Ricordando don Francesco Cavazzuti

Si sono celebrati lunedì 9 agosto 2021 i funerali di don Francesco Cavazzuti, originario di Carpi e a lungo missionario in Goias (Brasile) insieme ai fidei donum modenesi

Don Francesco si è spento all’alba di sabato 7 agosto 2021 presso la Casa del Clero di Carpi. Attualmente ospite presso la Casa del Clero in Seminario don Francesco, aveva 86 anni, era nato a Cibeno di Carpi il 19 ottobre 1934. Ordinato sacerdote il 29 giugno 1958 da monsignor Artemio Prati. Nei primi anni di sacerdozio ricopre diversi incarichi, cappellano a Quarantoli, a Carpi insegnante nelle scuole medie del seminario, poi cappellano nelle fabbriche e segretario del Vescovo. Nel 1969 manifesta la sua vocazione missionaria e chiede di essere inviato come “fidei donum” in Brasile in una zona particolarmente carente di sacerdoti. Il suo ministero è caratterizzato da un forte impegno per la giustizia e il riconoscimento dei diritti umani e dei lavoratori, attività che crea attrito con le autorità politiche locali che tentano di allontanarlo dal Brasile. Il 27 agosto 1987 subisce l’attentato commissionato per eliminarlo ma riesce a salvarsi perdendo la vista. Dopo le cure e un lungo periodo di convalescenza in Italia, don Francesco decide di tornare in Brasile, per essere ancora di più segno della presenza del Signore tra il suo popolo. Nel 2005, alla presenza del vescovo Elio Tinti e del sindaco di Carpi Enrico Campedelli, viene inaugurato a Goias il Centro per i Diritti Umani intitolato a don Francesco Cavazzuti. A fine 2007 rientra definitivamente in Italia per risiedere presso la Casa del Clero e continuare il suo impegno di animazione missionaria come vicedirettore del Centro Missionario Diocesano di Carpi fino a che le forze lo hanno sorretto.

Qui di seguito il video completo della celebrazione, alcuni audio, l’omelia del vescovo Erio Castellucci e il ricorda del monaco Marcelo Barros che con don Francesco ha lavorato in Brasile e un video in portoghese che ricorda la figura di don Francesco

OMELIA DEL VESCOVO ERIO CASTELLUCCI

9 Agosto 2021 Duomo di Carpi

E dopo, ci sarà una luce, Signore?”

Nei “Salmi dal buio”, dettati poco dopo l’attentato che lo aveva reso cieco, don Francesco si fa questa domanda e dà subito la risposta della fede: “Sì, ci sarà una luce”; una fede, la sua, senza incertezze ma non certo senza travagli. La perdita della vista, nel gesto violento che doveva essere in realtà il suo assassinio, diventò la luce attraverso la quale vedeva in profondità le cose. Quel 27 agosto 1987 è certamente il giorno di una grande svolta, un drammatico giro di boa nella sua vita. Dieci anni fa, in una intervista telefonica trasmessa alla televisione, lui stesso ne diede una lettura profonda, riferendo la frase dettagli da un catechista della parrocchia brasiliana nella quale era tornato dopo le cure in Italia: “Tu hai perso la vista, ma noi abbiamo aperto gli occhi”. L’oscurità fu il prezzo che don Francesco pagò per la difesa dei contadini poveri di fronte al potere dei latifondisti e dei politici che li proteggevano. Il suo coraggio e il tragico evento dell’attentato “aprirono gli occhi” alla gente, li resero cioè più consapevoli di come il Vangelo sia incompatibile con l’ingiustizia. Colpisce, tra l’altro, che parlando dell’attentatore, sia pubblicamente sia nei dialoghi personali, più che definirlo killer, lo chiamasse per nome: Antonio.

La sua passione missionaria

Ma se il punto di svolta è l’attentato, il punto di decollo della sua vita presbiterale è la passione missionaria. Già nei suoi primi incarichi in diocesi si dimostrava libero da compromessi, radicale nel proporre il Vangelo di Gesù, capace di svincolarsi dalle beghe di sacrestia per aprire le persone agli orizzonti del mondo. E quando, dopo almeno tre richieste al vescovo, nel 1969 ottenne finalmente il permesso di partire, non fu una sorpresa, per chi lo conosceva bene. Don Francesco respirava, sulle orme del Concilio Vaticano II, l’ansia di evangelizzare, come San Paolo: “guai a me se non predicassi il Vangelo!”. Quasi quarant’anni lo hanno visto all’opera in Brasile, nelle diverse comunità alle quali venne mandato, dando corpo all’originario invio dei discepoli da parte del Signore risorto, che abbiamo sentito risuonare poco fa: “andate e fate discepoli tutti i popoli”. Le testimonianze, anche quelle recentemente raccolte nel volume a lui dedicato a cura dell’ufficio missionario di Carpi, vanno tutte nella stessa direzione: un uomo che si è identificato con la causa di Cristo, la causa degli svantaggiati e dei perdenti, dei poveri e degli ultimi. Sempre nella convinzione che la fede fosse il dono più grande e liberante da offrire, la gioia che rende piena la vita e spinge ad amare.

