Lettera di Davide dall’Ecuador

Nella sua ultima lettera pastorale, a proposito dell’annuncio del Vangelo, il vescovo Erio scrive che esistono due pericoli: quello dell’afonia, «quando un cristiano evita l’annuncio nel timore di urtare l’altro e perde cosí l’occasione di trasmettere il dono piú grande della sua vita» e quello dello strepitio, «quando un cristiano urla il Vangelo e lo vorrebbe imporre senza passare attraverso l’accoglienza e perde cosí l’occasione di testimoniare il volto misericordioso di Dio».
Rileggevo queste parole perché, ancora di più qui in servizio civile, nell’incrocio con le tante diversità dell’altro, ho trovato un contesto utile per interrogarmi sul come cercare quella giusta mediazione. Senza sorpresa mi sono peró ritrovato ad essere più che altro destinatario dell’annuncio, che in Amazzonia prende tante forme. E tutte passano per degli incontri.

Johman

L’ingresso, il cortile e il refettorio della Casa del migrante gestita dalla Caritas.

Secondo i dati del Ministerio de Relaciones Exteriores y Movilidad Humana dell’Ecuador, nel mese di aprile 2019 sono entrati qui, nella sola provincia di Sucumbios, quasi 6000 venezuelani. In tutto il 2017 il numero degli ingressi non era arrivato neanche a 1000. Questo incremento esponenziale degli arrivi è dovuto al peggioramento della crisi in Venezuela e al fatto che l’Ecuador si trovi nel mezzo della Ruta andina, quella rotta migratoria che venezuelani e colombiani seguono fino ad arrivare in Perù, Cile e Argentina, i principali paesi di destinazione.
Ad aprile la Caritas diocesana ha inaugurato la “Casa del Migrante Buen Samaritano”, da dedicare ad un’accoglienza temporanea di 3-5 giorni per una capienza massima di 45 persone. Una volta a settimana vado a dare una mano al serviziocivilista che lavora per la Caritas e che copre alcuni turni notturni alla casa. Tra il preparare una cena e una colazione, entriamo in relazione con gli ospiti: chi ci chiede informazioni geografiche («Dove mi trovo?»), chi un cellulare per mandare un messaggio whatsapp o fare una chiamata; i bambini hanno voglia di giocare e distrarsi, gli adulti di ritrovare momenti di tranquillità prima di ripartire.
Così, mentre diamo lezioni di italiano improvvisate ad una giovane mamma di 17 anni, ci capita di parlare con lei dei suoi sogni per il futuro. O di rimanere affascinati dalla determinaziona di una nonna di 58 anni, che nell’insegnarci tutti i trucchi per cucinare delle arepas perfette, ci parla dei suoi tre nipoti con cui è in viaggio da sola.
È sempre alla casa che conosciamo Johman, ragazzo colombiano di 25 anni, appena laureato in infermieristica. Viveva con sua madre e sua sorella a La Hormiga, vicina città della Colombia a mezz’ora di macchina dalla frontiera. Ci racconta di come sia ancora una zona martoriata dal conflitto: il vuoto lasciato delle FARC dopo il loro scioglimento formale è stato subito riempito da vecchi e nuovi gruppi armati, che lottano tra loro per il controllo dei campi di coca e che non rispondono a nessuna ideologia se non a quella del potere e del profitto.
Johman ha deciso di uscire dal paese perché si sentiva in pericolo: dopo che sua madre è stata uccisa, si erano messi a pedinare lui e sua sorella. È stato per qualche tempo a Quito, ma poi ha deciso di tornare in Colombia e trasferirsi nelle zone centrali del paese, dove la situazione è molto più tranquilla.

Andres

Laboratorio di degustazione del caffè con i membri delle associazioni di produttori interessate dal progetto.

A giugno l’intero staff Cefa Ecuador delle diverse regioni si é riunito a Lago Agrio per alcuni incontri di coordinamento del progetto. È stato importante per fare il punto della situazione, organizzare il lavoro per i prossimi mesi ed impostare l’azione in modo tale che sia la piú efficace ed efficiente possibile, per tutti i beneficiari del progetto.
Rende bene l’idea Andres Delgado, ex vice-ministro delle politiche agricole nel governo Correa, ora collaboratore di Cefa: «È stato stimato che per tirare fuori una ragazza dal giro della prostituzione qui a Lago servirebbero circa 20.000 dollari» ci dice alla fine di una riunione. «Questo dato ci carica ancora di piú una forte responsabilitá: quella dello spendere al meglio possibile le risorse economiche a nostra disposizione».

