Cari amici, spero d incontrarvi bene in questo tempo di pandemia. Vi penso e vi ringrazio sempre, per ció che siete per noi missionari. Ora mi é caro raccontarvi ció che stó vivendo in questi giorni qui in Mozambico. Dopo aver vissuto vari anni a Padova con i giovani, sono ritornato in Mozambico nel settembre del 2017 e subito dopo alcuni giorni il nostro sindaco della cittá (Amurane), uomo onesto, coraggioso e di grande speranza per il popolo mozambicano, é stato barbaramente ucciso, proprio nel giorno in cui si celebrava l’anniversario dell’accordo di Pace (4 -10-1992), tra i due partiti Renamo e Frelimo che si erano combattuti per 16 anni.
Nelle stesso tempo nella zona nord del Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado erano cominciati attacchi e massacri nei confronti di un popolo innocente, colpevole di essere nato proprio lí dove si erano scoperti vari giacimenti di minerali preziosi e di un grandissimo giacimento di gas. Questi attacchi “fantasma” non avevavo un volto chiaro, ma poco a poco si capisce che sono gruppi islamici radicali, che vogliono inpossessarsi di quelle terre che improvvisamente sono diventate l’idolo di chi non ha Dio nel cuore, sebbene lo proclamano con la voce o con il credo. In poco tempo la povera gente, uccisa barbaramente e vedendosi non protetta con determinazione dallo Stato mozambicano (perché???), é stata ed é costretta a fuggire e rifugiarsi in zone per ora piú sicure, sebbene non sappiamo se domani lo saranno ancora. Cosí sono arrivati e arrivano nella provincia di Nampula in massa e in particolare nella parrocchia di S. Cruz, periferia della citta dovo accompagno il popolo affidatomi.
Fino ad ora sono giá arrivati in 3.000 nel territorio della parrocchia, ma in tutto il Mozambico sono piú di 200.000 gli sfollati, con tanti morti. Ed ogni giorno famiglie nuove arrivano stremate dal viaggio, con nel cuore una profonda tristezza per aver perso i propri beni, aver sentito che le loro case sono state bruciate, aver lasciato la propria terra e spesso con il cuore lacerato per aver visto i propri cari rapiti o massacrati. Il dolore aumenta quando raccontano di non aver potuto nemmeno sepellire i propri familiari e amici per il pericolo di essere uccisi, cosí da essere rimasti in preda degli animali. Da notizie di testimoni credibili, i corpi in alcuni casi, vengono tagliati e mischiati con altri per non essere riconosciuti e sepolti con um minimo di dignitá. Una violenza diabolica estrema in cui l’essere umano puó arrivare.
In questi ultimi tre mesi, sebbene nella nostra cittá c’e’ la contaminazione comunitaria del Coronavirus, con le sue regole che conosciamo bene, il nostro imperativo evangelico ci dice che non possiamo lasciarli soli e stare “in casa” per proteggersi, aggraverebbe ancor di piú la loro passione e gli toglierebbe ogni speranza. Per cui la loro venuta ci ha provocato a riconoscere in loro la passione del volto umano di Dio che in Gesu continua a perpetuarsi in questi volti e storie.
All’inizio abbiamo coinvolto i nostri animatori della caritá e subito abbiamo distribuito ció che avevamo, poi non avendo piú nulla, abbiamo chiesto aiuto e le missionarie comboniane si sono fatte prossime comprando coperte, farina, fagioli, olio,…. Dopo una settimana, non avendo piu nulla, le sorelle della Caritá di Madre Teresa di Calcutta, sono intervenute e in seguito anche la Caritas diocesana ha sentito l’afflizione ed ha steso la mano per tre volte. Anche Acnur ci ha dato un piccolo aiuto, assieme a una organizzazione dello Stato che appoggia i refugiati. Ma tutto finisce in fretta, perché negli ultimi mesi arrivavano in media 250-300 nuovi refugiati ogni settimana in parrocchia. Ho chiesto con forza al PMA (Programa Mondiale Alimentare) di intervenire, ma ancora non ha assunto con piena responsabilitá la gravitá della situazione della povera gente che arriva, cosi in questi giorni molti sono affamati. Purtropo un piccolo di 4 mesi non ce l’ha fatta per la denutrizione della mamma. Il nostro cuore ci addolora. E i luoghi da assistere anche per loro sono molti.
La parrocchia coinvolgendo varie realtá descritte e con il progetto dei comboniani ”Aiuto ai refugiati di Nampula”, iniziativa questa che abbiamo lanciato da due mesi, cerca di assicurare la prima accoglienza (farina e fagioli per almeno una settimana, sapone, coperte, secchi, stuoie,..), ma poi chiediamo al Governo di fare la sua parte come primo responsabile. Qui peró i ritardi e il non sentire sufficientemente la sofferenza di questa “carne di Cristo”, fa che questa povera gente, varie volte viene sollecitata ad andare a ricevere qualcosa e ritorna a casa senza nulla. Le famiglie poi che accolgono con cuore aperto gli sfollati, sono in difficoltá per il numero elevato di persone che arrivano; il cibo poi scarseggia per tutti e il non sapere cosa sará il domani crea un clima di frustrazione.
