Condividere la sete di Dio
Con la Quaresima iniziamo un cammino che ci porterá, il venerdí santo, a incontrarci con un Dio assetato, trafitto e ferito: “Ho sete”, esclama Gesú sulla croce (Gv 19,28). Quaresima, dunque, è un cammino che ci porta a sentire e a condividere la sete di Dio.
Poi, la Domenica di Pasqua, ci incontreremo con un Dio risorto che porta ancora i segni dei chiodi (Gv 20, 19-30).
La Bellezza ferita
Che il Dio del Vangelo sia un Dio trafitto non è frutto di una sfortunata casualitá. La Bellezza di Gesú è una bellezza ferita: tanto il Crocifisso come il Risorto è ferito. Perché in un mondo disumanizzato, dominato dalla violenza e dalla “globalizzazione dell’indifferenza”, la Bellezza puó esistere solo come bellezza ferita. Come diceva Herbert Mc Cabe, “se tu non ami non sarai mai vivo; ma se ami davvero, ti crocifiggeranno”.
Come afferma Byung-Chul Han, “l’attuale società della positività limita sempre più la negatività della ferita, e ciò vale anche nell’amore. Evitiamo di impegnarci seriamente perché ciò potrebbe metterci nella condizione di essere feriti. Ma in realtá non è possibile vedere in profondità se non ci si espone alle ferite. Il vedere presuppone la vulnerabilità”.
Oggigiorno spesso una ferita decreta la fine di una relazione perché non siamo capaci di entrare nelle nostre e nelle altrui vulnerabilitá. Di fronte a questa labilitá, Gesú continua a sognare un amore forte che ci vincoli a Lui in maniera indissolubile. Come afferma Henry Nowen, “il Dio della Bibbia è un Dio assetato d’amore, un Dio incompreso… Il nostro Dio è un amante, un amante ferito. Questo è il mistero di Cristo: un amante ferito che anela ad essere amato e ad annunciare l’amore”.
Riscoprire nella vulnerabilitá una nuova solidarietá
Il Dio crocifisso non è un Dio sicuro che vive in un’area protetta, ma è un Dio vulnerabile, soggetto alle ferite come ognuno di noi, un Dio che ha voluto condividere fino in fondo la nostra fragilitá. Questa Quaresima, che in alcune zone d’Italia si celebra in ‘quarantena’ a causa del coronavirus, ci rende pienamente coscienti della nostra vulnerabilitá in un mondo in cui non ci sono ‘zone sicure’ ma tutti siamo esposti alle conseguenze dei cambiamenti climatici, della diffusione di virus, etc. Da questa posizione possiamo vedere e capire meglio la situazione di coloro che questa vulnerabilitá la vivono da sempre, ogni giorno. E proprio a partire da questa oggettiva fragilità che ci coinvolge tutti, siamo chiamati a costruire dal basso una nuova globalizzazione della solidarietà, della compassione e della speranza.
Reincontrarci con il Dio del Vangelo
Oggi molte persone, sia ‘credenti’ che non-credenti, di fatto sono devote di un Dio che non crede piú nella bellezza dell’essere umano e che ci invita a pensare solo a noi stessi e alle nostre famiglie. E’ un Dio imperiale che ci invita ad adorare il denaro e i nostri interessi immediati, e a rigettare tutti coloro che apparentemente ostacolano questi interessi: poveri, senzatetto, immigrati, stranieri, etc. Il problema è che, spesso, noi ci rivolgiamo a questa divinitá pagana chiamandola Dio, chiamandolo Gesú. Quaresima, dunque, è un cammino di purificazione per re-incontrarci con il Dio del Vangelo, abbandonando l’idolo che in tanti casi l’ha sostituito.
Non c’è nulla di nuovo in questo, è accaduto tante volte nel passato. “Fabbrichiamoci un dio che vada davanti a noi” (Es 32,1), dissero gli ebrei nel deserto quando costruirono il vitello d’oro. La tentazione di costruirci un dio a nostra immagine e somiglianza è sempre presente. E attenzione: questi ebrei non si consideravano seguaci di un altro dio: per loro il vitello d’oro non era un dio pagano contrapposto a Yahvé, ma era Yahvé, la loro visione distorta di Yahvé: “Questo è il tuo Dio, Israele, che ci ha liberato dall’Egitto”, proclama solennemente il sacerdote Aronne davanti al vitello (Es 32,4). Per questo nell’Antico Testamento ricorre spesso il tema del tornare al vero Dio:“Fammi tornare, e io ritorneró, perché Tu sei il Signore mio Dio. Sí, mi sono allontanato, ma poi mi sono pentito…” (Ger 31,18).
