#storiedimissione – Ezechiele Ramin

«E’ bello sognare di rendere felice tutta l’umanità.
Non è impossibile…»

BIOGRAFIA

Ezechiele Ramin, detto Lele, nacque a Padova il 9 febbraio 1953. Sin dalla prima giovinezza s’impegnò nel sostegno alle missioni entrando a far parte di Mani Tese nel 1971, trascorrendo i pomeriggi in vari impegni caritativi e passando le vacanze in campi di lavoro con altri giovani, per costruire case per i poveri in altre zone del Veneto). Proprio da queste attività in favore dei poveri del Sud del mondo, scaturì la sua vocazione missionaria, concretizzata poi dall’incontro con gli studenti del seminario dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù.
Nell’estate del 1972, dopo il diploma, condusse i suoi genitori davanti alla casa dei Missionari Comboniani a Padova e lì dichiarò loro quale Facoltà universitaria avrebbe scelto: «Questa è la mia facoltà, missionario d’Africa». Partì per Firenze, per il postulandato. In una lettera indirizzata ad un’amica, Paola Trevisan, nel Gennaio di quell’anno scrisse:
«La gente ha sempre bisogno di chi vuol fare del bene. Oggi ci sono molti esclusi, molti emarginati, molti dimenticati. Dimenticati negli ospedali, nelle carceri, emarginati negli ospizi, nei riformatori, nelle baracche, esclusi dalla vita umana. Come si può restare indifferenti a questo dolore dell’uomo?? Non sono un idealista, utopia non è Amare anche questa gente, utopia è non amare!! In un tempo come il nostro che ci ha soffocato il Cristo tra i grattaceli, l’asfalto, le strade, i treni, le macchine occorre trovare il volto del Cristo tra i fratelli, anche se vestono male, anche se non li conosciamo.»
Da Firenze, il 6 ottobre 1974 Ezechiele passò a Venegono Superiore (in provincia di Varese e diocesi di Milano) per il noviziato. Il 5 maggio 1976 professò i voti temporanei. Tuttavia, prima di emettere i voti perpetui, voleva essere sicuro della sua scelta. Anche lui, come i tanti giovani seminaristi e sacerdoti all’epoca, era alla ricerca della vera missione della Chiesa e si domandava quale dovesse essere la risposta ecclesiale di fronte alle ingiustizie sociali, che suscitavano in Italia e nel mondo guerre, guerriglie, rivolte e atti terroristici.
Domandò allora di poter espletare almeno una parte degli studi teologici in terra di missione, possibilmente in Uganda. Fu inviato invece in Inghilterra, dove rimase per tutto l’anno di studio 1976-’77.
Nel 1977 fu destinato poi allo scolasticato di Chicago dove ebbe occasione di visitare riserve indiane negli Stati Uniti d’America e la possibilità concreta di svolgere un’esperienza pastorale tra i “latinos”. Dopo poco più di due anni gli fu concesso di andare per un anno nella Bassa California messicana, prima dei voti perpetui e dell’ordinazione sacerdotale. Unendo affabilità e decisione, lavorò fra i ragazzi messicani organizzandoli in tutte le attività. In pari tempo, rivelò un grande senso della vita comunitaria e di apertura verso i poveri. Fu in questo periodo messicano, che le ombre sulla sua scelta di vita consacrata si dissiparono, come aveva tanto invocato, mentre vedeva che i suoi compagni di classe diventavano sacerdoti.
Il 18 maggio 1980, a Cabo San Lucas in Bassa California, pronunciò i voti perpetui. Tra le righe della formula-preghiera si legge: «Mi hai provato molto, però non mi è mai mancata la tua tenerezza e il tuo aiuto. Per questo, Signore, con molta tranquillità e serenità di cuore, metto tutti i miei giorni nelle tue mani, confidando sempre nella tua fedeltà verso di me…». Rientrato in Italia, Ezechiele venne ordinato sacerdote il 28 settembre 1980 da monsignor Edoardo Mason, nella chiesa di San Giuseppe a Padova, la sua parrocchia.

