Come anticipato eccovi un breve sussidio di preghiera da utilizzare il Sabato Santo, il giorno del grande silenzio, il giorno di “frammezzo” tra il dolore per la morte di Gesù e la gioia della sua Resurrezione. Questo piccolo contributo parte dalla testimonianza di p. Gigi Maccalli, per oltre due anni rapito nel deserto del Sahara, che nel suo libro, “Catene di libertà” (Emi editrice) scrive: Il silenzio mi ha rimesso al mio posto di servo inutile. (…) Il silenzio ha passato la pialla sul mio carattere spigoloso e la lima sulla mia testardaggine.
Il sussidio è qui sotto oppure lo puoi scaricare qui in formato PDF
Prima di cominciare…
… materiali per la meditazione:
- un seme a testa;
- una ciotola con dentro un po’ di terra;
- una chitarra, oppure un pianoforte, o una fisarmonica, oppure… uno strumento (o anche più di uno) a vostro piacere per accompagnare i canti.
INTRODUZIONE
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Canto ♪
Durante l’esecuzione del canto, si appoggia la ciotola con la terra al centro, i semi vengono disposti intorno ad essa, e infine si accende un cero.
Canti suggeriti
Sólo le pido a Dios
Dios está aquí
Misericordias Domini in aeternum cantabo (Taizé)
Pai Nosso (guarda il video cliccando qui)
Nostra Signora delle catene (guarda il video cliccando qui)
Preghiamo a cori alterni:
Dal libro della Lamentazioni (cap. 3)
Io sono l’uomo che ha provato la miseria
sotto la sferza della sua ira.
Egli mi ha guidato, mi ha fatto camminare
nelle tenebre e non nella luce.
Egli ha consumato la mia carne
e la mia pelle, ha rotto le mie ossa.
Anche se grido e invoco aiuto,
egli soffoca la mia preghiera.
Seminando di spine la mia via,
mi ha lacerato, mi ha reso desolato.
Ha teso l’arco, mi ha posto
come bersaglio alle sue saette.
Ha conficcato nei miei reni
le frecce della sua faretra.
Sono rimasto lontano dalla pace,
ho dimenticato il benessere.
E dico: “È scomparsa la mia gloria,
la speranza che mi veniva dal Signore”.
Il ricordo della mia miseria e del mio vagare
è come assenzio e veleno.
Ben se ne ricorda la mia anima
e si accascia dentro di me.
Questo intendo richiamare al mio cuore,
e per questo voglio riprendere speranza.
Le grazie del Signore non sono finite,
non sono esaurite le sue misericordie.
Si rinnovano ogni mattina,
grande è la sua fedeltà.
“Mia parte è il Signore – io esclamo -,
per questo in lui spero”.
Buono è il Signore con chi spera in lui,
con colui che lo cerca.
È bene aspettare in silenzio
la salvezza del Signore.
È bene per l’uomo portare
un giogo nella sua giovinezza.
Sieda costui solitario e resti in silenzio,
poiché egli glielo impone.
Ponga nella polvere la bocca,
forse c’è ancora speranza.
Porga a chi lo percuote la sua guancia,
si sazi di umiliazioni.
Poiché il Signore
non respinge per sempre.
Ma, se affligge, avrà anche pietà
secondo il suo grande amore.
MEDITAZIONE
Per il momento di meditazione proponiamo un brano tratto dal libro Catene di libertà di Pier Luigi Maccalli. Membro della ‘Società delle Missioni Africane’ (Sma), missionario a Bomoanga (sud-ovest del Niger) dal 2007, viene sequestrato il 17 settembre 2018 dai jihadisti del ‘Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani’ (Gsim) e tenuto ostaggio fino alla liberazione, avvenuta l’8 ottobre 2020. È stata prevista una ‘forma breve’: le parti tra le parentesi quadre rosse possono essere omesse.
[Mi ritrovo nel Sahara in ciabatte e pigiama. Non ho nulla e sono nulla agli occhi di questi musulmani che mi considerano un kafir (‘infedele’, in arabo, ndr) condannato all’inferno. L’unico mio sostegno è la preghiera semplice e usuale del mattino e della sera che ho imparato dalla mia mamma e il rosario della nonna come orazione contemplativa. Attorno a questa ossatura, qualche salmo e cantico che ricordo a memoria, l’invocazione dello Spirito Santo e il mio parlare a tu per tu con Dio. Mi sfogo e mi lamento con lui, talvolta con qualche accento forte alla maniera dei salmi imprecatori. La domenica faccio memoria di un passo di Vangelo e mi attardo sulla preghiera universale in cui porto le intenzioni di tutti e per tutti.
