#storiedimissione – Alejandro Labaka

Queste minoranze indigene sono i popoli originari dell’Ecuador,
sono i veri proprietari del loro paese, quelli che erano qui prima dello Stato,
molto prima della Repubblica e delle sue leggi.
Dobbiamo fare in modo che la società li riconosca come cittadini primordiali, li rispetti, li aiuti e li protegga

Alejandro Labaka, frate minore cappuccino, nasce in Spagna il 19 aprile 1920, a Beizama, nei Paesi Baschi.  Il suo “primo amore missionario”, come scrisse Labaka stesso in una lettera, fu la chiesa di Pingliang, in Cina. Ci arrivò nel 1947 e fu espulso nel 1953 con l’instaurarsi del regime comunista nel paese.
Nel 1954 diventa parroco a Pifo, piccola città ai piedi delle Ande ecuadoriane. Lì si dedica ai poveri della parrocchia e inizia l’accompagnamento alle popolazioni indigene della zona.
Dal 1965 è  vescovo del Vicariato Apostolico dell’Aguarico, una delle regioni amazzoniche dell’Ecuador.
La missione indigena
Al suo arrivo nel vicariato, si dedicò da subito alla nazionalità indigena Huaorani (o Aucas) e guidò la pastorale a loro dedicata. I Huaorani sono stati per millenni tra i popoli più isolati al mondo: vivevano in piccoli clan, dispersi in un territorio di foresta amazzonica molto ampio, che hanno sempre difeso anche con la forza, se necessario. Solo recentemente sono usciti dallo stato di isolamento, accettando il contatto con il mondo esterno.
Per 25 anni mons. Labaka lavorò a stretto contatto coi Huaorani, imparando a vestire, a mangiare, a vivere come loro, oltre che a parlare la loro lingua, il Huao. Fu anche adottato come “figlio di Huaorani” da una coppia, Inihua e Pahua, nel dicembre del 1977. Labaka arrivò ad essere conosciuto e apprezzato da tutti i gruppi questa nazionalità, tranne uno: i Tagaeri, un clan che non aveva mai accettato la intromissione di nessuno nel suo territorio e che rimaneva in auto isolamento.
Il grido della Selva
Gli anni 70 e 80 sono state due decadi difficili per la selva di quella regione: da una parte, lo stato incentivava coloni ecuadoriani a spostarsi nelle aree ancora incontaminate per abitarle e creare i primi insediamenti, che vennero eretti senza curarsi delle popolazioni indigene che già ci vivevano; dall’altra, in quelle che si sono rivelate terre ricche di petrolio, aveva avuto inizio l’estrazione, e la violenza espansiva di questa industria nei confronti degli abitanti e dell’ambiente si stava facendo sentire.
Quella che era l’allora compagnia petrolifera statale, la CEPE (Corporación Estatal Petrolera Ecuatoriana), stava contrattando gruppi armati per fare limpieza (pulizia) di tutti gli ostacoli che trovava nell’opera di sfruttamento delle risorse della foresta. Erano già diversi i casi di lavoratori della compagnia uccisi dai Tagaeri perché si erano inoltrati troppo a fondo nei loro territori.
Mons. Labaka denunciò costantemente l’operato di imprese petrolifere e governo rimanendo inascoltato, fino a quando si convinse che avvicinare di persona i Tagaeri fosse l’unico modo per renderli al corrente della minaccia dei gruppi armati e tentare di proteggerli. “Se non andiamo noi, li uccideranno tutti” disse Labaka ai suoi collaboratori.
Il martirio
Il 21 luglio del 1987 mons. Labaka, accompagnato dalla suora colombiana Inés Arango, si fece lasciare da un elicottero in un punto profondo della foresta, nelle vicinanze di una Maloca Tagaeri, una grande capanna usata come abitazione collettiva. Alejandro e Inés cercarono di convincerli a lasciarsi contattare e ad uscire dall’isolamento, nel tentativo di salvare la loro vita dalla distruzione dell’estrattivismo. Ma non ebbero successo. I loro corpi furono ritrovati il giorno successivo da alcuni colleghi della pastorale indigena, trafitti da non meno di venti lance.
Mentre era a Roma nel 1965 per il Concilio Vaticano II, Alejandro Labaka scrisse a papa Paolo VI: “… ho sentito molto forte dentro di me il mandato di predicare a tutte le genti e specialmente a questi Huaorani. È iniziata una campagna di avvicinamento ad essi, ma – questa è la mia domanda – fino a che punto posso esporre la vita dei missionari, dei laici e la mia propria per il Vangelo? Se nei disegni di Dio sarà necessario il sacrificio di qualche vita per portare Cristo a queste tribù, vogliate degnarvi di offrirci, insieme con la vittima divina, nella vostra Santa Messa, perché siamo degni di questa grazia e perché possiamo ottenere una benedizione speciale per tutti i missionari e per tutti coloro che ci sono stati affidati”.

Citazioni (di Alejandro Labaka)

La società non si vuole preoccupare dei piccoli popoli, ha altri problemi e si dimentica della gente che vive nella giungla. Però noi missionari, dobbiamo credere nel Vangelo, lì troviamo scritto che Gesù lasciò le 99 pecore per cercare una; anche se si è pochi si ha lo stesso valore; Gesù si è preoccupato dei piccoli degli abbandonati. Così dobbiamo fare anche noi

Queste minoranze indigene sono i popoli originari dell’Ecuador, sono i veri proprietari del loro paese, quelli che erano qui prima dello Stato, molto prima della Repubblica e delle sue leggi. Dobbiamo fare in modo che la società li riconosca come cittadini primordiali, li rispetti, li aiuti e li protegga

Preghiera
Come Inés e Alejandro siamo chiamati ed inviati dal Padre a vivere l’allegria di Gesù, ascoltando il grido dei poveri e il clamore della terra, per seminare amore e speranza, praticare la giustizia e il diritto, coltivare la terra e dare frutti di solidarietà e fraternità. Lo Spirito Santo ci animi ad essere missionari di pace per la difesa della vita!

Link per approfondire:
Documentario della REPAM (Red Eclesial PanAmazónica) sulla vita di Alejandro Labaka (in spagnolo)
https://www.youtube.com/watch?v=EBiKUgPHAkQ

La vita di Suor Inés Arango
http://www.terciariascapuchinas.org/italiano/ines_arango.htm

Intervista al vescovo Esteban Perez, successore di mons. Labaka nel Vicariato Apostolico dell’Aguarico (e altri articoli correlati)
http://www.rivistamissioniconsolata.it/2016/07/01/la-maledizione-del-petrolio/