Come primo compito di novello sacerdote, fu inviato presso la comunità comboniana di corso Vittorio Emanuele a Napoli, come aiutante di padre Nando Caprini nell’animazione missionaria dei giovani. Rimase lì per circa tre anni ed operò anche tra i terremotati di San Mango sul Calore, un paesino dell’Irpinia che venne tragicamente colpito da un terremoto il 23 novembre 1980. C’era bisogno di tutto: dal recupero dei morti, al soccorso dei feriti, all’assistenza dei superstiti, specie vecchi e bambini. Padre Ezechiele rimase per un mese senza togliersi nemmeno le scarpe, riposando in qualche modo in una roulotte di due metri, che fungeva da ufficio parrocchiale e da centro di coordinamento aiuti. Nel 1981 tornò a Napoli al suo lavoro di animazione missionaria fra i giovani e con padre Nando condusse la campagna per la Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra ad Acerra. Nel 1982, per alcuni mesi, dovette sostituire l’animatore vocazionale dei ragazzi a Troia, in provincia di Foggia. Vi lavorò con entusiasmo, come lui stesso affermò in una delle tante lettere che scrisse: «Nonostante le delusioni, continuo a regalare ogni giorno le cose migliori di me stesso, come la fiducia, la simpatia, l’affetto e la testimonianza del Signore. Osservavo in questi giorni come il Cristo, pur avendo le mani inchiodate, mantiene aperte le braccia».

Il suo cuore comunque sognava altre terre, quelle dell’America del Sud. La permanenza nel Sud Italia gli confermò tale desiderio, che espresse ai suoi superiori. Si era fatto missionario per l’Africa, ma dopo aver studiato l’inglese, lo spagnolo e il francese, chiese di essere mandato in Brasile, dove si parla il portoghese. A gennaio 1984, padre Ezechiele partì per il Brasile rimanendo 6 mesi in Brasilia per studiare il portoghese. Poi fu destinato a Cacoal, nello Stato brasiliano di Rondônia, una diocesi di 214.000 km quadrati. Qui si rese presto conto dei soprusi a cui erano sottoposti contadini e indigeni, espropriati delle loro terre. L’1% dei proprietari terrieri, i latifondisti, controllava il 45% dell’intera area rurale del Brasile. 340 proprietari di terre possedevano 50 milioni di ettari, mentre 2 milioni e mezzo di contadini ne possedevano solo 5. Nell’evolversi della situazione politica, la Chiesa si schierò a difesa dei campesinos, ovvero i contadini, sfidando la forza dei proprietari, appoggiati dai pistoleros, uomini armati da loro assoldati. L’esercito non sempre riusciva ad intervenire. Molti sindacalisti, politici, contadini, capi di leghe contadine, ma anche sacerdoti e missionari, venivano uccisi perlopiù in imboscate. Poco prima che arrivasse a Cacoal, il 25 luglio 1984, giorno dedicato al lavoratore, la polizia aveva sparato contro il popolo in processione ad Aripuanã, presente il vescovo della diocesi di Ji-Paraná.
Doveva spostarsi in macchina, celebrando la Messa e incontrando i fedeli nelle chiesette di legno, spesso fatiscenti, costruite dai contadini stessi nella folta vegetazione amazzonica. Si esprimeva con un linguaggio diretto e franco: il suo amore per gli indios e per i contadini senza terra, era così evidente che aveva conquistato subito la loro fiducia. È restata memorabile l’omelia di padre Lele, tenuta il 17 febbraio 1985 alla gente di Cacoal. In essa il missionario rese quasi il suo testamento spirituale:
«Il padre che vi sta parlando ha ricevuto minacce di morte… Cari fratelli, se la mia vita vi appartiene, vi appartiene anche la mia morte […]. Le aree libere del nostro Stato di Rondônia, cioè la terra di nessuno, appartengono ai nostri fratelli senza terra, e non ai fazenderos avidi. No, perché non è questa la giustizia…».
Il 24 luglio 1985, padre Ezechiele e il suo amico sindacalista Adilio si accinsero a compiere una missione pacificatrice a circa cento chilometri dalla parrocchia di Cacoal. C’era la fazenda Catuva, un enorme latifondo di circa 80.000 ettari occupati abusivamente da Osmar Bruno Ribeiro. Nella zona molte famiglie cercavano un pezzo di terra per sfamare le loro famiglie ed avevano occupato in anticipo la terra lungo la strada che collegava lo Stato di Rondonia e il Mato Grosso addentrandosi nella fazenda Catuva. Per questa ragione i contadini erano passibili della ritorsione dei fazenderos e dei loro pistoleros; questi ultimi non aspettavano altro, per incassare quarantacinque dollari per ogni morto. Padre Ezechiele e Adilio arrivarono sul posto prima che si cominciasse a sparare. Cercarono di persuadere i contadini a non armarsi contro i proprietari, perché questi, invocando la legittima difesa, avrebbero senz’altro aperto il fuoco. Conveniva quindi avere pazienza: nel giro di qualche settimana sarebbero arrivati gli atti legali per l’assegnazione governativa. I contadini si convinsero e quindi si ritirarono. La mossa spiazzò i proprietari: quel giovane prete sapeva farsi obbedire dai contadini, per cui doveva essere pericoloso.
Sulla strada del ritorno a Cacoal, l’auto del missionario e del sindacalista cadde in un’imboscata: dopo una curva si trovò di fronte 7 guardie armate di tutto punto: una pioggia di colpi di armi da fuoco si abbatté su di loro. Adilio riuscì a buttarsi fuori dall’auto finendo nell’alta erba e si salvò. Invece padre Ezechiele uscì dall’auto e fece per avvicinarsi agli uomini armati gridando: «Sono un sacerdote, parliamo!». Cadde crivellato di colpi. Il suo corpo fu recuperato ventiquattr’ore dopo dalla polizia e dai confratelli di Cacoal. Non era stato toccato nulla, né dal morto né dalla macchina: poteva essere un segno che l’unica finalità degli assassini era quella di eliminare il missionario.
Dopo la cerimonia funebre a Cacoal con la partecipazione di tutti i fedeli della parrocchia, la sua salma, sigillata nella bara, fu trasportata prima a Porto Velho, poi a Rio de Janeiro e quindi in Italia. Il 2 agosto 1985 ci fu il solenne funerale nella sua parrocchia di San Giuseppe a Padova, presieduto dal vescovo di Padova e concelebrato da una settantina di sacerdoti. Nella preghiera dei fedeli, il fratello Paolo parlò così:
«…Per l’onore che hai voluto darci scegliendo in Ezechiele un ministro per il tuo popolo, noi ti ringraziamo, Signore. Sembrava nostro, ma ora capiamo che è di tutta la Chiesa a cui lo abbiamo consegnato. Nel dolore di questa morte, i miei genitori e fratelli, ti pregano di usare misericordia verso gli uccisori. Tu ci hai insegnato l’amore e il perdono. Sì, Padre Santo, noi non portiamo rancore per gli uccisori. Noi perdoniamo. Tu toccali con la tua grazia. Fa’ che la morte di Ezechiele, pastore del tuo gregge, porti frutti beneficando i suoi “campesinos”, in modo che essi possano raggiungere una vera dignità di uomini, in un ordine sociale ben più equo e giusto …».
I padri Comboniani hanno deciso di chiedere l’apertura della sua causa di beatificazione e canonizzazione, per l’accertamento dell’effettivo martirio in odio alla fede. L’inchiesta diocesana principale si è svolta nella diocesi di Ji-Paraná dal 1° aprile 2016 al 4 marzo 2017. A essa si è aggiunta l’inchiesta rogatoriale presso la diocesi di Padova, iniziata il 10 aprile 2016 e conclusa il 25 marzo 2017. Ora è al vaglio della Congregazione delle Cause dei Santi a Roma. I resti mortali di padre Ezechiele riposano a Padova.

