Lettera di Giulia da Ambohimandroso (Madagascar)

Da qualche giorno si è concluso il mio mese ad Ambohimandroso, un villaggio che si trova a circa 90 km dalla capitale e il cui nome significa “villaggio sviluppato”, soprattutto per la presenza di numerosi commercianti e per il percorso di crescita che piano piano sta affrontando.

A volte, però, ti chiedi davvero cosa voglia dire sviluppo, o almeno cosa significhi secondo i nostri standard. Eppure, se provi a guardarlo con occhi diversi, quello sviluppo esiste ed è fatto di una comunità determinata, che va avanti, si sostiene e trova sempre una soluzione.

Ambohimandroso è un villaggio “vivo”, pieno di bellezza. Ovunque ti giri trovi campi immensi coltivati, un mercato ricco di colori e profumi, persone che vendono di tutto: dalla frutta ai pezzi di ricambio per le biciclette. Musica ovunque e strade  affollate di biciclette, taxi-brousse, carretti, persone che trasportano qualsiasi cosa sulla testa e baracchine che vendono cibo a qualsiasi ora.

Ma Ambohimandroso è anche altro. Ci sono momenti in cui la vita diventa meno semplice: durante la stagione delle piogge la corrente salta due o tre volte al giorno, a volte per pochi minuti, altre per ore e non tutti hanno i pannelli solari, così si ritrovano a sfruttare la luce sole, o a cucinare al lume delle candele. Anche l’acqua va e viene: alcune case non hanno proprio un accesso diretto e ogni giorno devono andare al pozzo o scendere al fiume per fare il bucato. Quando piove, le strade — quasi tutte sterrate — si trasformano in fiumi di fango, rendendo ogni spostamento difficile.

Eppure, ciò che per noi sarebbe un disagio, per gli abitanti di Ambohimandroso è semplicemente la quotidianità. La loro forza sta proprio qui: nella resilienza, nel non fermarsi, nell’adattarsi, nel continuare a vivere trovando sempre soluzioni e un modo per andare avanti.

Alla fine capisci che lo sviluppo non è solo ciò che vedi, ma ciò che una comunità riesce a costruire insieme,  passo dopo passo.

Ad Ambohimandroso la mia settimana, dal lunedì al venerdì, si svolgeva principalmente in tre luoghi: la casa, la scuola e la chiesa, tutti all’interno dello stesso grande cortile. Nella comunità ognuna aveva un compito preciso e un ruolo ben definito: c’era chi si dedicava alla scuola, chi seguiva le adozioni, chi si occupava del dispensario, chi era responsabile del campo. Anche io avevo il mio piccolo incarico: andare a scuola.

In realtà quello che facevo era abbastanza limitato, perché principalmente osservavo il lavoro degli insegnanti e la didattica, cercando di uscire dall’ottica del “noi lo facciamo in questo modo” o “noi non lo avremmo fatto così”. Provavo piuttosto a guardare come lo fanno loro, quali metodi utilizzano e come sono strutturate le lezioni. Approfittando della possibilità di vedere la scuola in Madagascar, ho deciso di parlarne anche nella tesi di laurea, portando così un po’ di Madagascar in Italia.

Certo, non sempre capivo tutto, ma una cosa che ho apprezzato molto è stata la disponibilità delle insegnanti nel provare a spiegarmi ciò che stavano facendo e nel rendermi partecipe durante le lezioni. Tra gesti, qualche frase in francese e poche parole in italiano riuscivamo, in qualche modo, a comunicare e a capirci.

Con i bambini, invece, la comunicazione era più semplice, nonostante non parlassero né francese né italiano. A volte bastava una parola o un piccolo gesto e iniziavano lunghissime sessioni di gioco.

Al di là della scuola, di cui potrei parlare ancora per molto (ma lo farò a voce), un altro momento che mi piaceva sempre tanto e che mi faceva dire “ok, è finita la settimana” era il sabato. Al mattino l’appuntamento fisso era il mercato, dove si poteva trovare di tutto: dalla frutta ai vestiti, da chi vendeva mobili o pezzi di ricambio per moto e biciclette, a chi cucinava o tagliava i capelli. Un insieme di cose, a volte anche un po’ contraddittorie.

Il pomeriggio, invece, si restava a casa e, tra giochi di società e tornei infiniti di pinnacolo, passavamo il tempo insieme. Un momento semplice ma molto ricco, dove la relazione e lo stare insieme erano davvero al primo posto.

Sono stati giorni semplici, fatti di piccoli gesti quotidiani, in cui ho imparato a fermarmi,  ad osservare, a lasciarmi coinvolgere anche quando non sempre capivo tutto.

Ora il mio viaggio continuerà Ampahimanga!

ecco alcune foto: