Ambositra 11-11-15
Non so bene cosa raccontare, ci sarebbero tante cose da dire ma vorrei che ognuno di voi potesse immaginare come è il Madagascar… Vi darò qualche spunto..
La terra non è marrone ma è rossa, i paesaggi cambiano spesso, si passa da un paesaggio di collina, a un paesaggio di pianura con risaie. Il clima è mite con un sole non troppo forte ma che viene spazzato via dalle nuvole per far posto ai famosi acquazzoni africani che durano 10 minuti e, come niente fosse, subito dopo ritorna il sole .
La popolazione del Madagascar è composta da varie etnie e da varie religioni, i bambini sono sempre pronti ad urlare “Vazaha” al primo bianco che incontrano oppure a chiedere “Bombon” per poi scappare via.
Cercherò di non annoiarvi con quello che vi voglio raccontare, ma sono semplicemente alcune piccole riflessioni dopo quasi un mese dal mio arrivo ad Ambositra.
“ La straniera sono io”
Arrivata ad Ambositra di sabato sera, domenica mattina sono andata a messa insieme a Don Giovanni che mi ha portato con lui per partecipare alla messa in carcere. Ecco, non dovete immaginare un carcere italiano perché non ci assomiglia per nulla. Dovete immaginare quattro stanzoni per quattrocento persone. Dentro i quali durante il giorno si cucina, c’è chi vende qualcosa (frutta, riso pesce, sigarette tutta roba portata dai parenti ai carcerati).
Quando arriva la sera questi stanzoni si trasformano in dormitori senza letti nè coperte ed essendo così tanti si fa a turno per dormire. C’è chi dorme sdraiato e chi dorme seduto. Questi stanzoni si affacciano su un campo fatto di polvere, circondato da quattro mura. Alla fine del campo ci sono i bagni, senza porte ( hanno deciso di togliere le porte perché alcuni carcerati le usavano per scappare) e di fronte ai bagni ci sono i lavandini per lavarsi e per lavare le pentole, perché loro stessi devono farsi da mangiare con il cibo che i loro famigliari gli portano.
Oltre ai quattro stanzoni ci sono altre due stanze importanti: la prima è una sorta di “cucina” con due pentoloni dove alcuni carcerati sono addetti alla preparazione del pasto (di uno solo in tutta la giornata composto da riso); la seconda stanza ha varie funzioni: come chiesa, come scuola per alfabetizzazione e come “laboratorio” lavorativo per alcuni carcerati, nel quale vengono create borse, bracciali di feuillrds e anelli in metallo.
Appena varchi quella porta controllata da guardie, che dà sul campo dove stanno quasi tutti i carcerati tutto il giorno, non passo inosservata, mi sento tutti gli occhi addosso e non so bene cosa fare o cosa dire.
Vengono tutti a salutare il Don e l’unica cosa che dico è “Salama”: tanti , troppi pensieri mi vengono alla testa quando ciascuno di loro viene a stringermi la mano. “Perché è dentro?” “La sua famiglia?” “Avrà ucciso?Oppure rubato?”
La messa inizia in una stanza dove l’umidità sembra schiacciarti, ma che al tempo stesso ti dimentichi di essere in carcere, proprio grazie alla cura con cui gli stessi carcerati hanno preparato la funzione.
I canti e le loro voci sono un qualcosa di magnifico, straordinario, si impegnano tantissimo, tra chi suona il bongo, chi la chitarra e chi la pianola.
In mezzo a loro ci sono anche le donne carcerate che sono una quindicina, sono separate dagli uomini e hanno le loro stanze situate prima del reparto maschile.
Finita la messa il Don si ferma a chiacchierare , a comprare qualche lavoretto fatto da loro, ad ascoltare eventuali problemi e a dare un po’ di riso ai minori, perché in quel carcere ci sono quasi dieci minori che vivono insieme a tutti gli altri.
Non posso dire che sia dura oppure difficile stare lì dentro, per chi viene da fuori e ci sta giusto il tempo di una Messa, come me.
Sicuramente posso dire che, ora che ho conosciuto questa realtà, il pensiero torna spesso a loro.
“Una domenica tranquilla “
Sono le 18.30 di domenica, noi volontari siamo già tutti a casa, c’è chi sta iniziando a preparare da mangiare e chi fa due chiacchiere in sala sorseggiando una tazza di the, quando ad un certo punto si sente bussare alla porta.
