Lettera di Natale di fr Alberto Degan dall’Ecuador

In allegato la lettera di fr Alberto in PDF

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“PRENDI CON TE IL BAMBINO!”

Lettera di Natale

 Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu gli darai il nome ‘Gesù’…
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore…”
(Mt 1).

Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo». Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre, e nella notte fuggì in Egitto” (Mt 2).

 “Custode del Redentore”

Sin dall’inizio, la vita di Gesù é a rischio. In un primo momento rischia l’emarginazione sociale, per essere figlio di una ragazza-madre e non avere un padre che lo riconosca. E in un secondo momento rischia addirittura di essere ucciso dal re. In entrambi i casi, è Giuseppe che custodisce il bambino e lo salva dall’emarginazione sociale e dalla persecuzione dei potenti.

Per questo lo sposo di Maria è ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa come ‘Custode del Redentore’. Dire ‘custode del redentore’ è come dire ‘custode del progetto di redenzione voluto da Dio’. In ebraico, ‘redenzione’ propriamente significa ‘liberazione dalla schiavitù’. Il ‘redentore’ – Goel – era il parente più forte e più ricco che difendeva i membri del suo clan, pagando – quando fosse necessario – i loro debiti, liberando cosí quei parenti che fossero caduti in stato di schiavitù a causa di questi debiti. In realtá, tutti noi siamo chiamati ad essere custodi della redenzione, cioè custodi di questo progetto di liberazione dell’umanità. ‘Servus non habet personam’, dicevano le leggi imperiali, cioè ‘lo schiavo non ha i diritti che si riconoscono a una persona, lo schiavo non è persona’. Il Goel, dunque, ci salva da questa condizione di non-persona: la principale schiavitù da cui il Signore voleva e vuole liberarci è quella condizione in cui l’essere umano è trattato come non-persona, come essere privo di diritti e alla mercè del potente di turno.

Prendi con te il Bambino!

Gesù, senza nessun padre che lo riconosca, sarebbe stato giuridicamente una non-persona. In quella societá, infatti, il figlio di una ragazza-madre era una persona di seconda categoria, oggetto di emarginazione e disprezzo sociale. “Prendi con te il bambino!”: l’angelo di Dio ci supplica di trattare con tenerezza tutti coloro che sono disprezzati o dimenticati dalla societá, e ci chiede di prenderci a cuore la loro vita.

Anche oggi ci sono intere categorie di persone abbandonate a se stesse: senza fissa dimora, bambini di famiglie ‘disintegrate’, anziani, immigrati, etc. Il cristiano è colui che cerca di rispondere con passione a questo appello di Dio: “Prendi con te questo bambino, questo figlio di una ragazza-madre cui la legge non riconosce nessun diritto! Prendi con te lo straniero disprezzato e sfruttato! Prendi con te il giovane violento e disorientato! Prendi con te l’anziano ‘inutile’ e abbandonato!”. La Buona Notizia del Natale non sarebbe stata possibile se Giuseppe non avesse accolto questo grido dell’Angelo. Anche oggi, non è possibile annunciare nessun Vangelo se non accogliamo con passione questa forte esortazione dell’Angelo di Dio.

Gesù ci prende con sè

Nell’originale greco del Vangelo ‘prendere con sé’ si dice paralambano, un verbo che molto spesso è

applicato anche a Gesù, di cui più volte si dice che ci prende con sé. “Da dove gli viene questa sapienza? Non è il figlio del falegname?” (Mt 13,54), domandano sorpresi gli abitanti di Nazareth. Ebbene, questa ‘sapienza’, questa capacità di prendere con sé i fratelli e le sorelle emarginate Gesú l’ha appresa proprio da suo padre falegname!

