I giovani in partenza all’aeroporto di Bologna
Perché partire? Questa è la domanda che si sono posti alla vigilia del campo i giovani che questa estate andranno prima a Palermo e poi a Lampedusa. Guardandosi negli occhi, per la prima volta tutti riuniti, provano a cercare una risposta negli sguardi dei compagni di viaggio, nelle loro storie, ma sono davvero diversi, in tutto. Forse l’unica cosa che li accomuna è la volontà di un incontro/scontro con una realtà scomoda, troppo spesso trattata con superficialità e inevitabilmente filtrata dai mass media. Ecco un primo motivo per partire: azzerare le distanze, anche geografiche, per vedere con i loro occhi e toccare con le loro mani. Raccontare un fenomeno complesso come quello migratorio non è facile, ma sicuramente chi lo ha vissuto in prima persona, sulla propria barca, nella propria casa, può darne un quadro più limpido. Le voci dei pescatori, i racconti degli isolani, senza tutti quei chilometri che trasformano i gesti quotidiani in notizie di stampa, devono essere sembrati un buon motivo per decidere di partire. Guardando più a fondo, partire è un gesto politico. Non partitico, né di destra né di sinistra, ma profondamente politico. Perché vuole creare un ponte, tendere una mano, avvicinarsi a un continente a cui siamo legati in maniera indissolubile, anche se spesso è più comodo fare finta che al di là del mare non ci sia nulla. È un gesto politico perché chiede con forza che nessuno muoia più in mare, indipendentemente dal Paese di origine o di destinazione. E perché decidere come e dove spendere le proprie vacanze è sempre e comunque un gesto politico, per tutti. C’è un ultimo motivo: partono per tornare. Staranno pochi giorni, giusto il tempo necessario per assorbire, osservare attentamente, condividere le storie. Ma la loro terra non è quell’isola: è una provincia padana che deve allenare ogni giorno la coscienza per evitare di sprofondare nella superficialità che i social concedono.
da Nostro Tempo del 7 luglio 2019