È passato tanto tempo, forse troppo, dalla nostra ultima lettera, ma il tempo stringe e cerchiamo di vivere in maniera piena queste settimane che ci separano dal nostro rientro. In questi mesi di “silenzio” abbiamo vissuto la Pasqua, abbiamo ricevuto tante visite grazie alle quali siamo riusciti a visitare luoghi a noi ancora sconosciuti, abbiamo incontrato e visitato nuove realtà sia lontane che vicine e riscoperto ogni volta il piacere di tornare a casa, qui, ad Ampasimanjeva.
Gli argomenti di cui parlare sono sempre tanti e spesso sembrano troppo banali per essere scritti e raccontati, quindi abbiamo deciso di farci guidare da un versetto del vangelo di Luca 17, 10:
“Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quando dovevamo fare.”
In questa frase ritroviamo molto il senso dell’essere missionari, del nostro stare qui in Madagascar, del modo in cui ci siamo messi in relazione con questa terra: servi inutili. Non vogliamo sminuire questi due anni, anzi, vorremmo provare, davanti a queste due semplici parole, a dar loro una nuova luce. Spesso ci è capito di sentirci inutili, Manu in menuiserie ha sempre ammesso di non saper fare le cose, e questa mattina si è ritrovato a riempire sacchi di trucioli per occupare il tempo. Ma anche alla Terri in kine (fisoterapia) sono capitate occasioni nelle quali ha pensato che il suo lavoro fosse inutile. Ci viene in mente il piccolo Patrick ricoverato in ospedale per una crisi di palu grave ovvero un attacco forte di malaria che purtroppo nei bambini colpisce spesso il cervello lasciando gravi danni. È venuto in kine per tenere le articolazioni in movimento nella speranza che la sua mente non dimenticasse i movimenti che un bambino di 3 anni ha già imparato. Purtroppo i miglioramenti non si vedevano e ci si chiedeva che senso avesse continuare con la fisioterapia. Eppure tutti i giorni lui e la sua mamma venivano in kine e stavamo insieme almeno una mezzoretta parlando dei piccoli progressi che faceva col cibo anche se i medici non gli davano troppe speranze e dopo quasi un mese purtroppo è morto. A volte ci troviamo a compiere gesti che sembrano inutili per noi e per il nostro modo di vedere il mondo, ragionando sempre pensando ad ottenere risultati, ma che in quel momento, mentre li compiamo, sono la cosa giusta da fare e ci portano ad un incontro che comunque ci rimarrà impresso nel cuore.
Un altro momento di questi mesi che ci ha colpito parecchio è stata la messa in carcere a Manakara. Anche questo un dono inaspettato perché ci trovavamo per caso lì quando don Luca ci ha proposto di andare con lui e con i ragazzi di RTM. Per noi è stata un’occasione da cogliere al volo perché era una realtà che non avevamo ancora visto ma che ci interessava conoscere un po’. Abbiamo visto dove stanno le donne, di cui alcune con i figli, e abbiamo scambiato qualche parola con loro. Poi ci siamo spostati nello spiazzo riservato agli uomini, molto piccolo se rapportato al numero di persone che contiene. Non possiamo negarlo, l’impatto è stato forte, ma era la prima domenica dopo Pasqua e il Vangelo raccontava di quando Gesù entrò a porte chiuse dagli apostoli portando loro la pace, la sua pace. Non so se vi genera stupore tanto quanto ne ha suscitato in noi, forse bastava solo guardare il calendario prima, ma ci è sembrato che la pace almeno durante le due ore della messa fosse entrata in quel luogo. Vedere questi uomini cantare abbracciati il canto della pace e ballare insieme il canto di ringraziamento in quel piccolo cortile, insomma, ci ha fatto ringraziare il Signore per un momento che mai ci saremmo aspettati così, intenso, commovente.
Ritornando ad Ampa e alla nostra quotidianità, di recente ci siamo trovati stupiti di noi stessi. Abbiamo realizzato di come ci siamo abituati, nel senso buono della parola, ad essere invitati a casa delle persone per fare due chiacchiere, o ad andare noi direttamente a salutare qualcuno perché magari durante la giornata non c’era stata l’occasione di incrociarsi sotto i portici dei blocchi dell’ospedale. Due persone in particolare vorremmo citare: una è Marselia e l’altra è maman’i Manaitra (letteralmente la mamma di Manaitra, qui ci si chiama così, coi nomi dei figli, e spesso capita di non sapere quale sia il vero nome).
La Marsia, o come la chiama la Toky “Maaa-rsa”, è la cuoca di casa, ma per noi è sempre stata molto di più. Un’amica. Forse non sembra una cosa speciale, ma non è affatto scontato. Vive anche lei in ospedale come molti dipendenti e spesso la sera capita di ritrovarci sulla veranda di casa sua, o ultimamente proprio dentro casa visto il buio pesto che scendo presto, per fare due chiacchiere e portarle in visita nostra figlia, che va matta di lei. La Toky è talmente abituata ad entrare in casa sua che sa già dove andare a cercare banane e arance e qualche sera fa, dopo che da sola era stata a casa sua il pomeriggio, l’abbiamo trovata sdraiata sul letto tra lei e suo marito che giocavano e ridevano tutti e tre insieme. Si vogliono proprio tanto bene.
La maman’i Manaitra è la moglie di Haja (un infermiere che lavora dagli Adulti) che per occupare il tempo la mattina si sveglia all’alba per cucinare i mofobaoly più buoni di tutto il Madagascar e allestire un banchetto vicino casa dove venderli insieme ad un pane di banane e i classici tè o caffè. Non ci è voluto molto perché la Toky scoprisse la bontà di quelle piccole palle di pane fritte che si trovano lungo la strada che ci porta dalla camera all’asilo. Così ora, tutte le mattine, la vestiamo e la prepariamo per uscire, ma non appena passiamo davanti al banchetto ci fermiamo e lei rimane lì con la maman’i Manaitra il tempo necessario per finire uno, due, a volte addirittura tre mofobaoly per poi essere portate all’asilo da lei. In alcune occasioni ci ha chiesto di poterla tenere con lei tutta la mattina e quando ci capita di incrociarla mentre andiamo al mercato è ben felice di offrirsi di tenerla un’oretta in casa loro a giocare col figlio, grande amico della Toky.
È straordinario per noi vedere come la nostra piccola famiglia si stia trovando bene qui, compresa la piccola peste. Mai, alla partenza, ci saremmo aspettati di arrivare fino a questo punto, così “inseriti”, con delle splendide relazioni e la cosa che ci piace ricordare sempre è di come non abbiamo scelto noi questo posto, ma ci è stato donato dalle persone a cui ci siamo affidati.
Manu, Terri, Toky