Il Nazzareno usa il verbo paralambano anche nel suo ultimo discorso ai discepoli: “Quando sarò andato… verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14,3). Giuseppe l’ha preso con sé, l’ha reso parte della sua vita per sempre. Gesù, dunque, ha fatto esperienza di una persona che, pur non avendo nessun obbligo ‘biologico’ nei suoi confronti, non ha voluto abbandonarlo in uno stato di emarginazione e ha deciso di prendersi a cuore la sua vita. Fatta propria la lezione che gli ha insegnato il suo papá putativo, adesso Gesú non vuole che nessuno si senta abbandonato o disprezzato, e ci prende con sé in una relazione eterna.

Johan, un giovane di Bogotá, quando è nata sua figlia ha scritto su facebook: ‘Samanta: un amore per tutta la vita!’. L’amore di Gesú è cosí: ci prende con sé perché vuole che facciamo parte stabilmente della sua vita. Il Figlio di Dio esprime qui un desiderio di comunione piena: non gli basta stare con noi un giorno alla settimana, o un mese all’anno; vuole che dove è Lui siamo anche noi, ci chiama a una relazione che dura tutta la vita.

Secondo la mentalità postmoderna “prendere con sé” qualcuno – almeno qualcuno che non è della tua famiglia – è un’assurdità, perché ti costringe a preoccuparti per l’altro, e così non ti concentri più solo sui tuoi interessi. In quest’ottica, prendere con sé qualcuno significherebbe perdere la propria tranquillità personale e rinunciare alla propria felicità. Giuseppe avrebbe potuto avere una vita tranquilla a Nazareth, e invece è costretto a fuggire, ad andare in Egitto, a sperimentare la precarietà di una vita da profugo, ad affrontare l’inimicizia e la furia dei potenti!!! Ma cosa c’entrava lui? Chi glielo fa fare di mettere a soqquadro tutta la sua vita?

Io penso che Giuseppe lo fa perché sa che solo in questo modo la sua vita sarebbe una vita umana, una vita bella. Se abbandonasse Maria e il bimbo al loro destino, al disprezzo sociale e alla furia dei potenti, forse la sua vita sarebbe più al sicuro, più tranquilla, ma sarebbe una sicurezza e una tranquillità che sa di vuoto e di tristezza.

Così, dopo aver fatto l’esperienza di essere salvato dalla sua condizione di ‘non persona’ grazie all’amore di Giuseppe, adesso Gesú prende con sé tutti coloro che in quella societá erano considerati ‘non persone’ o persone di seconda categoria – le donne, i bambini, i lebbrosi, gli stranieri, i peccatori – amandoli come figli e figlie privilegiate di Dio.

In Ecuador

Questa esortazione dell’angelo (“Prendi con te il bambino!”), mi appare piú urgente che mai qui in Ecuador, dove sono arrivato da circa due settimane. Ho ritrovato qui vari giovani che facevano parte dei ‘miei’ gruppi giovanili di 10-12 anni fa. Adesso hanno tra i 25 e i 30 anni. Molti di loro sono padri di famiglia, e alcuni, come Carlitos e Jordan, hanno giá 4 figli. Carlitos e Jordan, a causa della pandemia, hanno perso il lavoro, e adesso devono accontentarsi di qualche cachuelo saltuario, che peró non basta per dar da mangiare a tutta la famiglia. In effetti, secondo dati ufficiali appena usciti, l’Ecuador è il secondo paese dell’America Latina (dopo il Guatemala) per denutrizione infantile. Carlitos e Jordan sono due papá molto responsabili. Carlitos, a 25 anni, lotta con passione ogni giorno per procurare il cibo ai propri figli. Ma non tutti i papá sono come loro. Uno dei problemi principali di tante famiglie, infatti, è l’assenza della figura paterna. La signora Marta, ad esempio, ha 5 figli, ma suo marito vive da anni con un’altra donna. “Quando viene a trovarci”, mi dice il figlio maggiore, Jorge, “mio papá si preoccupa per noi, cerca di aiutarci, ed è molto affettuoso, ma poi per il resto dell’anno non lo vediamo piú”. E cosí la signora Marta deve preoccuparsi di sfamare 5 figli, e non ha lavoro.

