saputo la mia situazione si è subito attivato affinché trovassi un lavoro. Dopo alcune ricerche senza esito mi ha detto: “Siccome per me è come se avesse bussato Gesù tu vieni a casa mia”. Parole sconvolgenti per un adolescente: “ho sperimentato una cosa molto bella: l’accoglienza che mi ha dato la possibilità di costruirmi una vita”.
Cosa è accaduto nei mesi successivi? “Don Giancarlo mi ha aiutato a trovare un lavoro, ma soprattutto ha riacceso in me l’interesse per gli studi. Ho trovato una occupazione presso un benzinaio e la sera frequentavo il corso serale di Ragioneria. Mi sono diplomato e successivamente iscritto alla Facoltà di Scienze Politiche”. Nel frattempo è cambiato anche il mestiere: “da benzinaio mi sono trovato a dirigere un McDonald’s. Era un lavoro part-time e questo mi ha permesso di laurearmi nel 2003”.
Quando hai capito di avere la vocazione? La risposta è anticipata da un solare sorriso: “Don Giancarlo mi ha presentato ai ragazzi della parrocchia con i quali giocavo tutte le domeniche. Alle 11 loro andavano a messa ed io rimanevo da solo. E’ successo una domenica, una seconda e alla terza, incuriosito, li ho seguiti anche se non ero battezzato. Sin da subito sono rimasto folgorato dalla liturgia, soprattutto dalla Bibbia. In particolare mi hanno interessato personaggi come Abramo, Davide e Giacobbe. Poi la storia di Gesù. Ho capito che Lui era il centro di tutto”. Gli episodi e gli aneddoti legati a l’Incontro (di proposito con la I maiuscola) si sprecano. “Una domenica ho seguito i miei nuovi amici a fare la comunione quando don Giancarlo mi ha visto in fila ha sgranato gli occhi e anziché darmi l’eucarestia mi ha sorriso e dato una pacca sulla spalla. Io ci sono rimasto malissimo per essere stato escluso da quel gesto. A fine messa sono andato da lui per chiedergli spiegazioni e mi ha risposto: “tu non sei battezzato” ed io ho replicato: “tutto qui? Allora facciamo il battesimo”. E lui ha incalzato: “ma c’è da fare il catechismo e tutta la preparazione” e così ho iniziato e nella Pasqua del 1994 mi sono battezzato, ho fatto la prima comunione e la cresima. Pensavo che tutto questo fosse un punto di arrivo, invece era il punto di partenza”.
Come è cambiata la sua vita? “Per spiegarlo uso le parole di don Giancarlo un giorno mi ha detto: prima ti chiedevi “cosa voglio fare della mia vita”, ora, la domanda che ti devi fare è “cosa vuole Dio da me?” Una provocazione che ha sempre accompagnato le giornate di don Blady tanto che ha rintracciato la risposta nella sua esperienza. “Era l’anno del Giubileo quando ho capito che dovevo diventare sacerdote”. Da quell’istante il dialogo con don Giancarlo si è fatto più serrato. “Quando gli ho comunicato che volevo lasciare l’Università per entrare in seminario lui mi ha risposto che se io avevo fretta, Dio non l’aveva”. Una pazienza quella dell’Onnipotente che con il passare del tempo è diventata vocazione nel cuore di don Blady. Una consegna totale e radicale a Gesù che si è incardinata nella sua esistenza attraverso l’incontro con un uomo che gli ha mostrato la semplicità di una vita fatta di accoglienza e di amore per il prossimo perché Cristo è presente non appena in chi bussa, ma in chi apre la porta di casa, della parrocchia e, soprattutto, del cuore.