La Passione di Gesú ci evangelizza e ci umanizza
“Non ci può essere nulla di più efficace per la nostra salvezza e per seminare ogni genere di virtù nel nostro cuore che meditare con pietà e fervore la passione di Cristo”. Cosí scriveva san Tommaso Moro mentre, prigioniero nella Torre di Londra, aspettava l’esecuzione della sua condanna a morte. Detto in altri termini, non c’è nulla di piú efficace per vivere appieno la bellezza della nostra umanitá che contemplare con fervore la passione di Gesú.
“La mia anima è triste fino alla morte”, dice Gesú nel Getsemani (Mt 26,38). E Tommaso Moro ci informa che meditando sulla “tristezza di Cristo” la sua anima sentiva conforto e consolazione. Sembra un paradosso: come puo consolarmi la tristezza e la sofferenza di Gesú? Cosí lo spiega Jon Sobrino: “Per i poveri un Dio Crocifisso é – parzialmente – ‘Buona Notizia’. La Passione è Buona notizia, perché i poveri intuiscono che un Dio che soffre e muore per il “Regno di giustizia e di pace” (Rm14,17) é un Dio che li ama: esistenzialmente, i poveri associano la croce e la passione di Gesú a un amore senza limiti, e questo dá loro forza, e alimenta la loro resistenza e la loro lotta per la vita”.
“Questa notte tutti vi scandalizzerete”, ci ammonisce Gesù poco prima di essere arrestato. “Dice infatti la Scrittura: feriró il pastore e saranno disperse le pecore del gregge” (Mt 26,31). Cos’è che scandalizza i suoi discepoli? Credo che sia proprio questo: il fatto che il Messia sia ferito, il fatto che il Figlio dell’Uomo riveli tutta la sua fragilità. Nel Getsemani Gesù si comporta non come un Dio-Signore che ha tutto sotto controllo ma come un amico che sente il bisogno di stare vicino agli amici. Nel momento dell’angoscia e della passione emerge in tutta la sua bellezza la divina umanità di Gesù: il suo bisogno di amicizia, quando chiede ai suoi amici di restare con Lui; la sua volontà di pace, quando chiede ai suoi discepoli di rinunciare alla spada; la sua capacità di perdono, quando chiede al Padre di perdonare coloro che l’hanno crocifisso; la sua ostinazione a continuare a sognare un mondo diverso, quando sulla croce grida la sua sete, sete non solo di acqua, ma anche di umanità e di bellezza; la sua fede e la sua speranza che la tristezza e la morte non avranno l’ultima parola, quando dice: “Dopo la mia resurrezione vi precederò in Galilea” (Mt 26,32).
Sono tutti atteggiamenti e qualità umane di cui abbiamo estremo bisogno, soprattutto in questi momenti di angoscia davanti all’espandersi del coronavirus. Questa, allora, é la missione che ci affida Gesù in questa Settimana Santa: imparare da Lui che cosa significa essere umani, sapendo che solo quando ci comportiamo umanamente la nostra vita acquista senso e Bellezza, anche in un momento di estremo dolore e di forte angoscia.
Nella prima lettera di Pietro, l’Autore sacro, rivolgendosi alle donne, dice: “Il vostro mondo non si concentri sulle cose esteriori – capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti – ma piuttosto sull’umano nascosto nel cuore” (1Pt 3,4). Tutti sentiamo che possiamo superare questa crisi solo se riusciamo a salvare e potenziare la nostra umanità, anzi: questa crisi è un’opportunità per portare alla luce quella pienezza umana che spesso rimane nascosta nel cuore. Pietro si rivolge alle donne, ma questa esortazione vale per tutti: tutti siamo chiamati a valorizzare l’umanitá nascosta del nostro cuore. Ogni giorno che passa, vedo che per resistere dobbiamo riscoprire e attingere alla ricchezza e alla bellezza che Dio ha inciso nel DNA della nostra umanità.
Una missione ‘laica’
Dunque, se il nostro principale compito è valorizzare l’umanitá incisa nel nostro cuore, la missione che ci affida Gesú non è una missione propiamente ‘religiosa’. Come afferma il teologo Josè María Castillo, Gesú non si preoccupó che gli apostoli partecipassero ai sacrifici del Tempio ma affidò loro una missione laica, che consiste nel rendere questo mondo piú abitabile, piú giusto, piú umano. Che la nostra vita non si concentri sulle cose esteriori, sulla ricchezza e sul potere, ma sulle straordinarie potenzialitá presenti nel cuore di ogni essere umano: questa è la sfida che l’emergenza coronavirus ci obbliga ad affrontare.
