Sono arrivata in Madagascar da una settimana e prima di partire mi avevano detto che ero pronta.
Fino ad oggi ho pensato che non avessero capito proprio niente, io non sarò mai pronta per questo.
Però mi hanno detto tante cose prima della partenza e molte si stanno rivelando vere.
Forse sono davvero pronta?
‘Osserva il popolo malgascio, guarda fuori e vedrai la vita delle persone’. I miei occhi sono rimasti aperti e vigili in mezzo ai mercati, a scuola, nelle classi, sul taxibrousse e mentre lo aspettavamo (insieme ad un uomo con una gallina viva in mano che avrebbe poi fatto il viaggio insieme a noi). I miei occhi non hanno mai spesso di guardare.
Suor Marcelline, durante un viaggio in auto, mi ha domandato: ‘è un altro mondo Eleonora, vero?’
E io non posso far altro che pensare che sì, è un altro mondo. Forse si, forse è un altro mondo, e forse è anche tutto assurdo, ma chi lo ha deciso che chi è matto e folle non vive in modo felice?
È normale invece, per noi normali, vivere tanto di corsa da non volersi fermare nemmeno per mangiare insieme. Da non avere né voglia né tempo di aprire la porta quando qualcuno bussa proprio alla nostra.
Mi hanno detto: ‘ti sembrerà di essere andata per non fare niente… poi ciò che ti sembra niente, sarà meraviglioso.’
Il tempo lento, scambiarsi sorrisi senza parlare la stessa lingua, imparare a conoscersi mentre si mangia insieme e si lavano i piatti, salutare sorridendo con l’unica parola malgascia che conosci, guardare gli occhi dei bambini illuminarsi al “tutti giù per terra” del giro giro tondo, giocare a basket insieme. Forse, fare cose normali, forse non essere venuta per fare cose straordinarie, forse vivere la semplicità della vita e accorgersi dell’amore, è forse questo lo straordinario?
Provo a raccontarvi cosa mi è successo oggi di straordinario.
Dopo pranzo non sono andata a scuola e ho lavato per la prima volta, in un modo alquanto bizzarro, i miei vestiti.
Ho imparato oggi che Iaru, una bambina di 8 anni, viene nella casa delle suore il venerdì pomeriggio, perché la sua mamma fa alcuni lavori qui.
Si è avvicinata, ci siamo guardate e abbiamo sorriso.
Mentre provo a lavare, lei mi guarda e apre e chiude l’acqua della fontana per un numero spropositato di volte e per troppo tempo per così pochi vestiti.
Io sciacquo, lei apre. Io strizzo, lei chiude.
In silenzio.
Poi lava con me le bacinelle. Cerca insieme a me, girando più volte tutta la casa, lo stendino per il bucato. Mi passa i vestiti, si accorge che non li ho strizzati bene e allora li strizza lei.
Avrebbe potuto pensare: ‘questa qui a 27 anni non sa nemmeno strizzare i vestiti’, e forse lo ha pensato, ma ha sorriso tutto il tempo. Io anche.
Il nostro pomeriggio continua nell’orto, in cucina, in giardino a intrecciare fili d’erba che si trasformano in braccialetti, a disegnare su fogli bianchi.
Io e Iaru ci siamo scambiate 10 parole in un totale di quattro ore insieme, ma la sua mano non si è mai staccata dalla mia, e tutte le volte in cui ci siamo guardate, abbiamo sorriso, come a dirci: ‘poverette, non ci capiamo per niente, ma siamo felici comunque’.
Il mio cuore oggi ha giocato, non ha avuto paura, si è preso cura di Iaru e ha avuto la fortuna di essere toccato da manine piccole, sporche di terra e gentili.
Grazie a Iaru, ai bambini di tre anni della scuola di Alarobia, all’accoglienza delle Suore, e ai ragazzi del campetto di basket. Oggi il mio cuore è caldo, vivo, pieno e aperto.
Non si può essere pronti tutti i giorni per il Madagascar, ma in alcuni, come oggi, è possibile.