Poi c’è Marcelo, un giovane di 15 anni: è il figlio maggiore di suo padre, che poi ha avuto altri 3 figli da altre 3 donne. Adesso il padre vive con il figlio piú piccolo, e di Marcelo quasi non si preoccupa. Cosí Marcelo, che ha i voti piú alti della sua classe, sará probabilmente costretto a lasciare il liceo, perché quello che guadagna sua mamma è appena sufficiente per mangiare.

Per questo considero piú che mai fondamentale la pastorale familiare, per educare soprattutto gli uomini ad una genitorialitá responsabile. Ho giá parlato con alcune giovani coppie, e vogliamo riprendere la pastorale familiare afro, che avevamo iniziato tanti anni fa e che poi, per vari motivi, si é interrotta.

Le ‘ragazze’ del CAS

Sto dedicando questi primi giorni a Guayaquil ad incontrarmi con i vari gruppi legati al Centro Afro. Fra questi c’è il CAS, la Comunitá di Apostolato Sociale: sono ‘ragazze’ ultracinquantenni con un cuore grandissimo, disposte ad aiutare questi bambini e questi giovani. “Il campo dell’apostolato sociale che si profila davanti a noi è immenso”, ho detto loro. “Quello che facciamo è solo una goccia, ovviamente, ma se non ci fosse questa goccia la situazione sarebbe ancora peggiore”. Fra queste ‘ragazze’ c’è la signora Orfilia, che il prossimo mese prenderá in affido due bambini di 9 e 7 anni, praticamente abbandonati dai genitori. Ammiro molto Orfilia perché, a 51 anni, questa scelta rivoluzionerá la sua vita; anche lei, come san Giuseppe, è disposta a perdere la sua ‘tranquillitá’.

Chiamati a svegliarci ed alzarci

Tutte queste mamme e papá che lottano quotidianamente per la sopravvivenza della loro famiglia non fanno notizia, non entrano nei telegiornali, che sono invece tutti concentrati sull’imminente vaccino che dovrebbe essere messo in commercio. Come sempre, la realtá piú vera e diffusa rimane invisibilizzata. Ancora una volta, dunque, nostro compito è quello di visibilizzare quella sofferenza e quella lotta che costituisce la vita quotidiana di una gran parte della popolazione mondiale.

Naturalmente, “prendere con sé il bambino”, come ha fatto Giuseppe, non significa fargli un regalo una volta all’anno, ma significa farci carico della sua vita e della sua dignitá, pronti anche a sfidare la prepotenza e la persecuzione dell’Erode di turno. Oggi Erode non ha il volto di una sola persona: Erode sono tutti quei meccanismi che reggono l’economia mondiale e che ci hanno condotti a considerare normali le abissali disuguaglianze che condannano all’inferno una buona parte dell’umanitá. In quest’ottica, l’invito dell’Angelo a svegliarci e ad alzarci è piú attuale che mai: dobbiamo svegliarci da quel torpore che ci fa accettare come inevitabile una situazione di disuguaglianza e ingiustizia che 20 anni fa ci avrebbe invece riempito di indignazione. “Álzati e prendi il bambino!”: per prenderci a cuore la vita dell’umanitá emarginata è necessario uscire dal nostro intontimento mediatico ed alzarci per agire e lottare contro la globalizzazione dell’ingiustizia e dell’indifferenza, a favore di una societá fraterna.

Che san Giuseppe ci aiuti ad ascoltare la voce dell’Angelo, e ci insegni a “prendere con noi il bambino”, cioè a fare nostra la causa di tanti piccoli, tanti giovani, tante mamme e papá che hanno bisogno della nostra vicinanza e della nostra solidarietá!

Buona preparazione al Natale!,

fratel Alberto.