Un Dio amico
“Non vi chiamo più servi… ma… amici” (Gv 15,15). Con queste parole Gesù propone un cambiamento rivoluzionario nella relazione uomo-Dio. Una rivoluzione che noi cristiani facciamo ancora fatica ad assumere. Nella preghiera, infatti, – ancor oggi – noi ci rivolgiamo a Dio soprattutto come ‘Signore’, che vuole dire ‘padrone’. ‘Signore’ (‘Dominus’) era il titolo dell’Imperatore e di tutti i ‘potenti’ cui obbedivano schiavi, servi e clienti. Ma Gesù non vuole avere con noi una relazione da Padrone a servi, “perché il servo non sa quello che fa il suo padrone” (Gv 15,15). Dio non vuole avere schiavi, vuole avere amici. Il servo semplicemente obbedisce o per necessità o per paura. L’Amicizia, invece, è una relazione autentica basata sulla reciprocità e sulla condivisione di valori e progetti di vita. Quando preghiamo, dunque, dovremmo rivolgerci a Gesù non solo come ‘Signore’, ma anche come ‘Amico’.
E la prima cosa che Gesù, come amico, ci chiede, è di rimanere con Lui: “La mia anima é triste fino alla morte, restate qui e vegliate con me” (Mt 26,37). Nell’angoscia, la prima raccomandazione che ci dà Gesù è quella di saper accogliere la nostra fragilità: riconoscere che non possiamo affrontare questo momento da soli, e cercare la vicinanza degli amici.
Gustare la bontá del Signore
E’ la seconda volta che vivo una Settimana Santa in ‘isolamento’. L’altra volta fu sempre qui in Colombia, nell’anno 2000, quando ci perdemmo nella savana della regione del Meta, e padre Pepe ed io potemmo sopravvivere mangiando quel poco che ci offriva la Natura. Avevamo trovato rifugio in una ‘finca’ abbandonata, situata in una specie di piccola oasi in mezzo alla savana semidesertica Ogni giorno, camminando per i sentieri di quella grande azienda, scoprivamo nuovi alberi da frutto. E cosí scrivevo nel mio diario di bordo: “Gustate e vedete quanto é buono il Signore, dice il salmo (34,9). E davvero qui possiamo ‘assaporare’ la bontá di Dio. Il giovedí la bontá del Signore ha il gusto del mango: scopriamo tre alberi alla destra della casa. Il venerdí la bontá di Dio ha il sapore del ‘plátano’, una grossa banana con alto valore nutritivo. Il sabato, infine, la bontá del Signore si riveste del sapore della guanábana, dolcissimo frutto tropicale…
In questi giorni si alternano momenti di relativa serenitá – perché ci rendiamo conto che possiamo sopravvivere ancora per qualche giorno – a momenti di angustia. Qui non sappiamo dove siamo, aspettiamo che vengano a ‘salvarci’, ma riusciranno a trovarci?”.
Tutti facciamo tesoro della nostra esperienza. In quell’occasione ho potuto sopravvivere gustando nel senso letterale del termine la bontá di Dio, che ogni giorno mi faceva scoprire un nuovo frutto. Ma piú in generale ho capito che nei momenti di angoscia è essenziale riuscire a gustare l’amore di Dio, cioè scoprire e valorizzare piccoli gesti di bontá, perché é questa bontá che ci tiene in vita. Quando due settimane fa mi ha chiamato un amico che era da tantissimo tempo che non sentivo, per me è stata una gioia e una consolazione grande, e nella voce del mio amico ho potuto assaporare la bontá di Dio.
In questi tempi di coronavirus siamo chiamati a moltiplicare questi piccoli gesti e segni di attenzione e di bontá.
In Ecuador
So che anche la televisione italiana ha parlato del dramma che si sta vivendo a Guayaquil, mostrando immagini da film dell’orrore. E´successo varie volte che, a causa dei ritardi del servizio funebre, la gente era obbligata a mantenere in casa un familiare difunto anche 3-4 giorni. Ma a quel punto, siccome l’odore del cadavere era insopportabile, i familiari si vedevano costretti a mettere il corpo (racchiuso in una bara o in un sacco) fuori di casa, all’angolo del marciapiede. Alcuni cadaveri sono stati bruciati in mezzo alla strada, uno di questi molto vicino alla nostra comunitá del Centro Afro.
