Si è tenuto a Bagazzano di Nonantola (MO) domenica 17 ottobre un incontro per ricordare don Francesco Cavazzuti, missionario in Brasile, vittima di un attentato che lo ha reso cieco.
In questa pagina potete trovare un po’ di materiale prodotto in questa occasione
IL VIDEO COMPLETO DELL’INCONTRO
UN VIDEO RIASSUNTO DELLA GIORNATA A CURA DI MAR-TE.TV
in allegato una pagina distribuita al termine della celebrazione
Il ricordo di don Isacco Spinelli
Frangar non flectar
(mi spezzo ma non mi piego)
Don Francesco Cavazzuti (Chicao) era così: uomo d’ un pezzo solo, una roccia.
L’ ho incontrato a Itaberaì , in Goiàs, al centro del Brasile, con Don Arrigo per la prima volta nel Febbraio del ’69.
Era arrivato in nave assieme a Don Arrigo e sono rimasti con noi (Don Isacco e Don Francesco Capponi) qualche settimana per incominciare ad ambientarsi prima di andare nella Parrocchia di Jussara e Brittania, ai confini con lo stato del Mato Grosso.
Erano i tempi caldi del “68” con la rivoluzione culturale in atto in Italia e il colpo di stato dei militari in Brasile. I due Francesco, già in canonica a Itaberaì, hanno iniziato a discutere subito. Don Capponi impaziente di iniziare una pastorale nuova d’ avanguardia, idee nuove, esperienze nuove e Don Cavazzuti, che veniva dall’ Azione Cattolica di Carpi, più prudente, critico delle idee nuove.
Frangar non flectar
(mi spezzo ma non mi piego)
Non saranno tanto le discussioni a far cambiare le idee a Pe. Chicao ma la realtà in cui si trova a vivere: il contatto con il mondo contadino, la situazione della donna, i poveri, la miseria, e l’ oppressione da parte dei ricchi fazendeiros (ricchi proprietari).
Il vescovo Don Thomàs Baldoino ha un obbiettivo molto preciso per la pastorale diocesana: coscientizzare e rendere responsabili i laici e soprattutto i poveri in questa missione. La chiesa impara ad ascoltare i poveri e li aiuta ad essere protagonisti, non più padrona, assieme ai grandi ma in ascolto e a servizio.
Pe. Chicao fatica ad accettare questa rivoluzione copernicana, ma entra con tutto il suo entusiasmo e la sua forza e diventa una voce potente dei contadini e dei poveri.
Frangar non flectar
(mi spezzo ma non mi piego)
Infatti cominciano i conflitti con i fazendeiros e i politici, prima i locali, poi anche nelle alte sfere. Arrivano le minacce, le denunce contro di lui e della Parrocchia, da parte della elite che si mette direttamente contro.
Frangar non flectar
(mi spezzo ma non mi piego)
Anche all’ interno della chiesa parrocchiale e diocesana nascono forti tensioni e questo si vede soprattutto nelle riunioni diocesane con i rappresentanti di tutte le parrocchie: sono presenti i laici, i preti e le suore.
Nella teoria Chicao è più prudente e attento, ma nella pratica quando c’ è da difendere i poveri, o denunciare le ingiustizie e gli oppressori lui, è molto deciso e va giù dritto, senza paura, anche di fronte alle minacce.
Frangar non flectar
(mi spezzo ma non mi piego)
Il governatore dello stato del Goiàs prepara il documento di espulsione di Chicao dal Brasile che però non ha esecuzione.
Poi si arriva al grande fattaccio dell’ attentato contro Pe. Chicao e siamo nell’ 87 che lo lascia cieco per sempre.
E’ un suo parrocchiano che gli spara con l’intenzione di ucciderlo a mando del sindaco, del farmacista e di due fazendeiros. Ma Chicao ha una corazza dura, rimane cieco ma non muore e dopo le cure, in Brasile e in Italia, continuerà a fare il parroco a Mossamedes per parecchi anni. Ritornerà a Carpi per i suoi ultimi anni fino al 7 Agosto 2021.
Frangar non flectar
(mi spezzo ma non mi piego)
Pe. Chicao, profeta, testimone, martire
Grazie, Chicao
Il ricordo di don Arrigo Malavolti
Ho conosciuto Don Francesco Cavazzuti pochi mesi prima di andare in Brasile. Fu durante il corso che si faceva per preparare preti, suore e laici
che sarebbero poi andati in America Latina. A Verona presso il CEIAL (Conferenza Episcopale per l’America Latina) ho incontrato don Francesco che veniva dalla diocesi di Carpi. Durante quel corso il vescovo brasiliano Dom Tomàs Balduino, fece visita al gruppo. Fu lì, in quella occasione, che il vescovo Dom Tomàs invitò don Francesco ad andare in Brasile nella sua diocesi.
E così, esattamente il 12 febbraio 1969, partimmo da Genova. in nave, per il Brasile. Per i primi dieci anni abbiamo abitato insieme nella stessa casa parrocchiale e lavorato nelle parrocchie di Itapirapuã, Jussara e Britania. Poi ciascuno ha preso altre vie, sempre però nella stessa regione del Goiàs. Ho potuto quindi conoscere molto bene don Francesco, come persona e come sacerdote. Come persona era un uomo retto, sincero, per certi aspetti perfino rigido e radicale, Come sacerdote era impegnatissimo nel lavoro pastorale, fedele al Vangelo di Gesù Cristo e al popolo, sensibile ai diritti dei lavoratori e alle ingiustizie che spesso la povera gente soffriva. Non aveva mezze parole per denunciare le ingiustizie e i soprusi sui contadini e sui piccoli proprietari terrieri.
I tre comuni e parrocchie in cui lavoravamo (Itapirapuã, Jussara e Britania) avevano una estensione più grande di quattro provincie italiane, con una popolazione di circa cinquanta mila abitanti. La zona rurale era caratterizzata da grandi estensioni di terra, dette “fazendas”. Fu proprio qualche “fazendeiro” (padrone della fazenda), a cui non piacevano certamente gli atteggiamenti, le parole e le omelie di don Francesco, che a un certo punto decidono di ucciderlo.
Il killer, pagato per questo, non riuscì ad ucciderlo, ma lo ferì gravemente alla testa lasciandolo cieco per sempre. Così don Francesco visse ancora più di trenta anni in Brasile, cieco e parroco, dando una forte testimonianza di fedeltà a Dio e alla gente. In Brasile usavamo di chiamarlo MARTIRE VIVENTE.