Fammi tornare! Come dire: mi piacerebbe tornare a incontrarmi con il vero Dio, ma io da solo non ce la faccio: ho bisogno che Tu, Dio, mi aiuti a tornare. E quando sente la voce di suo figlio che esprime il desiderio di incontrarlo, il Padre è vinto dalla commozione, non riesce a credere alla sue orecchie: “Ma… sei proprio tu, Efraín, il mio figlio prediletto, la mia gioia? Ogni volta che ti riprendo in realtá sei piú vivo che mai nel mio cuore; le mie viscere si commuovono per te e io sono vinto dalla tenerezza” (Ger 31,20).
Sbattezzarci?
In certi ambienti va di moda la pratica dello ‘sbattezzarsi’ dando fuoco al proprio certificato di battesimo. Ma che bisogno c’è di questo? A me sembra che la nostra società è già sbattezzata da Gesù, dal suo messaggio, dalla sua incomparabile bellezza, dai suoi sogni. Battezzato significa ‘immerso’. Noi corriamo il richio di essere completamente sconnessi da Gesù, mentre di fatto siamo battezzati – cioè immersi – nel Dio pagano che spesso orienta le nostre vite. Individualismo, egoismo, indifferenza o odio verso il povero: è difficile immaginare una società più sbattezzata da Gesù, più lontana da Gesù di questa. Una società in cui ti impediscono di dare un panino a un povero: ma neanche nel peggior film dell’orrore si era arrivati a tanto! Se dunque vogliamo compiere un atto veramente rivoluzionario, sbattezziamoci dal Dio imperiale, indifferente e xenofobo che oggi condiziona il sentire e l’agire di tanta gente. Di fronte a questo dio sì dovremmo praticare un ateismo militante.
La fede in Gesú
“Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me!” (Gv 14,1). Aver fede in Gesú è il centro del messaggio evangelico. Ma a cosa si riferisce Gesú quando ci dice ‘La tua fede ti ha salvato’?
Prima di tutto, quando parla di fede, Gesú non si riferisce ai riti del Tempio o alle norme della tradizione religiosa: fede è la forza e l’energia che sentiamo quando ci affidiamo a Gesú, quando facciamo nostro il suo modo di pensare e di sentire.
Il teologo José Maria Castillo afferma che “secondo Gesú, la fede in Dio la viviamo nelle aspirazioni piú nobili di ogni essere umano”. Pensiamo, ad esempio, al centurione, che “aveva uno schiavo che amava molto, e che era molto ammalato, sul punto di morire” (Lc 7,2). Questo soldato romano affida la salute del suo servo a Gesú: “Basta che tu dica una parola e il mio servo guarirá” (Lc 7,7). E in questo modo suscita l’ammirazione del Nazzareno: “In tutto Israele non ho trovato una fede cosí grande” (Lc 7,9). Questo centurione pagano non aveva ‘fede’ nel senso strettamente religioso del termine, cioè non aderiva ai ‘dogmi’, alle leggi e ai riti del giudaismo, ma ha fede nella parola di Gesú, e la parola – in quella societá – rifletteva il modo di essere della persona. In altre parole, questo soldato pagano ha fede nell’umanitá e nella bellezza di Gesú. A sua volta Gesú percepisce e apprezza la bontá del centurione, la sua sensibilitá umana che non sopporta di vedere l’amico soffrire. E il centurione ha fede che Gesú non rimarrá indifferente di fronte a tutto ció.
In un altro passo del Vangelo, Mt 15,24-28, una cananea chiede a Gesú che liberi sua figlia da un demonio. Questa pagana non frequentava il Tempio e certamente non conosceva tutti i complicati meccanismi della Legge giudaica. E dunque, quando Gesú elogia la sua fede – “Donna, quant’è grande la tua fede!” – non si riferisce ai ‘dogmi’ del giudaismo. In realtá la cananea nutre un affetto grandissimo per sua figlia: soffre indicibilmente di fronte al suo dolore e ha fiducia nella sensibilitá umana di Gesú, percepisce che Gesú non rimane indifferente di fronte alla sofferenza dei suoi fratelli e sorelle. Ancora una volta, dunque, non si tratta di fede nei dogmi ma di fede nella Bellezza di Gesú.