Perdere l’amico
Ma il dolore piú grande è stata la notizia della morte di Luis, un giovane guayaquileño di 34 anni che io
conoscevo bene. E’ morto per problemi respiratori legati al coronavirus. Per tutti noi è stato un colpo durissimo: Luis collaborava con le nostre attivitá pastorali, era molto conosciuto e stimato da tutti per la sua generositá. Adesso lascia la moglie e tre bambini.
Il giorno dopo mi chiama Miguel, un altro giovane di Guayaquil amico di Luis, che mi dice: “Hermano Alberto, per favore, abbi cura di te, resta in casa, perché non voglio perdere un altro amico”.
La Settimana Santa, vista dal punto di vista degli apostoli, è la dolorosa esperienza di perdere l’Amico, un amico che ci voleva bene e che per noi era un punto di riferimento fondamentale.
Confesso che sono preoccupato per tanti amici e amiche che ho a Guayaquil. Carlitos, il giovane papá di cui parlavo nella mia ultima lettera, per comprare da mangiare ai figli ha dovuto vendere il cellulare e cosí adesso non puó piú comunicare con gli amici. Immagino che esca, magari senza mascherina, alla ricerca di cibo per la sua famiglia. E io non posso fare niente per lui, se non affidarlo al Signore.
La violenza non va in quarantena
Purtroppo, l’emergenza coronavirus non ferma la violenza politica in Colombia, come non ferma la politica armamentista dell’Italia, che continua a spendere miliardi di euro per gli F35 in piena emergenza sanitaria. Qui da noi, in piena quarantena, continuano ad ammazzare leader sociali. Mentre crescono anche in Colombia i contagiati e i morti per coronavirus si continua ad uccidere sindacalisti e leader di comunitá. Nei primi tre mesi di quest’anno sono giá stati uccisi 71 leader sociali e 20 ex-guerriglieri della FARC che avevano deposto le armi. Con la quarantena, il pericolo è che l’assassinio mirato di leader sociali diventi ancora piú invisibile. La comunitá cristiana deve impegnarsi a mettere fine a tutti i conflitti armati e dirigere tutti gli sforzi alla lotta contro la pandemia.
La ‘societá’ esiste! Parola di Boris Johnson!
Qualche giorno fa Boris Johnson, il primo ministro inglese, ha fatto un’affermazione che è passata un po’ sotto silenzio: “Questa crisi dimostra che la societá esiste”, ha detto. Potrebbe sembrare una banalitá, ma invece è un’affermazione importantissima. Ricordiamo che circa quarant’anni fa la signora Thatcher, dello stesso partito di Johnson, affermó: “Non esiste una cosa chiamata societá ma solo individui o, al massimo, famiglie”. Era il dogma della destra neoliberale, che aveva decretato la morte della societá e della solidarietá comunitaria. Ormai, commentava Bauman, la destra neoliberale ha raso al suolo la societá, e l’ha sostituita con una serie sparsa di cellule: la vita è la lotta di una cellula contro le altre cellule, ognuno per sé, e vince la cellula piú forte. Il fatto che un rappresentante di quella stessa destra neoliberale adesso riconosca che, in questa emergenza, è rinata la solidarietá sociale, per me è un segno di speranza: la fragilitá puó convertirci alla solidarietá. Prego che un frutto della crisi del coronavirus sia proprio quello di aprire un capitolo nuovo a livello di politiche sociali.
Prima giornata internazionale delle coscienze
Oggi, 5 aprile 2020, é la Prima Giornata Internazionale delle coscienze, promossa dall’ONU. E’ una bellissima notizia! E’ un altro frutto bello di questa crisi. L’ONU ci invita a ridare spazio alla nostra coscienza, a educarla e a risvegliarla. Detta in termini biblici, l’ONU ci invita a riscoprire “l’umano nascosto nel cuore”, perché solo a partire da questo spazio potremo ripensare il nostro modello di vita e discernere ció che è essenziale da ció che non lo è, ció che è umano da ció che non lo é.
Praticamente l’ONU, la principale Istituzione laica mondiale, riconosce il primato dell’interioritá e della spiritualitá. “L’educazione all’interioritá come principale sfida politica”, era il titolo di una mia lettera di quattro anni fa. E che bello che la Giornata internazionale delle coscienze quest’anno coincida con la Domenica delle palme, in cui Gesú ci mostra cosa significa essere veramente umani!!!
Prego che Dio ci aiuti ad essere agenti attivi di questo risveglio! E prego che ci ispiri a vivere la Settimana santa con la sua stessa passione per questa umanitá ferita!
Un abbraccio fraterno,
fratel Alberto Degan