In allegato e cliccando qui la lettera (con foto) scritta in occasione della Pasqua da Gloria e Matteo
Qui di seguito il testo
Giovedì santo
Noi in Italia li chiamiamo barboni, senza tetto o, chi ha studiato un po’ di sociologia, li definisce “i senza fissa dimora”. Ma questo giovedì santo era “Il popolo della strada amato da Dio” che ha animato la Coena Domini. Un popolo variopinto, dalle infradito consumate e i talloni rovinati, con fame di cibo, di dignità e di Parola di Dio.
Canti sambati con testi di lotta, di riscatto, di Vita nuova. Cambiamo le parole mentre le leggiamo. Le rendiamo più vicine al vissuto dei presenti: “Un giorno nuovo arriverà, un cielo nuovo, una nuova terra, un nuovo mare. E in quel giorno, gli oppressi canterano ad una sola voce la libertà” .. Qualcuno propone di sostituire gli oppressi con “o povo da rua” (il popolo della strada). Sentire sulla pelle quelle parole, quella Speranza, quella Vita di Gesù..
Non ci sono letture ma racconti. Rimaniamo tutti in ascolto delle due signore che narrano le scene della Prima e della Seconda Lettura come se fossero storie di Rodari. E nell’omelia del sacerdote (che ha deciso di fare una semplice celebrazione invece della Messa) ci viene chiesto se condividiamo il nostro “marmitex” (porzione di cibo delle mense popolari) con gli altri in caso di scarsità. E il popolo della strada risponde che sì, molti condividono. E altri no. E il sacerdote replica che questo è il vero gesto dello spezzare e condividere il Pane.
E noi ci chiediamo: perché stiamo chiedendo a 50 persone vittime del nostro sistema di condividere la loro porzione di riso e fagioli tra loro e non chiediamo ai multimiliardari proprietari delle multinazionale di alcuni prodotti alimentari di smetterla di sfruttare, inquinare, depredare, deforestare per poter permettere una più equa ripartizione del cibo a livello mondiale? Perchè continuiamo a incolpare quelli che spacciano droga per poter pagare i pasti dei loro familiari e a riempire le carceri di questi giovani (in una prossima lettera vi racconteremo della nostra esperienza di pastorale carceraria)? Perché coloro che lucrano su tutto questo, che hanno bisogno che questo sistema si perpetui per mantenere le loro posizioni dominanti, sono spesso presentati come un modello da imitare e non come parte del problema?
Due bacinelle, una brocca d’acqua e un asciugamano. E’ la lavanda dei piedi. Non quella lavanda in cui il prete deve fare la parte di Gesù perché “la gerarchia della Chiesa vuole così: è stata istituita così perché illuminata da Dio” (citazione da un’altra celebrazione a cui abbiamo partecipato). Ma un gesto, una carezza affettuosa, come quella che Gesù fece ai suoi amici.
Qui chi vuole, si siede per farsi lavare i piedi o si inginocchia per lavarli o fa entrambe le cose. In libertà. Ascoltando nel suo cuore quello che più è significativo per lui/lei in quel momento. I piedi non sono belli puliti, come quando celebriamo nelle nostre comunità. Quei piedi hanno l’odore dell’asfalto caldo e della pioggia battente dei giorni scorsi, del cassonetto che fa da casa quando l’umidità notturna si fa più forte, degli escrementi dei cani con cui condividono “il baracco” dove alloggiano, della scarsità di acqua e di sapone.
E dopo quel lavaggio, stretti abbracci e parole di affetto sussurrate. Quanta Vita!
Ci sono due cameraman di una TV locale, probabilmente invitati da qualcuno per testimoniare questo momento o per poter dimostrare cosa si fa per queste persone. Ma il popolo della strada chiede di non essere fotografato in viso. Dignità. Sembrano volerci ricordare che è davvero popolo amato da Dio, non un fantoccio per avere dei Likes sui social o fare un servizio scaldacuore sulla TV locale.
La zona dove si trova la sede della pastorale di strada della diocesi di Belo Horizonte (e delle altre pastorali sociali) è proprio in centro alla megalopoli. Nelle vie adiacenti, il “povo da rua” è numeroso, organizzato in baracche di tela, con carrelli della spesa, materassi a terra, sotto i cavalcavia sempre pieni di auto.
E, in una diocesi in cui è ancora incomprensibilmente sconsigliato stringersi la mano durante la Messa per colpa del Covid-19, lo scambio della Pace è un abbraccio stretto, una vera “strizzata” che ti lascia sulla pelle e sulla maglietta quell’odore di esistenza così lontana dalla nostra.
Venerdì santo
Ci svegliamo che ancora è buio. Qui è un giorno di ferie dal lavoro a livello nazionale. Partiamo da casa di Dona S. a Ipê Amarelo. Lei è sveglia dalle 3 del mattino, seduta sul suo divano. Riesce solo a camminare dalla camera da letto, al bagno, al divano. Quando entriamo per preparare la prima stazione della Via Crucis nella sua casa, lei brilla di gioia per aver scelto la sua casa come luogo di inizio di questo momento di preghiera. Una Via Crucis itinerante per le vie del nostro bairro (quartiere) passando di fronte alle case delle persone malate o anziane. Tre ragazzine della comunità hanno preparato con cura delle “scene fisse” per rappresentare il percorso di Gesù. Sono concentrate, coinvolte, espressive.