È un’esperienza di forte comunione con la chiesa, la famiglia, la missione, i sofferenti, e di intercessione per il mondo, per la pace e anche per i miei persecutori, per i quali chiedo perdono. ]
In questi mesi di solitudine forzata ho pregato tanto anche con le lacrime. Talvolta ho percepito il silenzio di Dio. Ma sono venute in mio aiuto alcune parole consolatorie, le ho raccolte insieme ad alcuni fossili di conchiglia che ho trovato nella sabbia, mentre camminavo assorto nei miei pensieri, con lo sguardo all’orizzonte.
La prima: «Non temere». È un’esortazione che attraversa tutta la Bibbia ed è presente in molti racconti di vocazione, da Abramo ai patriarchi, dai profeti fino a Maria e Giuseppe, e poi transita dagli apostoli per continuare a incoraggiare uomini e donne di ieri e di oggi. «Non temere, Gigi», sento risuonare in me come un’eco.
La seconda: «Tu sei con me». Me la ricorda il salmo 22 che recito ogni giorno. «Il Signore è il mio pastore… se anche andassi per una valle oscura non temerò alcun male perché tu sei con me». Questa parola mi richiama un episodio vissuto nel primo mese del rapimento. Durante la risalita del fiume Niger con una piroga a motore, siamo passati accanto a una riva dove erano ormeggiate altre piroghe. Quasi tutte avevano una scritta sulla fiancata. Su alcune c’era una parola in una lingua a me sconosciuta, su altre una data a mo’ di targa. Una piroga ha attirato la mia attenzione: vi era scritto in francese «Dieu t’aime» (Dio ti ama). Quel messaggio era rivolto a me, è stato come un colpo di fulmine che ha trafitto il mio cuore che si credeva dimenticato da Dio-amore.
La terza: «Non ti abbandonerò». Un giorno, mentre ripensavo ai miei cari genitori defunti, mi viene in mente questa frase del salmo 27,10: «Anche se tuo padre e tua madre ti abbandonassero, io non ti abbandonerò, dice il Signore» – rafforzata da un’altra espressione del profeta Isaia (Is 49,15): «Può una donna dimenticare il bambino che ha allattato e portato in grembo? Anche se così fosse, io – dice Dio – non ti dimenticherò». Ho un bellissimo ricordo dei miei genitori, ai quali sono affettivamente molto legato. Papà e mamma sono morti quasi novantenni, alcuni anni fa, ma sembra solo ieri. Ringrazio Dio di tanta premura paterno-materna nei mie confronti attraverso di loro. E anche ora so che non sono né abbandonato né dimenticato. Dio c’è!
Quarta parola consolatoria: «Cammina umilmente con il tuo Dio». È una frase che fa parte del trittico del profeta Michea (Mi 6,8): «Questo solo il Signore ti chiede, o uomo: ama teneramente, agisci giustamente e cammina umilmente con il tuo Dio». Umilmente sa di humus, cioè di terra concimata. Può sempre nascere qualcosa di nuovo quando la terra è fecondata dal seme della parola di Dio. [ È una citazione che mi accompagna dal 1996, quando feci un anno sabbatico. Un libro inglese sulla spiritualità olistica lo commenta ampiamente ed è stato per me fonte di ispirazione per ritiri e incontri di spiritualità missionaria giovanile sia in Italia sia in Africa. ]
La quinta parola che lo Spirito consolatore mi ha suggerito è più profana: «Fai il morto», ossia lasciati portare dalle onde del mare. È un invito ad abbandonarmi con fiducia, come mi ricorda la bella preghiera di Charles de Foucauld: «Padre mio, mi abbandono a te, fai di me quello che ti piace…». Sono sempre stato una persona metodica e programmata, mi piace impostare il tempo e guidare la mia vita. In questa disavventura non mi do pace e continuo a farmi tante domande per sapere perché, come, chi, quando… Ma una voce interiore mi dice: «Lascia il timone, non ti affaticare a remare contro onde troppo grandi per le tua forze. Rischi solo di affondare in una depressione e nella follia». Fare il morto in acqua è farsi portare dal mare.
[ Mi capita spesso di sognare di esser libero e di telefonare a casa per annunciare il mio ritorno alla vita. Poi all’improvviso apro gli occhi, vedo il telo sopra di me e sento il freddo silenzio della notte che mi avvolge. La mia testa gira a mille, pensando giorno e notte a cose da fare e da organizzare, ma mi accorgo che si è accesa una spia che mi segnala che sta andando in saturazione. Ci sono giorni che non riesco più a ricordare i nomi di persone a me familiari. È un segnale da non trascurare. Mi dico che è ora di darmi una calmata e di accettare il presente. È tempo di cambiare sguardo sulla realtà che sto vivendo. Mi consola il motto che fu di papa Giovanni XXIII, Oboedentia et Pax. Mi lascerò portare dall’onda verso altri lidi, non scelti da me! ]
La sesta parola che custodisco mi è suggerita dall’angelo Gabriele, la domenica che precede Natale: «Nulla è impossibile Dio»! Egli sa trasformare la morte in vita, la schiavitù in salvezza e la sofferenza in nuovo inizio. La preghiera, che è stata la cosa più difficile nei primi giorni, ora diventa il respiro della mia giornata. Ero prima abitato da tante domande: «Perché il Signore mi ha abbandonato? Che cosa ho fatto di male per meritare tutto questo?». Il mio cuore era pieno di rabbia, delusione e ribellione. Ora il vento sferzante si è trasformato in bonaccia.