Maria Elsa

L’ingresso del carcere di Lago Agrio.

A detta di Elsa, è già diventata lei la mia “mamma ecuadoriana”. È la responsabile della pastorale penitenziaria e spesso alla domenica pomeriggio ci troviamo per andare ad animare la messa nei padiglioni di pre-libertà, minima e media sicurezza. E fare quella «esperienza prima di vicinanza agli ultimi», come me l’ha descritta.
Suo marito è appena tornato a casa da Guayaquil, seconda città più grande dell’Ecuador, dove ha scontato una pena di 4 anni per narcotraffico. È un uomo libero adesso e lui ed Elsa hanno tanta voglia di ricominciare, come famiglia.
Nei primi giorni di luglio un gruppo di detenuti ha iniziato una rivolta nel carcere per protestate contro le condizioni di vita. Con i suoi 1300 occupanti per meno di 600 posti effettivi, le condizioni del carcere di Lago continuano ad essere dure.
La rivolta è stata sedata in breve tempo e porterà inevitabilmente a diverse restrizioni sulle attività formative e lavorative che venivano portate avanti per cercare di fare quello su cui ogni istituto penitenziario dovrebbe focalizzarsi: riabilitare, oltre che detenere.

Sandi Yacu

Il viaggio in canoa a motore sul fiume Putumayo tra Ecuador e Colombia.

«Speriamo che non sia la prima e ultima volta che venite, abbiamo bisogno di celebrare la messa e ricevere i sacramenti». Ce lo dice nel salutarci Vilma, una delle donne di Sandi Yacu, comunità kitchua ad un’ora e mezza di canoa dal primo piccolo centro abitato, a sua volta a 5 ore di macchina (meglio usare un fuoristrada) da Lago Agrio.
Una periferia nella periferia della periferia. Ed è il vescovo Celmo di Sucumbíos, con cui siamo andati a celebrare le cresime, a ricordare durante il viaggio che «È proprio dalle periferie che nascono le idee più importanti, quelle che rinnovano. Perché è dalle periferie che si notano le necessità più urgenti, del popolo così come della Chiesa».
Molte di queste idee sono state raccolte nell’Instrumentum Laboris, un ricchissimo documento frutto di un lungo processo di preparazione e di coinvolgimento di laici e religiosi di tutte le regioni panamazzoniche dell’America Latina.

La concentrazione di foresta amazzonica in percentuale per i vari paesi della regione.

L’Instrumentum Laboris sarà la base da cui partiranno i lavori del Sinodo per l’Amazzonia di questo ottobre, voluto da Papa Francesco. E in quel saluto Vilma anticipa uno dei tanti punti contenuti nel documento che saranno discussi dai vescovi della panamazzonia a Roma:
«Affermando che il celibato è un dono per la Chiesa, si chiede che, per le zone più remote della regione, si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i Sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana.» (Da Instrumentum Laboris n. 129)

Un momento dell’incontro organizzato in diocesi di confronto e raccolta proposte per il Sinodo

Ma l’ordinazione sacerdotale di uomini sposati è solo uno dei tanti stimoli di un documento che guarda al concetto di ecologia integrale così come già trattato nell’enciclica Laudato si’. E che tocca tanti temi, sviluppando e sviscerando il “volto amazzonico” di una Chiesa impegnata ad assumere un ruolo attivo e a costruire risposte: dal concetto di “Buen vivir” al dialogo; dalla migrazione all’urbanizzazione; dalla famiglia alla salute e all’educazione; dalla corruzione alla giustizia. Il tutto passando per inculturazione, interculturalità, liturgia indigena. E ambiente. Come scrive Papa Francesco nella Laudato si’:
«È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra di loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale.» (Da Laudato Si’ n. 139)

Oltre alle formule riassuntive del «Tutto è in relazione» e «Tutto è connesso», l’ecologia integrale è stata infatti descritta come quell’approccio a tutti i sistemi complessi la cui comprensione richiede di mettere in primo piano la relazione delle singole parti tra loro e con il tutto.
Quella tracciata nell’Instrumentum Laboris è una Chiesa che passa dall’alleanza con la cultura dominante e il potere politico ed economico alla promozione delle culture, dei diritti degli indigeni, dei poveri e del territorio. Una Chiesa che ad esempio prenda posizioni forti a livello istituzionale contro la distruzione causata dalle multinazionali dell’estrazione mineraria e petrolifera, che colpisce tra le tante la comunità di Sandi Yacu.

Pakarachu (grazie in kitchua) per essere arrivati fino a qui con la lettura, alla prossima!
Davide