Passiamo da una stazione all’altra recitando qualche Ave Maria e tentando accompagnare con canti conosciuti dalla gente, più o meno intonati. E’ un momento semplice ma sentito. Ad ogni stazione, ci fermiamo ad ascoltare la Parola di Dio, ad ammirare gli “altarini” preparati con statue di Nossa Senhora Aparecida, santi, crocifissi e rosari. A condividere l’emozione di alcune famiglie che si sentono visitate da quel Cristo Crocifisso. Appesa al portone delle case c’è una croce fatta da due legnetti intrecciati e una immagine di una via Crucis attualizzata con scene di un pittore latino americano che ci fa riflettere come la morte e la sofferenza di Gesù possano essere riconosciute nella sofferenza dei popoli dell’America del Sud a causa del colonialismo, dell’impoverimento, della fame, dell’analfabetismo, della disuguaglianza economica che ancora si oggi si perpetuano in questa parte di mondo. Ci ricorda che Gesù è uno di loro. Vittima al suo tempo di un sistema ingiusto, come il nostro attuale.
Le quattordici stazioni si concludono per le vie di Ipê Amarelo. Entrando in Chiesa ero pronta con il libretto in mano per fare una preghiera finale e invece ci troviamo di fronte alla Resurrezione. Rimango allibita e vorrei gridare che non ha senso, il giorno della Passione, ricordare la Resurrezione. Che dobbiamo restare nel dolore con Gesù, nella sua sofferenza. Ma forse il popolo di Ipê Amarelo vive tutti i giorni con questo dolore. Non ha bisogno di soffermarsi ad ascoltarlo a dargli un nome. Lo conosce già. Ne è esperto. E corre dritto alla Resurrezione.
Domenica di Pasqua
Una domenica di Pasqua senza Messa. E’ la celebrazione della Parola che ci accompagna a sentire il profumo della Resurrezione. E, al termine, una merenda condivisa per scambiarci gli auguri. Un bimbo, che frequenta spesso le celebrazioni della nostra piccola comunità, entra in Chiesa e Natan gli si avvicina e lo abbraccia: “Lui è mio amico”. Non conosce nemmeno il suo nome. Ma è un amico. Ci sembra un bel gesto di Resurrezione. In un libro che ci ha regalato Barbara, un’amica solierese, la Resurrezione è rappresentata così: con Gesù a braccia spalancate che abbraccia tutti e tutte.
Al pomeriggio concludiamo il Triduo pasquale come lo abbiamo iniziato: con il popolo della strada di Belo Horizonte.
Ci imbattiamo in ben 6 battesimi. Cinque bimbi figli di una coppia che vive in strada e il loro papà. La più grande avrà 7 anni. Sono tutti eleganti nei loro vestiti bianchi. e ognuno ha un padrino e una madrina che lo tiene in braccio. E’ una moltitudine di persone. Matteo suona la chitarra, Denis del CEBI (Centro de Estudos Bíblicos) canta e Edson ci delizia con il violino.
La celebrazione è pazzesca. Uno dei vescovi ausiliari dell’arcidiocesi di Belo Horizonte (che conta in totale 3,7 milioni di battezzati), presiede. Padre Joaquim conosce quelle persone di strada, le accarezza, le abbraccia. Conosce le storie dei bambini che andrà a battezzare di lì a poco. Accarezza una ragazza che non riesce a tenere gli occhi aperti e le sussurra “eravamo d’accordo che non ti saresti appisolata.. Dai, dai”..
Siamo nel Santuário Arquidiocesano Nossa Senhora da Conceição dos Pobres (Nostra Signora della Concezione dei Poveri) e lui ci ricorda che siamo tutti poveri. Il padre intende economicamente. Ma a noi risuonano le parole del vescovo Henry Coudray del Ciad “Siamo poveri gli uni degli altri”. Ed è proprio così. Poveri di relazioni, poveri di amicizie, poveri di incontri, poveri di affetti.
Questa povertà l’abbiamo sentita in questi ultimi 3 mesi. Non è facile entrare in una realtà apparentemente così simile alla nostra, ma nell’essenza profondamente differente. Non è facile farlo da soli, senza la presenza della nostra comunità del Centro Missionario Diocesano, senza la presenza della nostra comunità di San Pio, dei nostri parenti, dei nostri amici. In questi mesi abbiamo avuto momenti in cui ci siamo sentiti in un perenne venerdì santo, stanchi e accasciati aspettando un Simone di Cirene. Altre volte immersi in quel silenzio in attesa del sabato santo.
E concludiamo la nostra domenica di Pasqua con la merenda nel salone adiacente la chiesa. G. indossa un cappellino della Ferrari. Natan ha un modellino di una Ferrari 488 Pista con cui sta giocando. Andiamo a salutare G. e gli mostriamo cosa abbiamo in comune. Scambiamo due parole e riceviamo l’ennesima benedizione della giornata: “Che Dio vi benedica”. Natan non vede le differenze di classe tra noi. Inutile nasconderci dietro un dito: noi siamo i bianchi europei privilegiati. Ma allo sguardo di Natan, G. non è un uomo della strada, un senza fissa dimora, un uomo che lotta per sopravvivere, ma un “tato con il cappello della Ferrari che fa vrrrrmmm”.
Che questo sguardo nuovo, pieno di Luce e di Bellezza ci inondi e ci conceda di proseguire in questo tempo pasquale, rinnovati e con una nuova spinta.
Gloria Matteo Natan
«In verità vi dico: se non vi
convertirete e non diventerete
come i bambini, non entrerete
nel regno dei cieli.» (Mt 18,3)