Dopo un po’ di tempo senza dare notizie scritte eccoci a fare un riassunto degli ultimi due mesi, pieni di giorni importanti e di banale, ma bellissima, quotidianità. Sì perché se è vero che abbiamo trascorso il Natale in comunità, il ricordo dell’incidente dello scorso 27 dicembre a Manakara, il capodanno a ballare tutti insieme, il primo compleanno della Toky condividendo biscotti con i dipendenti, quello che ci siamo accorti essere la parte più bella di questi due mesi è stata la relazione con le persone, alcune delle quali non abbiamo dubbi nel definirle amiche.
Andando con ordine vorremmo partire dal 27 dicembre, giornata in memoria dell’incidente. Sapevamo che ci sarebbe stata una messa a Manakara e la benedizione di un cippo a ricordo delle vittime sul luogo dell’incidente, appena fuori dalla città. Quello che non avevamo immaginato era che la giornata sarebbe diventata un momento di condivisione con tutti i dipendenti dell’ospedale e con tante suore e frati delle Case della Carità arrivati da tutta l’isola.
Per i dipendenti, i loro figli e la comunità di Ampa si è organizzato un pulmino che è partito al mattino e tutto il giorno è stato con loro, fino al rientro la sera. Essendo troppi abbiamo però preso anche le due macchine dell’FMA per poter portare tutti. Immaginate come se fosse stata una gita scolastica o parrocchiale, con appello alla partenza per vedere di non lasciare nessuno in giro, e canti per tutta la durata del viaggio. A Manakara poi abbiamo pranzato tutti insieme in spiaggia, vista oceano. Vedere i figli dei dipendenti giocare sulla spiaggia con le onde (molti non avevano ancora mai lasciato il villaggio), i genitori chiacchierare e mangiare sulle stuoie, e noi che eravamo lì con loro in modo così naturale ci ha fatto capire una volta di più quanto in questo anno e mezzo ci siamo fatti coinvolgere dall’FMA e soprattutto dalle persone che se ne prendono cura quotidianamente. A fine giornata ci risuonavano un’idea di fraternità possibile e di rinascita che sono difficili da scrivere a parole, ma per le quali siamo infinitamente grati.
Finito il pranzo c’è poi stato il momento della messa, terminato il quale siamo andati a benedire il cippo, altri due momenti forti e importanti per non dimenticare chi per l’ospedale ha dato la vita: Martin e la moglie Nivo, Don Didier, Sr. Odette, Sr. Justine e Sr. Louise, queste ultime due importantissime per noi per come ci hanno insegnato a vivere in Madagascar e soprattutto cosa significa vivere in comunità.
Parlando invece di ordinario, ci sarebbero tantissime cose da raccontare e pian piano ve le racconteremo. Oggi proveremo a descrivervi come ci siamo sentiti accolti da una famiglia in Madagascar portandovi l’esempio della famiglia di Josepha, uno dei due autisti dell’ospedale che Manu definisce mpampianatra (maestro) e la Toky dadabe (nonno) e di conseguenza la moglie Lalatina è la bebè (nonna). Come spesso succede qui, si accolgono in casa anche altri parenti più o meno stretti in grado, fino ad arrivare in questo caso a nove persone. Le figlie Maria, Josephine e Havitra sono come tre sorelle maggiori per la Toky: ogni tanto vengono a prenderla, la portano a casa e ci passano il pomeriggio a giocare, sebbene siano parecchio più grandi (la piccola sta finendo le scuole medie e la grande ha iniziato l’università).
A casa loro sappiamo di poter andare quando vogliamo, la porta è sempre aperta, anche se spesso si dispiacciono perché arrivando un po’ all’improvviso non hanno niente di pronto da offrirci da mangiare. Quando siamo da loro tutto è perfettamente normale: stiamo seduti sulla stuoia a chiacchierare della giornata passata o di quello che succederà il giorno dopo, delle fatiche a lavoro o dei futuri esami delle figlie, anche se il meglio sono i loro aneddoti su com’era lavorare in ospedale e la vita in villaggio. In un momento di “debolezza” ci hanno raccontato addirittura come si sono conosciuti e com’era la loro vita prima di arrivare all’FMA. La Toky intanto gira sempre per la stanza in cerca della gatta Jolie, o va dalle sue “sorelle” a chiedere un mango che inevitabilmente arriva.
La casa è piccola: due stanze in tutto, ma tenute ordinate, una tenda a separare i letti dalla parte di stanza con la stuoia e le sempre presenti casse per la musica. Nel giardino circondato dalla recinzione ci sono sempre delle galline libere, saranno la laoka per i giorni di festa gli unici nei quali si concedono un po’ di carne. La vita si passa quasi sempre fuori di casa ed è proprio per questo che ci colpisce molto poter entrare in qualcuna di queste per vedere come sono. Ma ancora di più pensare che in tre abbiamo due stanze tutte per noi e un refettorio dove poter mangiare con la comunità. Entrare nelle case, e un po’ forse nelle vite di questi amici, ci dà l’occasione la sera di fermarci un attimo a riflettere insieme sulla nostra fortuna e sull’ulteriore fortuna di poter condividere con loro la quotidianità.
Chiudiamo con un pensiero di questa mattina, mercoledì delle ceneri (alarobian’ny lavenona). Eravamo a messa con la chiesa piena dei bambini delle scuole che cantavano a squarciagola le canzoni e sembrava quasi di essere allo stadio. Vedere tanti bimbi in chiesa, tutti insieme, ci ha riempito di gioia e di speranza perchè ci ha fatto vedere una Chiesa viva, giovane.
Buon cammino di Quaresima a tutti.
Manu, Terri e Ludo-Toky