Non amava sconti nella vita spirituale

Don Francesco non era certo uno che facesse sconti. A quei giovani che gli chiedevano se, a suo parere, potevano essere adatti per fare un’esperienza missionaria all’estero, rispondeva: “Sei capace di amare? Allora puoi andare; se non sei capace di amare, resta a casa, perché come sei incapace di amare qui, lo sarai anche lontano”. Sapeva bene che la missione non è questione di chilometri, ma di santità. In un dialogo con lui, l’estate scorsa, mi chiese di tenere presente negli incontri sacerdotali il tema del sacramento della penitenza, perché – e sottolineò parecchio questo concetto – senza un cammino di conversione e di rinuncia al peccato, noi preti facciamo solo della sociologia a basso costo. Davvero non amava i saldi di stagione, nella vita spirituale. Altri, a fine Messa, daranno testimonianza di don Francesco.

Il Signore lo accolga nella sua dimora luminosa

Io concludo con un piccolo ricordo personale. Nell’ultimo dialogo avuto con lui, nella sua stanza alla Casa del Clero, sono rimasto particolarmente colpito da una frase. Ad un certo momento, visto che già faticava a parlare, l’ho salutato e mi sono alzato, ma lui ha voluto sapere come andavano i seminaristi. Ho detto un generico “bene” e poi ho aggiunto un piccolo apprezzamento nei suoi confronti, dicendo: “e speriamo che la imitino”; e lui, immediatamente: “è meglio sperare che imitino Gesù”. Questo sguardo fisso sul Signore era diventato ancora più acuto da quando aveva perso il lume degli occhi. Che il Signore gli spalanchi ora la sua dimora luminosa, dove non c’è tenebra, né ingiustizia, né morte; dove svaniscono le ombre terrene e trova posto solo la luce dell’amore.BARROS

RICORDO DI MARCELO BARROS

Recife, 7 agosto 2021

Cari Fratelli e sorelle,

In questa notte, ancora nella data in cui la Chiesa celebra la festa della Trasfigurazione di Gesù, la notizia della Pasqua del nostro caro fratello, compagno e maestro di vita Francisco Cavazzutti (Padre Chicao) ci prende tutti con sentimenti contrastanti:da una parte il dolore dell’assenza e la nostalgia di tanti bei momenti vissuti insieme nella missione a Goiás e nella testimonianza che sempre ci ha dato del regno di Dio in Brasile e in Italia. D’altra parte, il ringraziamento per aver conosciuto, e molti di noi possono anche dire vissuto, con un profeta di Dio e martire per il cammino della Chiesa dei poveri.

Rendiamo grazie per la sua lunga e fruttuosa vita nella coerente testimonianza della missione, nella forte intransigenza con cui ha sempre preso la difesa dei più poveri e vulnerabili e nella sua fedele e caparbia solidarietà con la Chiesa di Goiás e del Brasile.

Quando era più giovane, come lo conoscevo ancora negli anni ’70, stava lottando per ottenere un visto permanente in un Brasile ancora sotto la dittatura militare. Un temperamento forte e a volte anche difficile ma sempre schietto e trasparente.

Nelle Chiese antiche, il martirio era come un ministero carismatico molto centrale nella vita delle comunità. Oltre ai fratelli e alle sorelle, martiri perché hanno dato la vita per il regno di Dio e per la fede in Cristo, ci sono stati martiri che sono sopravvissuti alle torture e agli attacchi e hanno avuto un loro posto nelle assemblee ed erano un riferimento per il cammino di fede. Nella Chiesa del cammino dei poveri in America Latina, per anni e anni, padre Chicao ha occupato questo luogo di martire vivente. Oggi riceve da Dio la parola che Gesù ha detto nel vangelo:

«Molto bene, servo buono e fedele. Entra nella gioia del tuo Signore» (Mt 25,21).

In Dio e con Dio, Chicao ci benedica e ottenga dallo Spirito la grazia perché la nostra Chiesa rimanga fedele alla sua eredità profetica e di martirio.

Cristo è risorto e questa è la nostra certezza di risurrezione. Hallelujah.

Un abbraccio a ciascuno di voi dal fratello Marcelo Barros