Carissimi compagni di cammino,
buon ottobre missionario! Trovandomi in una terra di missione mi sembrava lecito mandarvi due parole anche dalla Guinea-Bissau, un paese che viene spesso dimenticato, a causa delle sue piccole dimensioni. Un paese così piccolo ma così pieno di persone, e tutte bellissime. Non importa l’etnia di appartenenza ormai si sono mischiate tutte, lasciando che la genetica facesse meraviglie. Da qualche mese, in mezzo a tutta questa bellezza, sono capitata anche io, che mi trovo in una terra di missione, sì, ma a lavorare con una “missione” diversa da quelle di cui noi parliamo di solito.
Sto facendo un tirocinio all’interno della missione di pace delle Nazioni Unite. Mi trovo un po’ in difficoltà a parlarne, è ovvio, ma tanto qui si suda talmente tanto, che uno sforzo in più lo posso anche fare. Per tante volte abbiamo sentito parlare dell’ONU in modo negativo, la storia ne è testimone. Tante volte l’ONU è stato considerato quell’organizzazione internazionale “farsa”, tante belle parole scritte su quelle dichiarazioni per mantenere la pace e rispettare i diritti di tutti e poi? E poi c’è ancora la guerra in Siria, nessuno interviene nello Yemen, migliaia di migranti sono schiavi in Libia e troppi ancora muoiono senza che nessuno ci faccia troppo caso nel Sud del Mondo.
Io come al solito ho voluto curiosare dall’interno, e provare a capire cosa può fare l’ONU attraverso una missione di pace, più precisamente dall’Ufficio Diritti Umani. A Bissau l’obiettivo è proprio quello di mantenere la pace. La missione è infatti stata aperta alla fine della guerra civile del 1998-99. Non tra etnie o religioni, tutti i credo convivono pacificamente. Il problema più grande del paese? L’instabilità politica. Ogni tanto mi scappa da ridere quando parlo con qualche guineense, abbiamo appena visto cadere l’ennesimo governo italiano… Il problema è che il paese è senza un governo dal 2014. I governi tecnici che si sono susseguiti in quattro anni non hanno lavorato per il popolo, ognuno si è fatto il proprio interesse. Finalmente sono state indette nuove elezioni legislative (10 marzo) e il nuovo esecutivo può lavorare, ma ha bisogno anche del Presidente della nazione, che aspettiamo venga eletto tramite ulteriori elezioni il prossimo 24 novembre.
Quindi, la domanda si ripete: il problema più grande del paese? Basti pensare ai sistemi statali fondamentali: Educazione e Salute. La prima, spero anche noi ci rendiamo conto sempre più, è vitale, fondamentale quasi quanto la salute, soprattutto in un paese in cui la classe politica fa i suoi interessi. Lo scorso anno scolastico è stato dichiarato nullo, causa troppi scioperi degli insegnanti, che hanno finito per compromettere il minimo numero dei giorni indispensabile per un calendario scolastico. Gli insegnanti dopotutto scioperano perchè non si vedono pagare uno stipendio da circa un anno! Le uniche scuole che funzionano sono quelle private, e tante famiglie si ritrovano a fare grandi sacrifici o piccoli miracoli per assicurare un futuro ai loro figli.
Ho conosciuto Ramatu, una ragazza bellissima, che a vent’anni deve ancora finire la maturità. Ramatu vive con sua sorella in una casetta di argilla e tetto di amianto in un quartiere poverissimo della città, ma almeno può andare a scuola. Sua madre e le due sorelle più piccole invece stanno fuori dalla città, dove coltivano il loro campo e guadagnano quello che serve per far studiare le due sorelle più grandi. Ci siamo scambiate il numero di telefono e lei mi chiama quasi ogni sera perché è preoccupata per me, che sono finita in questo mondo così lontano da casa mia. Quando parlo con Ramatu o quando incontro qualche altra ragazza in parrocchia che ha voglia di essere mia amica (ah, bè, ovviamente non perché io sia simpatica, ma solo perché sono bianca!) intessiamo dialoghi che riempiono a poco a poco il senso di questa mia missione, seppur diversa. È allora che queste due parole con cui lavoro tutto il giorno, “diritti” e “umani” prendono vita, e cessano di viaggiare nell’etere, come succede quando ne parliamo in un mondo comodo come il nostro.
