Nei giorni scorsi Giacomo, dal Ciad, ci ha scritto una lunga lettera con alcune cose tecniche ma credo valga la pena pubblicare la parte finale perché si tratta di una riflessione davvero molto bella e importante.
Sono davvero molto contento del mio tempo qui. C’è una frase di un amico italiano passato di qua che mi porto nel cuore “Giacomo, tu non sai fare niente, ma sei qui, bravo!”. C’era una certa ironia nella sua frase, ma la ritrovo profondamente vera. Io sto facendo esperienza della mia inadeguatezza, del non essere utile, di non essere capace di fare qualcosa di incredibile. Sto facendo cose che chiunque altro potrebbe fare, e probabilmente non sono nemmeno la persona migliore per fare quello che sto facendo. Altri mi hanno sottolineato un po’ questo aspetto dicendomi “insomma capiamo la bellezza di visitare le famiglie, andare in carcere… ma ci aspettavamo che tu stessi facendo qualcosa di più”. È in questa banalità se vuoi, in questa semplicità, in questo non fare la differenza che mi sto trasformando, e che sono occasione di trasformazione dell’altro.
Sto scoprendo un modo di fare missione che è profondamente “normale”. Non stiamo facendo nessuna rivoluzione, la nostra presenza non è fondamentale e molte delle cose che mi ritrovo a fare hanno un sapore familiare, sono cose che facciamo anche a casa nostra, cha fanno parte del quotidiano di ogni parrocchia. So ce ci sono persone che hanno fatto gesti enormi che ci provocano (in questo momento penso a figure di missionari che mi hanno segnato profondamente), ma qua sto scoprendo che missione è semplicità. Non è stravolgere il mondo che ti aspetta, ma prima di tutto e ACCOGLIERE questo mondo che ti aspetta. Fartelo entrare dentro, mescolarti con esso e impregnarti delle sue contraddizioni e fatiche. Farne parte. Solo allora si può lottare con esso. Mi sento ancora lontano anni luce da questa immersione… Questo cammino sta passando da questo sentirmi inadeguato, questo essere “umiliato” dai giovani di qui, che sono più capaci e abituati a stare in questo ambiente. Ed è qui, in questo riscoprirmi limitato che scopro l’enorme verità che sta nel motto dei Comboniani “salvare l’Africa con l’Africa”. Il Ciad è davvero un paese complicato, e ci sono problematiche profonde che richiedono in coraggio di avere pazienza per affrontarle, e per eliminarle devono essere questi giovani che sto incontrando a rialzarsi, rimettersi in piedi e cominciare a camminare. Non possiamo aiutarli a allargare l’orizzonte del loro sguardo, ma solo loro possono prendere in mano il destino di questo luogo, e così in ogni luogo. Mi sto rendendo conto sempre più che il mio ruolo è quello di incoraggiarli, di credere nel loro lavoro, di gettare le reti sulla loro parola. Di mettermi al loro fianco e lavorare con loro, non per loro.
Sfrutto questa lettera per ringraziare per la fiducia, e dell’opportunità datemi. Ieri meditavo Matteo cap. 13, 16-17 “Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri occhi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono”.
Mi ha colpito molto questa frase, perché davvero mi sento in questa condizione: di essere in un luogo, di vedere delle cose, da ascoltare, di vedere e incontrare persone, che molti altri e più “grandi”, o “meritevoli” di me avrebbero voluto e vorrebbero vedere.
Sento sempre più questa responsabilità di essere ponte per voi e per le persone qui di dialogo e opportunità di crescita e cambiamento!
Ci tenevo a ringraziare tutto il centro missionario per quello che fate, per la fiducia che date ai giovani e perché avete il coraggio di gettare le reti sulle nostre parole, sulle nostre proposte, sui nostri desideri e sogni. Perché cercate di avere a cuore il sogno di lasciare qualcosa di bello e prezioso per coloro che verranno dopo di noi, perché coltivate i nostri sogni, i nostri progetti e ci date opportunità che tanti altri non anno!
Vi sprono a continuare a lavorare in questa direzione, di avere il coraggio di farvi provocare dai giovani e dai più poveri. Di avere il coraggio e l’umanità di passare notte insonni perché siamo protagonisti di un sistema ingiusto, di avere il coraggio di non avere il cuore tranquillo perché siamo partecipi dell’ingiustizia, e per questi motivi avere il coraggio di stare in questa nostra condizione, non fuggire dai problemi e di fare il massimo che ci è dato per provare a risolverli.
Qua sto scoprendo quanto è prezioso ancora più che risolvere i problemi miei e degli altri, l’abitarli, lo starci dentro, il non fuggire da essi, il metterci la faccia e prendersi la propria responsabilità davanti a questi problemi. Vi ringrazio, vi abbraccio forte e vi porto nel cuore. Come dicono qui siamo insieme. Vi accompagno tanto e vi penso tanto. Mi mancate ma allo stesso tempo vi porto tutti qui con me nel mio cuore.
Un abbraccio e presto!