“E’ apparsa la bellezza di Dio”
“E’ apparsa la grazia di Dio, che… ci insegna… a vivere… nell’attesa… della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo… per… formare un popolo puro… pieno di passione per le opere belle” (Tito 2,11-14).
Penso che non ci sia una definizione piú bella e piú completa del significato del Natale. La parola ‘grazia’ (in greco ‘charis’), indica la presenza benigna e la carezza di Dio che ci trasmette tenerezza, gioia, bellezza. In questo straordinario passo della lettera a Tito, Paolo presenta la nascita di Gesù come l’apparizione della ‘bellezza’ di Dio.
“Sia su di noi la Bellezza del nostro Dio!”, aveva invocato molti secoli prima il salmista (sal 90,17). E adesso, con la nascita di Gesú, questa antica invocazione è pienamente esaudita. Gesú viene sulla Terra per diffondere la Bellezza e per trasmetterci la sua passione per le opere belle. Noi siamo chiamati a formare un popolo, una comunitá appassionata di bellezza.
Sempre riferendosi alla venuta di Gesú sulla Terra, Giovanni scrive: “La legge ci è venuta per mezzo di Mosé, la grazia per mezzo di Gesú Cristo” (Gv 1,17). In altre parole: Mosé ci ha dato la tavola dei comandamenti, Gesú ci ha portato la Bellezza! Cristo mette in tavola il vino bello (Gv 2,10), e con questa Bellezza trasforma completamente la nostra vita: siamo chiamati ad essere “sale bello” che dá sapore al mondo (Lc 14,34), un “albero bello” (Mt 12,33) che produce “frutti belli” (Mt 7,17).
Chi ha paura della Bellezza?
Molti saranno sorpresi di queste citazioni in cui si ripete l’aggettivo ‘bello’: sono citazioni che non ci sono molto familiari. In effetti, la parola ‘bello’ (kalós), presente in molti passi dell’originale greco del Vangelo, è stata quasi censurata, a partire dalle prime traduzioni in latino. Ma non solo: in quasi tutte le traduzioni in lingue moderne, ‘bello’ è stato tradotto quasi sempre con una altra parola, generalmente con ‘buono’, altre volte con ‘ben disposto’.
Eppure giá nell’Antico Testamento Dio è definito come “l’autore della Bellezza”(Sap 13,3). E allora mi chiedo: perché questa censura? ‘Bello’ è forse una parola scandalosa? Chi ha paura della Bellezza?
In realtá, nel racconto dei Vangeli, questo è uno degli aggettivi che piú accompagna la vita terrena di Gesú. E cosí, dove passa Lui, diventa tutto bello, una bellezza che ci contagia e che diventa il segno caratteristico dei suoi discepoli. I cristiani sono chiamati a trasformarsi in semi di bellezza per il mondo: “I figli del Regno sono il seme bello” (Mt 13,38), e la terra su cui camminiamo in compagnia di Gesú, e su cui siamo chiamati a costruire le nostre comunitá, diventa terra bella (Mt 13,8). Infine, ai suoi amici Gesú regala un cuore bello (Lc 8,15).
“Risplenda così la vostra luce davanti agli uomini, affinchè, vedendo le vostre opere belle, diano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). Per Cristo la bellezza ha una valenza missionaria: vedendo le nostre opere belle, gli uomini – abitati da una profonda sete di bellezza – ne rimarranno affascinati e daranno gloria a Dio.
E allora, come possiamo annunciare il Vangelo ad una societá pagana? Semplicemente vivendo e testimoniando la Bellezza: “La vostra vita in mezzo ai pagani sia bella” (1Pt2,12).
Una bellezza con una valenza politica ed ecumenica
Il discorso sarebbe molto lungo, troppo lungo per una semplice Lettera di Natale. Ma voglio aggiungere altre due osservazioni su questo tema. La prima, che ho approfondito in un libretto scritto 15 anni fa (“Il comportamento bello”) è che la Bellezza annunciata e vissuta da Gesú non è un’innocua fantasia romantica: è un progetto di vita con chiare implicazioni sociali e politiche. La Bellezza del Vangelo smaschera e mette in discussione la disumanitá e l’abbrutimento che l’Impero promuove, in diversi ambiti. E l’Impero romano lo capí molto bene, tantoché – pur essendo solitamente molto tollerante ed inclusivo con tutti i credi e riti religiosi – contro i cristiani lanció una persecuzione crudele, perché l’Imperatore aveva capito che lo stile di vita alternativo praticato dai discepoli di Cristo offriva una visione della vita completamente diversa e minava le fondamenta ‘spirituali’ e culturali della societá imperiale. In particolare, il fatto che i cristiani non facessero nessuna distinzione di rango tra schiavi e liberi, tra uomini e donne, tra poveri e ricchi, tra giudei e pagani, tra autoctoni e stranieri, metteva implicitamente in discussione quei privilegi e quelle disuguaglianze su cui si reggeva la societá greco-romana. La Bellezza anunciata da Gesú mette in discussione anche oggi la struttura economica della nostra societá e tanti atteggiamenti di uomini e donne, anche di politici, che pur si professano cristiani.
La seconda osservazione che volevo fare è che la Bellezza annunciata da Gesú non è prerogativa esclusiva dei suoi discepoli, anzi. Un giorno, a Betania, una donna versa profumo prezioso sulla testa del Nazzareno. I suoi discepoli la condannano per tanto spreco, mentre Gesú la difende: “Ha compiuto un’azione bella verso di me… Ha versato questo profumo sul mio corpo… in vista della mia sepoltura” (Mt 26,10-12). Quanta bellezza nella sensibilitá di questa donna che percepisce il dolore di Gesú di fronte alla sua imminente morte, e che per questo decide di consolarlo con un gesto d’affetto, profumandolo! Gli apostoli sono scandalizzati da questa azione bella, mentre secondo Gesú tutti i suoi discepoli dovranno lasciarsi evangelizzare da questa bellezza: “Dovunque sará annunciato il Vangelo, in ricordo di lei si dirá ció che ella ha fatto” (Mt 26,13).
Seguire Gesú significa cercare e cogliere la bellezza che Dio semina anche al di fuori della cerchia dei suoi discepoli.
Avvento: tener viva la tensione tra il ‘giá’ e il ‘non ancora’
“E’ apparsa la grazia di Dio, che… ci insegna… a vivere… nell’attesa… della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo“ (Ti 2,11-13).
Questo passo della lettera a Tito ci ricorda i due pilastri fondamentali del tempo liturgico dell’Avvento. Da un lato, a Betlemme, é apparsa la bellezza di Dio, cioè Gesú si è incarnato fra noi, mostrandoci il volto del Padre; dall’altro, la nascita di Gesú mette in moto un processo di attesa. Sappiamo che i cristiani delle prime comunitá aspettavano la seconda venuta di Cristo, la ‘parusía’, nella quale Gesú avrebbe manifestato tutta la sua gloria. L’attesa è una dimensione fondamentale della vita cristiana. Cristiano significa ‘messianico’: noi siamo coloro che aspettano la venuta e la manifestazione definitiva del Messia, coloro che vivono nell’attesa della rivelazione definitiva della bellezza di Dio. Perché la Bellezza è apparsa, è vero, Gesú è giá nato a Betlemme, piú di duemila anni fa, ma noi non abbiamo ancora compreso e assunto pienamente nella nostra vita questa Bellezza, non abbiamo ancora sviluppato tutte le potenzialitá di questa Bellezza nelle nostre comunitá.
Siamo dunque chiamati ad aspettare il Messia “pieni di passione per le opere belle” (Ti 2,14), cioè mettendo in atto azioni concrete di giustizia, di fraternitá e di pace. I cristiani sono, per definizione, coloro che aspettano il Messia praticando e testimoniando la Sua bellezza. Una comunitá che abbia smesso di aspettare il Messia, che non senta piú la passione per le opere belle, e che si sia appiattita sul giá, non sarebbe piú una comunitá cristiana. L’Avvento ci ricorda che Gesú non ha ancora visto nelle nostre comunitá tutti quei frutti di bellezza che sperava di raccogliere.
“Diciamo la veritá!”
In Colombia non siamo ancora usciti da una mentalitá di violenza. “Diciamo la veritá!” é il titolo di un incontro che si è realizzato due mesi fa nella regione di Catacumbo, in cui ex-paramilitari ed ex-guerriglieri hanno chiesto perdono ai familiari di alcuni desaparecidos. In particolare, Jorge Laverde, ex-capo paramilitare, ha pubblicamente confessato che negli anni scorsi sono stati attivati forni crematori per cancellare ogni segno degli omicidi commessi dai paras: “In una città dove quotidianamente si uccidevano dalle 10 fino alle 40 persone – civili inermi – questo costituiva un grosso problema per i rappresentanti delle legittime Istituzioni. L’Esercito ci diceva: ‘Fate sparire quei corpi, non lasciate lì tutti quei morti’. Perché non volevano che si sporcasse il loro ‘curriculum’ di pubblici ufficiali”. Cosí centinaia di cadaveri furono riesumati e poi inceneriti in forni che producevano mattoni. In questo modo, speravano, nessuno avrebbe potuto scoprire niente.
Laverde ha rivelato che l’Esercito e anche alcuni politici e impresari erano loro complici: “Quando noi paramilitari guadagnavamo terreno, alcuni impresari venivano dietro e compravano quelle terre”, molte delle quali ospitano ossa e ceneri.
Cristo è giá apparso sulla terra, ma il suo messaggio deve ancora penetrare i nostri cuori.
Custodire il miracolo
“E’ apparsa la grazia di Dio, che ci insegna a vivere nell’attesa della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo…“ (Ti 2,11-13).
Come dicevamo prima, con la venuta di Gesú é apparsa la Bellezza di Dio. Ma il processo della Rivelazione non termina con questa prima apparizione. Bisogna poi che questa bellezza si manifesti e si riveli in tutta la pienezza della sua gloria. In altre parole, la Rivelazione non finisce con il Natale, ma continua con un’attesa lungo tutto il corso della nostra vita. L’Avvento è il tempo privilegiato in cui siamo chiamati a vivere in maniera speciale questa attesa e questa rivelazione.
Ma é proprio questo che, spesso, manca oggi: il tempo della rivelazione. E’ interessante che in spagnolo ‘sviluppare’ un rullino (come si faceva prima dell’avvento della foto digitale) si dice ‘revelar un rollo’, quasi a indicare che sviluppare un rullino significa rivelare il mistero dell’attimo in cui si era scattata la foto, un mistero che non si rivela tutto immediatamente ma che si svela poco a poco. Il grande antropologo Baudrillard osservava che nella foto digitale l’immagine è simultanea alla scena: non c’è piú nessuna attesa, nessun mistero, non c’è piú quella lenta e progressiva rivelazione dell’immagine come succedeva con la vecchia Polaroid. Nel mondo digitale tutto è giá dato in un attimo, con un flusso ininterrotto di immagini e informazioni da divorare in pochi secondi: non c’è tempo per l’indugio, non c’è tempo per aspettare la rivelazione di un significato piú profondo.
A volte si rischia di trasferire questa stessa logica nelle relazioni interpersonali: non c’è il tempo e la pazienza di aspettare che quell’abbraccio riveli tutte le potenzialitá della sua bellezza, ma c’è la fretta di divorare tutto e subito, per cui ti stanchi nel giro di breve tempo e dopo un po’ sparisci. L’attesa, invece, è intimamente collegata alla capacitá di approfondire e assaporare.
Anche i miracoli di cui ci parla la Bibbia appaiono nel momento in cui succedono ma poi si ripetono e si approfondiscono grazie alla parola e al canto che ce li ricorda, cioè che ce li riporta al cuore. Come diceva il grande teologo Abraham Heschel, la funzione del canto liturgico è quella di non perdere il miracolo. “Il miracolo del Mar Rosso é diventato un cantico”, e questo canto ha custodito il miracolo, anche per le generazioni successive. La liturgia ci aiuta a conservare lo stupore davanti alle opere belle del Signore, e a rivivere questo stupore nella nostra quotidianitá. In questo senso, nella liturgia il tempo quasi si ferma, si acquieta: liberati dalla schiavitú del fare, ci dedichiamo ad ascoltare le parole di Gesú, lasciandoci contagiare e penetrare dalla loro bellezza.
Anche nella nostra vita ‘profana’ (cioè fuori dal Tempio) è necessario custodire la dimensione ‘liturgica’, cioè custodire uno spazio in cui poter riassaporare e ricordare – magari insieme – la bellezza di una parola o di un abbraccio. Per non perdere il miracolo di quella ‘compresenza’ e vicinanza che ci aveva dato tanta gioia. La nostra vita quotidiana sarebbe ben misera cosa se non riuscissimo a custodire il miracolo dell’affetto, della solidarietá, della tenerezza. L’Avvento ci sprona a recuperare questa capacitá di saper aspettare e saper vivere la piena rivelazione della Bellezza, sia dentro che fuori dal Tempio…
La sensibilitá alla Bellezza come urgenza educativa
Come diceva Heschel, la sensibilitá alla Bellezza “é l’essenza della dignitá umana, perchè non si vive solo di spiegazioni, ma del senso di stupore e del mistero”. Oggi le Istituzioni educative non sembrano interessate allo sviluppo di questa capacitá e di questa sensibilitá. Ma in realtá, è proprio questa sensibilitá al bello che mantiene viva la nostra capacitá e libertá di giudizio di fronte all’abbrutimento dell’umanitá e alla volgaritá che dilaga sui social. Ed è la fede in Dio come “autore della Bellezza” che, se necessario, ci dá ”il coraggio di restare soli tra la moltitudine”.
“E’ bello stare qui”, dice Pietro a Gesú sul monte della Trasfigurazione (Mt 17,4): stare insieme a Gesú è la cosa piú bella che possa capitarci. Prego perché la profezia della Bellezza, apparsa il giorno di Natale, possa manifestarsi e realizzarsi compiutamente nella nostra vita!
fratel Alberto Degan