Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, ha tenuto il terzo appuntamento della rassegna Dalla paura all’incontro, organizzato dalla Pastorale sociale e dall’Ufficio animazione missionaria insieme a numerose sigle dell’associazionismo. L’incontro si è svolto giovedì sera nella chiesa di San Lazzaro, preceduto da un’animazione scenica. Più che una conferenza «frontale», si è trattato di una conversazione con il pubblico, attraverso la risposta a diverse domande che spaziavano nel campo vasto del «proteggere», come compito della Repubblica, sancito negli articoli della Costituzione italiana.
«Fino a pochi anni fa eravamo noi gli immigrati, specialmente nei Paesi dell’America Latina: infatti, l’articolo 35 della Costituzione, dedicato al lavoro, dice anche che la Repubblica “riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero” – ha esordito Onida – .
Quando ero studente, si leggeva in tutte le scuole il libro Cuore di Edmondo de Amicis, con il racconto Dagli Appennini alle Ande, nel quale il protagonista era un ragazzo italiano che emigrava». Il giudice emerito della Corte Costituzionale ha poi ricordato come un altro articolo, il numero 10, reciti: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».
Paradossalmente, già settant’anni fa la Costituzione prevedeva – sulla scorta dell’esperienza vissuta dagli italiani nella prima metà del ‘900 – un’apertura verso il mondo che sembrerebbe quasi rivoluzionaria. Nella riflessione di Onida è stato centrale l’aspetto della dignità e dei diritti della persona umana in quanto tale.
«La radice di ogni ideologia razzista, prima ancora dell’avversione per questa o quella categoria di persone, è l’idea che occorra chiudersi per difendere una presunta purezza: come che mescolarsi con gli altri conduca a una perdita – ha detto il presidente emerito della Corte Costituzionale – . L’immigrazione è il fenomeno inverso rispetto a questa chiusura e provoca reazioni: l’immigrato è colui che viene a “contaminare” la nostra cultura, a “invadere” il nostro territorio. Una comunità è fatta di persone, per questo non può chiudersi agli altri, perchè una comunità chiusa non riconosce agli altri la condizione di persone». Questo non deve tradursi in una visione irenica dell’accoglienza, ha sottolineato Onida, affermando: «Quando le persone si spostano in massa da uno Stato a un altro Stato, questo porta problemi? Sì, porta problemi, ma sono i problemi di un’umanità che vive». Oggi, nel mondo, non esiste un riconoscimento del diritto di migrare: ogni Stato ha una legislazione propria su queste materie. «Ci sono due tipi di immigrazione, in generale: quello di coloro che sfuggono dalla guerra, che hanno diritto all’asilo secondo l’articolo 10 della Costituzione e secondo le convenzioni internazionali. Ci sono anche grandi masse di migranti che non sono profughi da guerre e persecuzioni, ma sono migranti economici, come erano gli italiani di un tempo – ha detto Onida – . Il fenomeno migratorio va governato, non può essere fermato. Il problema della sicurezza si incrocia con il problema delle migrazioni, non perchè la migrazione in sé sia una minaccia alla sicurezza, ma perchè l’arrivo di tante persone nuove può dar luogo a fenomeni di delinquenza. Non si può disinteressarsene, ma occorre una politica dell’integrazione». Il giudice emerito della Corte Costituzionale ha auspicato una politica realistica delle migrazioni, che metta al centro la persona umana: «Le migrazioni sono inevitabili: sono connaturate alle vicende della storia umana – ha ribadito Onida – . Dobbiamo cercare tutti insieme di governare il fenomeno in modo che sia un’occasione di incontro reciproco».
di Francesco Gherardi su Nostro Tempo del 17 marzo 2019