La stttimana scorsa mentre preparavo questo scritto, mi hanno chiamato per assistere un gruppo di 36 persone arrivate senza nulla, 27 erano bambini con ferite ai piedi per il lungo camminare; le loro case sono state bruciate, tutti erano stremati e sistemati in due piccole casette nello stesso cortile, con tutto il problema del distanziamento sociale di questa pandemia che risulta impossibile da praticare.
In questo momento soffro nel vedere questi fratelli umiliati ancora una volta, sebbene é da lodare tanto gli animatori della parrocchia che instancabilmente si dedicano all’accoglienza, sapendo di esporsi al pericolo della contaminazione, oltre a vivere in un anno di carestia alimentare per la scarsitá delle pioggie. La santitá, grazie a Dio, a loro non manca e questo ci consola e ci spinge a non mollare. Anche i segni di speranza non mancano: le sorelle comboniane con sr. Laura e sr. Rita, hanno iniziato un piccolo progetto di micro-credito con alcune famiglie di refugiati. Acnur vorrebbe fare altettanto, ma le procedure sono sempre lunghe; il governo stá pensando a un luogo per collocare questo grande popolo di rifugiati, progettando di costruire casette e dare loro un pezzetto di terra, ma per tutto questo sappiamo che i tempi di realizzazione sono sempre lunghi. Si lotta e si spera e non ci si arrende. E quello che ci ha insegnato Gesú e il Comboni.
Cosí sollecitiamo i nostri giovani a prendersi a cuore questa gioventú che arriva ferita nei loro sogni. Invitiamo le nostre mamme della parrocchia, che sebbene vivono nella povertá, possono condividere gli indumenti della propria famiglia con coloro che non hanno un vestito di ricambio,… concretamente vogliamo che la parrocchia sia un cantiere aperto di caritá, di ascolto, di cura e di accoglienza. Crediamo che solo incontrandoci e mettendoci in gioco con loro, ne usciremo credibili e resuscitati. Crediamo che solo entrando nella com-passione di Gesú per loro, permetterá di sentirli parte di noi” e ci ritroveremo insieme in un cammino di speranza. Un cammino che per essere fecondo ´deve essere fatto in un ascolto profondo dove Dio si rivela, pensando che loro “non sono tanto un problema da risolvere” ma una opportunitá per salvarci dalla dittatura del proprio io posto al centro di tutto ( il vangelo ci invita infatti a “perdersi in Lui per amore per ritrovarsi umani e allo stesso tempo capaci di assumere la sua divinitá in noi: “chi perde la propria vita per me, la ritroverá” Mt 13,13-23).
Sono convinto che come ci insegna il vangelo, si vive veramente se permetti all’altro di incontrarti, curarti, convertirti e lasciarlo che possa risorgere in te. Se non avremo questo coraggio ci saranno sempre “avvoltoi” che approfittano della loro condizione di fragilitá, per proporre cammini di vita senza uscite. Ma questo sarebbe una sconfitta per tutti.
Vi racconto ora in breve alcune storie dure, ma purtroppo vere, ascoltate mentre li visitavo. Ricordo in una famiglia una ragazza di nome Ancha che é riuscita a fuggire quando é stata rapita da questi “insurgenti”. Lei ci guardava con gli occhi tristi e ancora spaventati. Non avendo il coraggio di parlare, i suoi familiari ci dicevano che il suo fratello di 13 anni é stato rapito, cosí come la sorella con la sua piccola creatura appena nata. Questa stessa sorella rapita, era anche la mamma di una piccola creatura che ci guardava e che spesso piange chiedendosi dove sará la sua mamma. Ci raccontavano che quando fuggivano dagli attacchi, sono rimasti nei boschi per sette giorni senza cibo, cercando di nutrirsi di un tubero amaro che spesso fa male alla salute. Ho incontrato una vecchietta di 85 anni che nonostante ció che ha passato, aveva il coraggio di sorridermi senza i suoi denti; lei mi raccontava che era stata costretta a fuggire e rimanere nei boschi vari giorni senza nulla. In un’altra famiglia un giovane ci diceva che il suo fratello era stato ucciso assieme ad altri 51 persone, quasi tutti giovani, solo per il motivo di essere cristiani e di non voler combattere al loro fianco. Sono i martiri di Chitachi, martiri della pace e della non- violenza. La loro mamma presente ci ascoltava in silenzio.
Mi ha colpito anche la storia di una piccola bambina di due anni di nome Zainabo, che mentre arrivavano queste bande armate di mattino presto, tutti fuggivano per salvarsi, ma lei inconsciente rimase a dormire. La sorella che giá si trovava al sicuro e vedendo che mancava la piccola, decise di ritornare a prenderla incontrando questi miliziani, ma grazie a Dio é riuscita a salvare la piccola prima che la casa fosse bruciata. Fatto questo che molte volte non avviene. La piccola ci guardava con i suoi occhi splendidi, dono che il buon Dio ha donato a questi bambi. In un’altra casa abbiamo incontrato una ragazza che aveva appena dato alla luce una nuova creatura dopo un viaggio di stenti. La ragazza sfinita é stata portata subito all’ospedale per un parto avvenuto in mezzo a traumi e fatiche disumane. La povera mamma non aveva nemmeno un panno per coprire la nuova creatura. I poveri cristiani, ma ricchi di amore hanno subito condiviso il poco che avevano. Sembra che la storia di Erode e dei piccoli innocenti si ripeta sempre, ma c’é sempre un piccolo Gesú che vince la forza della violenza.
