Carissimi
La celebrazione del Natale si sta avvicinando. È una ricorrenza che, in vario modo, tutti ricordano e celebrano. È importante celebrare la verità di questa festa: non è un semplice compleanno ma una nascita che si ripete nella storia. In Sud Sudan, il Natale è la festa per eccellenza poiché viene anche dopo la mietitura in un tempo di relativa prosperità. La popolazione si raduna, senza distinzione di credo o classe sociale, per celebrare la vita. E la comunità ne esce vivificata, rinsaldata e, in qualche misura, anche rinata. È bello allora celebrare la vita di Gesù e, in Lui, la nascita di una nuova umanità.
Il 2021 è stato l’anno più insolito della mia vita. L’ho cominciato con una prolungata celebrazione del Natale durata circa due settimane durante le quali ho incontrato diverse comunità cristiane: prima in cattedrale a Malakal, poi con gli sfollati nel campo ONU fuori città, e nei giorni successivi visitando le comunità cristiane di Koradaar, Palloch e Mellut che da tempo non ricevevano la visita di un sacerdote. Ho visto tanta povertà ed abbandono, tanta frustrazione per l’insicurezza e la pace ancora lontana a venire. Solo la resilienza della gente e solidarietà sono stati segno di un Natale vero e vissuto.
L’8 Marzo è arrivata la nomina del tutto inaspettata a vescovo di Rumbek. Il 19 Marzo ho salutato Malakal e, dopo aver trascorso qualche settimana a Giuba, ho raggiunto Rumbek il 15 Aprile. Dopo soli 10 giorni sono stato vittima di un attentato. Questo incidente ha, a dir poco, stravolto i miei piani ed aspettative. Ho fatto esperienza della mia debolezza. Non solo quella fisica dovuta al danno subito e alla lenta riabilitazione che, grazie a Dio, ha portato buoni frutti e mi ha permesso di recuperate bene. Ma anche la debolezza dovuta al fatto di non essere riuscito a promuovere quella pace, unità e cooperazione a cui tanto aspiravo. Di certo non è dipeso solo da me. Ma questo mi ha richiamato sulla mia povertà e bisogno quindi di essere umile. Il perdono deve essere coltivato come scelta personale che costa sacrificio. Da qui parte il percorso in salita della riconciliazione che è sempre un cammino comunitario e che non si può forzare a furia di spinte ma deve maturare come impegno comune. Si sa che la violenza è vinta solamente dalla mitezza. È preferibile infatti essere feriti che ferire, portando le ferite senza rancore. Il dolore con cui ho cominciato questo ministero, forse disporrà gli animi all’accoglienza. Desidero quindi coltivare la speranza.
La famiglia di Nazaret è un esempio di grande mitezza e disponibilità nonostante la violenza imperante. Gesù si è fatto presente e vicino ad ogni persona con una delicatezza tale da non sembrare nemmeno Dio, ma del tutto umano mostrando così come dovremmo essere anche noi. Ed è per questo che oggi lo vedo farsi presente nei volti di tanti bambini/e o giovani di Rumbek che guardano alla Chiesa come alla famiglia di Nazaret: pronta ad accoglierli, a proteggere la loro vita e dar loro un’opportunità, una speranza. Prego perché, rispondendo generosamente alla nostra chiamata cristiana e al nostro mandato, possiamo condividere con loro la vita nuova che abbiamo ricevuto da Gesù, una vita finalmente libera da tante costrizioni, paure ed incertezze. Questo è quello che la nostra diocesi di Rumbek sta cercando di fare grazie alle tante persone sul campo (missionari/e, collaboratori laici) e sostenitori che contribuiscono perché l’opera di evangelizzazione e promozione umana continui. L’intervento nel campo dell’istruzione è il fiore all’occhiello della diocesi che vuole promuovere la formazione integrale della persona e la trasformazione sociale a partire dai giovani stessi che sono la più bella risorsa del paese.
Quindi vi ringrazio per il vostro sostegno che continuo a ricevere in molti modi diversi e che ora diventa sorgente di speranza per la diocesi di Rumbek. Alla luce di quanto mi è successo, ritengo importante che la diocesi di Rumbek dia nuova vita al centro di cura del trauma promosso in passato dal nostro vescovo mons. Cesare Mazzolari. In un contesto di conflitto, tutte le persone portano le ferite di una cultura o ambiente che perpetua violenza attraverso la legge in cui è il più forte a sopravvivere alle spese del più debole. Ritengo dunque necessario riaprire il centro di ascolto dove, alcune persone competenti, possano proporre percorsi di riconciliazione, giustizia e pace. Nel 2022 terremo in diocesi dei ritiri per gli agenti pastorali con delle sessioni guidate dal gruppo Solidarity with South Sudan che promuovano l’ascolto e la condivisione per superare ogni ostilità e promuovere comunione. Sarà poi necessario continuare con programmi che curino la formazione di leaders del posto che possano prendersi a cuore la risoluzione dei conflitti locali o violenze familiari. Questo processo si basa sulla dignità di ogni persona superando le tre comuni dicotomie: quella etnica tra clan e tribù, quella sociale tra chi è potente e chi non conta nulla nella società, quella antropologica tra uomo e donna in una società fortemente patriarcale. Il mio motto episcopale ispirato dalla lettera di san Paolo ai Galati trova una chiara applicazione anche in questo progetto. “Non c’è né giudeo né greco, non c’è né schiavo né libero, non c’è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28).
Vi lascio dunque con i miei più sinceri auguri di buon Natale perché alzando il capo possiamo finalmente contemplare la Sua luce. Non siamo soli, Gesù bambino è la nostra speranza. Lui ci fa scuola di umanità perché possiamo vincere ogni ostilità e vivere l’ospitalità.
L’Altro è la ragione del nostro esserci.
Padre Christian Carlassare