L’entusiasmo di una chiesa giovane, le difficoltà anche logistiche dell’evangelizzazione e l’avvicinarsi di un evento che potrebbe cambiare la vita di fede di migliaia di persone. All’oratorio di Fiorano, don Maurizio Settiha toccato tanti temi nel partecipato incontro dello scorso giovedì 27 giugno. Al centro la sua esperienza ventennale in Goias prima e in Amazzonia poi, l’organizzazione delle comunità e il percorso verso il Sinodo dell’Amazzonia che si terrà dal 6 al 27 ottobre: «In Goias ho incontrato una chiesa molto vivace, evangelizzata già da cinque secoli, in Amazzonia ci sono tante piccole comunità giovani ed entusiaste, diventate cattoliche solo cinquant’anni fa.
La diocesi ha un territorio molto vasto, è grande poco meno dell’Italia: da San Gabriel a Manaus sono mille chilometri e non ci sono strade, sono collegate solo dal fiume o via aereo. Per essere così grande, è poco popolosa: gli abitanti sono circa 70mila, 31 le comunità, che noi visitiamo una volta ogni due mesi. In ogni comunità c’è il catechista, eletto dalla stessa comunità, che ogni domenica guida la celebrazione e in alcune comunità più grandi ogni giorno si prega in chiesa prima di colazione. Di fatto la vita di fede è portata avanti dai catechisti, a cui noi facciamo formazione. Il nostro ruolo – prosegue don Setti – è di aiutare la comunità ad avere speranza, il rischio, soprattutto con l’attuale governo, è duplice: da una parte la scomparsa della specificità della comunità e dall’altra la volontà di mettere queste comunità in una sorta di campana di vetro, farli diventare popoli da museo. La sfida vera è mettere insieme i due poli: la tradizione e l’integrazione. Noi sacerdoti proviamo a far sentire la chiesa vicina, come un’istituzione sulla quale poter contare. La questione dell’evangelizzazione si riduce ad un problema di tempo e benzina: il numero di visite alle comunità è determinato da questi due fattori». Il missionario ha poi parlato del Sinodo sull’Amazzonia , voluto da papa Francesco per «trovare nuove vie per l’evangelizzazione di quella porzione del popolo di Dio, in particolare le persone indigene, spesso dimenticate e senza la prospettiva di un futuro sereno»: «Per preparare questo importanteappuntamento servirà un lavoro di ascolto e ricerca dei problemi con le comunità indios, ad esempio per portare a Roma la questione di celebrare più spesso l’eucarestia nelle comunità amazzoniche, dando la possibilità anche a persone sposate di celebrare l’eucarestia o altri ministeri. Il Sinodo aiuti la chiesa a mettersi in ascolto e tentare di non perdere le proprie caratteristiche, e disperdere l’entusiasmo di una chiesa che accoglie e non ha preconcetti» auspica don Setti, che sottolinea come il Sinodo sia «un momento importante per ringiovanire l’evangelizzazione che c’è stata e ci deve essere con queste popolazioni, dopo che il “rullo compressore” dei primi approcci ha causato non pochi problemi, perché la fede degli indios era vista come proveniente dal maligno. La Chiesa ora sta tentando di dialogare e di riscoprire la cultura, le tradizioni, gli stili di vita e la lingua in modo da non perdere queste radici. Il nostro è un mondo molto individualista, il loro è un mondo nel quale si mette in comune quello che c’è, si condivide l’intera vita». L’incontro è proseguito con le domande della platea, che hanno toccato i temi ecologico, politico e religioso, spesso intrecciati tra loro: «La distruzione della foresta amazzonica è dovuta alla presenza delle tante risorse naturali presenti in quel territorio: non solo il legno, ma anche l’oro, i diamanti e altri minerali preziosi.
Il governo non sta proteggendo questo territorio, e lascia la possibilità ad alcune società, per lo più americane, di prendere possesso delle risorse naturali. Nella parte dove siamo noi – precisa don Setti – la foresta è incontaminata, perché il Rio Negro è poco pescoso e il terreno non è fertile. L’attuale governo sta appoggiando questi latifondisti per scacciare gli indios: più di 1100 indios sono stati uccisi negli ultimi dieci anni solo perché hanno provato a proteggere la propria terra e opporsi all’invasione. Però la morte di un indio, a differenza di un sacerdote o di un vescovo, non fa notizia». E gli altri governi?
«Tutti sono alle prese con problemi di politica interna – risponde il missionario –, in generale possiamo dire che c’è una virata verso governi populisti e conservatori, ma questa è una tendenza mondiale».
Cosa ha da dire la giovane chiesa brasiliana alla chiesa europea? A questa domanda venuta dal pubblico, don Setti risponde così: «Quello che più mi ha impressionato sia in Goias sia in Amazzonia è la relazione tra preti, vescovi e popolo di Dio. C’è molta più vicinanza alle persone, è una chiesa che cammina assieme, e avvicinare il clero alle persone dovrebbe essere un obiettivo anche per noi in Italia. C’è un problema serio da parte dei giovani, anche italiani: il rischio di perdere le radici e i sogni. Tanti giovani non sognano in grande per paura di rimanere delusi. Se una persona ha sogni e speranze, può pensare in modo critico, mentre se non ne ha può essere dominata. Il governo brasiliano ha ridotto il bilancio delle università, rendendo la formazione accademica una “cosa per ricchi”, e così l’istruzione in Brasile è sempre più in crisi. Più la scuola è di basso livello, più il governo può dominare e agire indisturbato. Un altro pericolo per i giovani è non avere sbocchi e questo crea altri problemi come l’alcolismo. Quali alternative hanno i giovani di San Gabriel? La televisione mostra modelli e stili di vita irraggiungibili così l’unico rifugio sembra essere il bere o il suicidio. Dare sbocchi e speranza a questi giovani è uno degli obiettivi che la chiesa si deve dare».
Luca Beltrami – da Nostro Tempo del 7 luglio 2019