Teresina, una donna vedova e dal cuore grande, che conosce il popolo Maconde e la sua lingua, in questi giorni é instancabile nel presentarci tante famiglie che arrivano senza nulla. Due settimane fa, ci ha detto che suo figlio é stato chiamato ad andare a combattere in prima linea contro queste bande armate; lei stessa e la sua famiglia lo invitavano a non andare, perché spesso non sono ben attrazzati per resistere e neutralizzare queste violenze, ma lui ha detto: “ non posso abbndonare il mio popolo e il giuramento che ho fatto come soldato di difenderlo”. La realtá ci dice che spesso gli stessi militari, giovani ragazzi lasciati in balia di forze superiori, varie volte per salvarsi si tolgono gli indumenti propri e fuggono anche loro nei boschi, oppure vengono barbaramente uccisi.
Infine in un’altra famiglia ho incontrato 35 persone accolte, molti erano bambini e i vecchi camminavano a stenti. Il loro cuore era pieno di amarezza, per aver dovuto lasciare la loro terra amata che li ha accolti e alimentati nella loro vita, senza sapere se potranno un giorno ritornare. Ora ci viene chiaro alla mente le parole di Papa Francesco, quando ci invita a credere che la Chiesa in questo tempo la vede come un “ospedale da campo che lenisce le ferite”, una chiesa che stá accanto ai crocifissi di questa storia, che si fa Chiesa della “visitazione”, una Chiesa che sente il dolore di un parto per far nascere la profezia, come ci insegna Maria visitando Isabetta e il futuro profeta Giovanni Battista. Una profezia dove Dio sa capovolgere i potenti e dare speranza e vita ai suoi figli umiliati, con la forza della tenerezza e della vicinanza (cf. Il canto del Magnifica”).
Una Chiesa che osa uscire con coraggio per incontrare quell’umanitá ferita e smarrita, e che non ha paura di sporcarsi i piedi e le mani per ridonarle dignitá di essere riconosciuta come figlia amata dal padre di tutti. Sono certo che questa esperienza che sto vivendo, non é un “incidente di percorso”, ma opportunita e dono per vivere e immergermi in quella pienezza di vita, che ci permette di essere risorti nel momento in cui accettiamo di condividere la croce di questi nostri fratelli inocenti, che in questi giorni ci sono maestri e testimoni della forza della vita che Gesú gli ha dato.
Credo che alla fine di tutto, l’amore vincerá, perché l’ultima parola non la pronuncieranno i potenti o i disumani di turno, ma quel Dio crocifisso che muore anche per questi insensati e stolti uomini che si lasciano manipolare da interessi occulti e da persone che hanno perso il volto umano. L’Apocalisse, l’ultimo libro della bibbia, termina con la vittoria dell’Agnello Immolato, che versando il proprio sangue ha il potere di riunire tutta la storia umana e dargli il suo vero e profondo significato. In Lui si rallegrará pienamente chi riconoscerá di averlo accolto e vissuto in questa vita, incerta, a volte oscura e inconprensibile, ma allo stesso tempo meravigliosa perché in Lui tutto si trasforma, cosí anche il male e l’oscuritá perderá il suo potere e fiorirá ogni gesto d’amore seminato e generato in questa storia che l’amore smisurato di Dio ci ha voluti, per ricrearci como figli nel figlio. Coraggio allora caro fratello e sorella, vivi con passione la tua missione. Grazie per camminare insieme, uniti nella preghiera che ci apre il cuore a Dio e ai fratelli, con amicizia e riconoscenza, Davide
Nampula- Mozambico- 17-8-20
Carissimi, oltre a voi, se conoscete qualcuno che vorrebbe darci una mano nel condividere la compassione di Dio, vi passo alcune coordinate del progetto che noi comboniani del Mozambico abbiamo pensato in questo momento per accogliere gli sfollati:
“Conto Corrente Postale 28 39 43 77” – intestato ai “Missionari Comboniani – Mondo Aperto – ONLUS – Vicolo Pozzo nº 1 – 37129 Verona (VR)”. Specificare sempre e bene la causale: “Offerta per: progetto regugiati di guerra, p. Davide- Nampula – Mozambico-”. Per coloro che desiderassero effettuare i versamenti attraverso la banca (bonifico bancario) possono utilizzare l’apposito conto corrente bancario presso:Banca Unicredit – Piazza Isolo 19 – 37129 Verona intestato sempre a: “MISSIONARI COMBONIANI – MONDO APERTO – ONLUS”, Vicolo Pozzo, 1 – 37129 Verona, con le seguenti coordinate bancarie: IBAN: IT 67 M 02008 11708 000005559379