Vado ad aprire e mi trovo davanti una donna con due bimbi di neanche un mese fra le braccia. Dice di venire da Landina che dista 18 km , è venuta a piedi ha camminato tutto il giorno. Ha detto che è da sola, suo marito è scappato poco dopo la nascita dei suoi figli e i suoi genitori sono morti. Decidiamo di accompagnarla all’ospedale che dista pochi metri da casa nostra. Mentre ci incamminiamo verso l’ospedale chi chiediamo se veramente questa donna ha bisogno d’aiuto oppure vuole abbandonare i suoi figli ( visto che la tradizione malgascia vuole che venga abbandonato uno dei due gemelli, ritenuti frutto della stregoneria) e andiamo a letto un po’ con queste domande. L’indomani scopriamo che la donna aveva bisogno di latte e che a casa l’attendono altri due figli. Sono contenta che fosse solo quello il problema e che la mamma non abbia abbandonato i gemelli.
Spero veramente che questa “tradizione/usanza” possa cessare e che ogni mamma e famiglia capisca il bellissimo dono che è avere dei figli.
“Ti seguirò ovunque andrai”
Da quando sono arrivata ad Ambositra ho iniziato fin da subito a frequentare la Casa della Carità, perché so che è una buonissima palestra soprattutto nei momenti più difficili.
Mi hanno chiesto di seguire in particolare una bambina di nome Clarisse.
Clarisse è una bambina di due anni, fin dalla nascita è in Casa di Carità, suo papà è morto e sua mamma è malata di mente e non riesce a tenerla. Clarisse è una bambina normalissima cammina, corre, capisce tutto, l’unico difetto è nata con un problema al palato: ha subito un’operazione e fatica a parlare ma i medici hanno detto che parlerà ci vorrà solamente un po’ di tempo.
Mi hanno chiesto di stare con lei, di giocare e soprattutto parlarle (visto che la parola non mi manca!) per aiutarla a migliorare dopo l’operazione.
Siamo subito entrate molto in sintonia, io le provavo a dire piccole parole in malgascio e lei cercava di ripeterle. Giocavamo insieme, coloravamo e lei migliorava a piccoli passi. Oggi sono andata in Casa di Carità per fare un’attività con le tempere, ma non sono riuscita a farla. La superiora delle suore mi ha comunicato che fra due giorni Clarisse dovrà andare a Fianarantsoa dove starà per un po’ in Casa di Carità e poi andrà nell’orfanotrofio aspettando una famiglia.
Non ce l’ho fatta e sono scoppiata a piangere, non riesco a credere che questa piccola creatura prenderà il volo fra pochi giorni. Abbiamo lavorato insieme per tre bellissime settimane giorno per giorno migliorando sempre di più. Non mi dimenticherò mai di sabato mattina quando eravamo insieme in giardino e nel vedere una mucca ci siamo avvicinate. Io ingenuamente mi sono avvicinata con lei per accarezzarla, ma nel momento in cui ho allungato la mano la mucca ha incominciato ha rincorrerci. Io l’ho presa subito in braccio e ho iniziato a correre verso casa come una disperata, mentre lei ha iniziato a ridere di gusto fino a quando non siamo arrivate.
Oppure quando l’ho portato per la prima volta in casa dei volontari e alla vista di uno specchio si è subito fiondata a guardarsi tutta e ha incominciato a darsi piccoli baci allo specchio e ogni bacio era accompagnato da una risata.
Questi sono piccoli ricordi che mi porterò di Clarisse, ovunque andrà.
Domani sarà dura salutarla e dirle “ buona strada”, ma sono convinta che il Signore ogni giorno metta sul nostro cammino persone magnifiche che hanno il compito di accompagnarci, seppur per un breve tratto. Non mi resta che ringraziare Clarisse e il Signore per questo nostro incontro e per il percorso fatto insieme; nel frattempo aspetto che arrivi qualcun altro sulla mia strada per continuare questa missione che questa bimba è riuscita a farmi iniziare nel modo migliore!
Un saluto e un mega bacio a tutti quanti, ogni sera un pensiero va a tutti voi! Alla prossima Veloma