PREGHIERA
Una cosa vorrei dirvi.
E’ una cosa speciale per coloro
che sono sensibili alle cose belle.
Abbiate un sogno.
Abbiate un bel sogno.
Seguite soltanto un sogno.
Il sogno di tutta la vita.
La vita che è un sogno è lieta.
Una vita che segue un sogno
si rinnova di giorno in giorno.
Sia il vostro un sogno che miri a rendere liete
non soltanto tutte le persone,
ma anche i loro discendenti.

Siti per approfondire

https://www.comboni.org/contenuti/100149
http://www.giovaniemissione.it/testimoni/letterelele.htm (le lettere)
http://www.giovaniemissione.it/categoria-testimoni/2174/ezechiele-ramin/
https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2019-01/sinodo-amazzonia-padre-ezechiele-ramin-martire-indigeni-bossi.html

VIDEO

La croce è la solidarietà di Dio, che assume il cammino e il dolore umano, non per renderlo eterno, ma per sopprimerlo. La maniera con cui vuole sopprimerlo non è attraverso la forza né col dominio, ma per la via dell’amore. Cristo predicò e visse questa nuova dimensione. La paura della morte non lo fece desistere dal suo progetto di amore. L’amore è più forte della morte.

(frase tratta dall’omelia ai fedeli del venerdì santo del 1985) http://www.giovaniemissione.it/testimoni/letteralele15.htm