“Tornate a me, con tutto il cuore!”, grida Dio (Gl 2,12). Dio vuole che torniamo a riscoprire la Bellezza della nostra umanitá, quella ‘ricchezza’ che Lui ha inciso nel nostro DNA. Questa, dunque, sará la nostra penitenza quaresimale: coltivare la Bellezza e approfondire la nostra sensibilitá umana, soprattutto verso coloro che la societá emargina e disprezza, facendo nostri i sentimenti di Gesú (Flp 2,5).
‘Gli occhi del Cile’
Anche se i giornali non ne parlano piú, in tutti questi mesi sono continuate le manifestazioni di protesta in Cile, e l’esercito ha risposto con una violenza inaudita che, tra le altre cose, ha lasciato circa 400 persone con lesioni permanenti agli occhi.
Gustavo Gatica studia psicologia, ama la fotografia e la musica. Ha 22 anni. Come tanti altri giovani è uscito in strada lo scorso 8 novembre a marciare contro il presidente Piñera. Mentre fotografava quello che succedeva, le pallottole a salve dei Carabineros lo hanno colpito agli occhi. Sul momento ha perso la vista dell’occhio sinistro ma dopo alcune settimane ha perso anche la vista dell’occhio destro. L’uso arbitrario della forza lo ha lasciato completamente cieco.
Fabiola Campilla, 27 anni, stava andando al suo turno notturno di lavoro quando il suo volto fu colpito da una bomba lacrimogena. Il giorno dopo aveva perso completamente la vista.
“Los ojos de Chile”, “Gli occhi del Cile”, è una iniziativa di solidarietá che mira ad aiutare economicamente le vittime di lesioni oculari. Hanno voluto togliere gli occhi a molti giovani, impedire che essi possano continuare a vedere e a denunciare l’ingiustizia.
Il minimo che possiamo fare è tenere gli occhi aperti su quanto sta succedendo in Cile, perché questi crimini non si ripetano piú. Il commissario Onu per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, ha affermato che “il numero altissimo di persone con lesioni agli occhi dimostra che le armi meno letali sono state utilizzate in maniera violenta e indicriminata, in contraddizione con i principi internazionali”.
Anche la Commisione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) ha denunciato l’uso sproporzionato della forza contro la popolazione: varie persone sono state uccise (non si sa quante), centinaia hanno perso gli occhi, e molte altre sono state torturate. Secondo il CIDH c’è un urgente bisogno di superare le leggi fasciste che risalgono all’epoca Pinochet e garantire il diritto alla protesta pacifica, creando spazi democratici di partecipazione, senza i quali non puó esistere una vera democrazia.
Ridare dignità alla politica
Dopo le manifestazioni che si sono svolte anche in Colombia il presidente Duque ha invitato le parti sociali a un Dialogo nazionale. Il sindacato CTG ha chiesto l’implementazione di una politica economica che diminuisca il gap tra ricchi e poveri e garantisca un buon impiego ai giovani. In risposta, il presidente colombiano ha affermato che queste richieste vanno al di lá delle sue competenze e dei suoi poteri. Praticamente, la politica riconosce che non ha piú gli strumenti per promuovere la giustizia sociale. Ma sará proprio cosí?
Si tratta di una sfida a livello mondiale, non solo sudamericano: ridare potere alla politica, aiutando lo Stato a recuperare un ruolo centrale nella riduzione delle disuguaglianze. Ricordiamoci che negli anni del dopoguerra, fra il 1945 e il 1975, il ruolo centrale dello Stato era una cosa che si dava per scontata nelle democrazie occidentali. Poi è venuto il vento dell’estremismo neoliberale, che ha demonizzato qualsiasi intervento statale, eccezion fatta per quei provvedimenti che hanno salvato le banche, praticamente usando i nostri soldi per coprire buchi causati da corruzione e ruberie.
Per noi che siamo suoi discepoli, la Bellezza e l’Umanitá di Gesú sono fonte di ispirazione anche nell’ambito politico-sociale. In questa Quaresima, dunque, Gesú ci invita a lottare anche per una politica ed una economia umana, che garantisca vita, libertá e dignitá a tutti i suoi figli.
Buon cammino quaresimale!
fratel Alberto Degan