Ottobre 2018. A distanza di un mese mi trovo a mettere per iscritto quelle che sono state le mie tre settimane in Ciad. Un paese con tempi, abitudini, cibo e modo di pensare completamente diversi dal nostro. Penso e ripenso da dove iniziare, difficile mettere in ordine i ricordi ed i pensieri legati a questa indimenticabile esperienza. E allora eccoci, 4.30 del mattino: siamo su una jeep, nel nord est dell’Africa. Ci hanno detto che andremo a ‘svegliare il sole’; la sensazione è quella di stare ancora sognando. Ed è questo stato che accompagna quasi tutte le giornate qui ad Abéché, seconda città del Ciad per estensione (dopo la capitale N’djamena), una città nella quale le certezze e le comodità che attribuiresti ad un corrispettivo paese europeo non puoi dare per scontato. Ed allora inizi ad aprire gli occhi.
Ed è quello che abbiamo fatto quella domenica mattina del 12 agosto quando noi, 10 ragazzi italiani, in quella terra ancora così straniera ci siamo ritrovati seduti ad aspettare il sorgere di quella giornata nel bel mezzo del deserto. Quel momento ha racchiuso visivamente quello che posso dire quasi con estrema certezza è accaduto nei nostri cuori. Il risveglio della natura, cadenzato dai ritmi lenti che un’alba richiede, ci permette di respirare secondo per secondo quel singolo attimo di vita che ci circonda. È ancora buio, via via si intravedono le prime ombre che lasciano immaginare i contorni ora di un alberello, ora una costruzione di mattoni (forse un vecchio insediamento umano). Poi i primi suoni ed ecco che il paesaggio intorno a noi inizia a risplendere in tutta la sua bellezza: non è lo strombazzare di una macchina o la corsa di un treno né la mamma in cucina che prepara la colazione ma un muggito, il raglio di un asino, il cinguettio di un uccellino o il verso di un dromedario che si staglia di fronte a noi. In questi attimi di pura bellezza e serenità capiamo che ci viene data la possibilità di respirare a pieni polmoni questa Vita. Una vita che ci si presenta e ci viene donata quotidianamente qui in tutta la sua semplicità: è la bellezza dei sorrisi dei bambini che salutiamo, la forza delle mani che stringiamo, il cibo che cuciniamo, le lingue ed i dialetti che cerchiamo con ogni mezzo di comprendere, il duro lavoro e sudore che condividiamo con gli amici ciadiani, sono le lunghe passeggiate mano nella mano al mercato o le visite alle carceri e agli ospedali della città, sono i balli in cerchio illuminati dal chiarore della luna ed il suono degli strumenti che giovani pieni di gioia suonano per rallegrare le serate dell’intera comunità-famiglia africana.
Di fronte a tanta bellezza e tanta diversità non si può non soffermarsi a pensare di come, nella nostra frenetica quotidianità, quante volte possiamo veramente dire di godere di veri attimi di vita. Ed ora di fronte a questa pagina ormai non più bianca mi rendo conto, di come la missione di Abéché sia stata in ogni suo momento un polmone per tutti noi, non solo di aria nuova, ma di vera gioia di vivere e volontà di condividere le proprie diversità rendendole ricchezze inestimabili.
Eleonora Maccaferri