In verità a volte mi sento molto inutile in ufficio, a studiare dati e a scrivere report su una situazione pratica che qualcuno ha già analizzato al mio posto. Dopotutto io sono solo l’ultima tirocinante della missione composta da colleghi internazionali e guineensi. Possiamo avere mille motivi per essere qui, ma sicuramente una cosa è condivisa da tutti: la Guinea-Bissau deve farcela da sola, i politici devono imparare a lavorare per la cosa pubblica, e mantenere la pace. Ecco, allora che con loro il mio lavoro ha senso, quando a forza di pressare il ministero della giustizia vengono migliorate le condizioni nelle carceri, quando si chiede agli insegnanti di non scioperare nel loro interesse ma di far iniziare e dare continuità a questo anno scolastico, quando si arriva fino all’ultima più sperduta tabanka (villaggio) per cercare di censire la popolazione votante. E poi, anche questa missione non è sola, ci sono altre ONG sul territorio che si occupano a piccoli passi di spingere verso la crescita questo paese nella Top10 dei peggiori indici di sviluppo umano. Non per ultimi, ci sono anche le Suore Francescane Missionarie con il loro ambulatorio (che mi hanno ospitato la mia prima settimana in Africa), i padri missionari del PIME che mi hanno accolto nella loro parrocchia con la loro scuola, le “madrase”, scuole coraniche, che offrono corsi di indirizzamento al lavoro, … insomma, sembra proprio che questo sia un terreno pronto a far crescere il grano buono!
Il punto è che quando vuoi che il tuo lavoro si componga di “diritti” e di “esseri umani”, quando scegli costantemente il dialogo col diverso in svariate lingue incomprensibili (in questo caso, in creolo), quando il desiderio è così forte da lasciare le fresche Dolomiti o la comoda Modena per la Guinea-Bissau, allora l’unica soluzione è partire, “e non voltarsi indietro”, come diceva Lele Ramin. Partire per un viaggio che si compie fuori e dentro di me. Partire per cercare di realizzare un sogno che è importante avere, come ascoltavo da Papa Francesco nella veglia della GMG a Cracovia, per non invecchiare troppo presto, per aver voglia di cambiare le cose. Un sogno che va costantemente migliorato e definito. Un sogno che non si lascia fermare dalla mancanza di acqua e luce, tutto nella norma in Guinea-Bissau. Un sogno che inizia a realizzarsi solo se usciamo da noi stessi e dal nostro individualismo, parola che non esiste nel mondo in cui mi ritrovo. Un sogno che inizia a realizzarsi grazie agli incontri che facciamo, perché é necessario sognare insieme, e camminare insieme e costruire insieme.
Allora, per questo speciale ottobre missionario, vi auguro di essere testimoni di un incontro, un incontro degno del sogno che volete realizzare, che possa avvenire ogni giorno, o con Dio o con un nostro fratello.
Non riesco a fare a meno di lasciarvi con una testimonianza viva di un incontro che porta un sogno denso di cambiamento, che mi ispira profondamente. Queste sono alcune delle bellissime parole che Mimmo Lucano disse “prigioniero” (passatemi il termine) di Milano, il 30.10.2018: […] Siamo testimoni di un tempo che sembra insistere sulla disumanizzazione della società. Non è vero che dobbiamo assistere in maniera passiva e accettare che questa società ci porti verso le barbarie, verso la disumanizzazione. Noi vogliamo solo il rispetto dei diritti umani, della dignità degli esseri umani. La cosa più sconvolgente è che non c’è bisogno di nulla di particolare per fare quello che è stato fatto a Riace. L’accoglienza è un incontro con un altro essere umano come te e io credo che ognuno debba essere fiero quando incontra un’altra persona, senza avere pregiudizi o secondi fini. Quando succede il contrario, quando l’incontro diventa un problema o suscita paura, allora probabilmente c’è un disturbo del comportamento, si ha paura di sé stessi. Vi pare una cosa normale disprezzare gli esseri umani? Provare odio per il colore della pelle? […] Rincorriamo il sogno di una società che magari non realizzeremo mai. Però questo sogno ci serve per continuare a camminare, per rincorrerlo. E nel rincorrerlo ci sono le cose che ti danno spinta, coraggio. Non sono vere le storie di invasione, di emergenza che vengono raccontate. L’emergenza c’è, ma dentro di noi! Perché non abbiamo più la capacità di sentire, stiamo perdendo la sensibilità umana. E la vera emergenza è quando il cuore diventa arido, quando le persone ci danno fastidio, è la fine della società. Ma un’altra umanità è possibile. Se Riace esiste, possono esistere altre Riace in tutto il mondo.
Atè jà. Erica