Mentre scruto l’orizzonte di questo Sahara infinito, dalla sommità di una duna su cui mi sono spinto senza essere visto dai miei sorveglianti, mi viene in mente la parola di Gesù: «Se aveste fede come un granello di senape, spostereste le montagne» (Lc 17,6). È la settima parola che calma la mia tempesta interiore. O Signore, dammi questa fede, grande quanto un granellino di sabbia. Se la fede può spostare le montagne, a maggior ragione il soffio del tuo Spirito può spostare queste dune di sabbia e aprire il mio passaggio dalla schiavitù alla libertà. Come il pellegrino russo, ripeto camminando e pregando: «Abbi pietà di me peccatore e aumenta la mia fede».
[ Caparbiamente tengo fede alla preghiera quotidiana e al rosario. È duro pregare e non percepire alcun contatto da lassù, ma insisto nel mio impegno di preghiera sapendo che Dio non è un juke-box a gettoni. L’esperienza della notte oscura e del silenzio di Dio sono un passaggio obbligato per ogni vero suo adoratore. Lui resta un Mistero a noi sempre inaccessibile. Non è mai al soldo dell’umano volere. ]
Il deserto è biblicamente un tuffo nell’esperienza delle origini, un ritorno al tempo del fidanzamento in cui Dio riplasma la sua relazione con l’amata (Israele). Gli esegeti fanno notare che la parola «deserto» in ebraico può essere interpretata come il luogo in cui la parola di Dio è stata comunicata a Israele. In effetti «parola», che in ebraico si legge DaBaR, ha la stessa radice verbale (cioè le consonanti dbr) del termine «deserto» (MiDBaR). Fa esperienza di deserto, allora, chi si immerge nella parola di Dio per studiarla, meditarla e assimilarla. Così fece Gesù durante i suoi 40 giorni di solitudine: attraverso il silenzio e la prova ascoltò la parola di Dio, scoprì la sua missione e la via da seguire.
In questo deserto, la preghiera del cuore è il mio unico spazio libero. Attingo, nella profondità di questo pozzo interiore, acqua di vita. Confesso che a volte è faticoso pregare e dissetare la mia sete, ma non demordo. Attendo. Sono certo. Ho fiducia. Credo che Qualcuno risponderà quando lo vorrà.
(Catene di libertà, pp. 50-54)
SILENZIO
Prima di iniziare il momento di silenzio, si accende un secondo cero: il primo sottolineava il riunirsi nel nome della Trinità e il porci in ascolto; questa seconda fiamma arde a partire dal momento in cui ci ritroviamo da soli con la nostra interiorità, la nostra coscienza, la nostra memoria: neanche ora Dio ci abbandona.
Dopo l’accensione del cero, ognuno raccoglie uno dei semi posti intorno alla ciotola.
Il tempo del silenzio può essere concordato prima di iniziare la preghiera. Pensiamo possa essere opportuno osservarlo per almeno 10′.
Di seguito proponiamo alcune piste per orientare la riflessione che potranno essere utili per il successivo momento di condivisione:
- C’è stato un momento della mia vita in cui ho sperimentato forte il silenzio di Dio? Come ho reagito? Cosa mi aspettavo?
- C’è una parola che sentiamo particolarmente nostra, che vorremmo ascoltare da Dio, che stiamo attendendo da lui o da qualcun altro?
- C’è una preghiera che sorge a partire dall’ascolto delle parole di Maccalli, dal silenzio, dalla rievocazione di un momento in cui ho sperimentato il silenzio di Dio?
CONDIVISIONE
Terminato il silenzio, ci si riunisce e si accende un terzo cero, affinché anche la nostra condivisione sia accompagnata dalla presenza dello Spirito. Ognuno può, a conclusione della propria condivisione, proporre una preghiera.
Ogni volta che una persona finisce la propria condivisione, può porre il proprio seme dentro la terra contenuta nella ciotola. Può essere significativo spiegare agli altri che cosa rappresenta per noi quel seme (la parola attesa, una preghiera che non riusciamo ad esprimere ora, il silenzio che attende per farsi fecondare dal Verbo, e così via…). Dopo questo momento si può ripetere insieme: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24) oppure, in alternativa, si può cantare un canone adatto (Nada te turbe; Dios está aquí; Jésus le Christ, lumière intérieure; Ubi caritas et amor; la prima strofa di Sólo le pido a Dios…).
CONCLUSIONE
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 16,21-24)
21La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. 22Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. 23Quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. 24Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena.
Padre nostro
Canto ♪
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