Buon Natale da fratel Alberto Degan

(in allegato anche il pdf della lettera con le foto)

Una situazione di estrema vulnerabilitá

Il 25 dicembre celebriamo la gioia della nascita del Bambino e ci auguriamo reciprocamente “Buon Natale!”. Il giorno dopo, 26 dicembre, ricordiamo la morte violenta di santo Stefano. In questo modo la liturgia ci suggerisce che la gioia cui ci chiama Dio la notte di Natale non ha nulla di ingenuo e non cancella il male presente nel mondo: è una gioia che per essere realizzata richiede il nostro impegno, la nostra disponibilità a lottare e soffrire. ”Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo”, gridano gli angeli a Betlemme, usando il verbo al futuro. La gioia é qui in mezzo a noi, adesso, ma poi noi siamo chiamati ad accoglierla. In questo senso, la venuta di Cristo non comporta automaticamente la nostra pace. Cristo sarà la nostra gioia nella misura in cui lo sapremo accogliere. Gli albergatori che hanno rifiutato Maria, ad esempio, hanno visto passare la Gioia e la Pace davanti alla loro porta e non se ne sono neanche accorti.

Non dovrebbe, dunque, apparire strano se nei ritiri che abbiamo organizzato in questo tempo di Avvento la nostra gente ha sottolineato le paure e le difficoltá che stanno vivendo. “La nostra situazione di estrema fragilitá economica ci rende vulnerabili”, ha detto Carlos durante l’Assemblea dei Missionari Afro che si é svolta nei giorni scorsi. “La nostra dignitá é a rischio”.

Abbiamo esaminato la situazione economica, sociale e spirituale del Popolo afroecuatoriano. Nei quartieri violenti della cittá, i bambini giocano a sparare e a fare i narcos. La violenza aumenta ovunque, e per i bambini questa rischia di essere la ‘normalitá’. Alcuni giovani si lasciano attrarre dal ‘guadagno facile’ assicurato dal traffico di droga e si mettono su cattivi sentieri.

Molti si sentono impotenti e umiliati di fronte a questa situazione, e indignati di fronte alla sostanziale indifferenza della classe dirigente.

Uno sguardo d’amore

Leggendo con i Missionari Afro il primo capitolo di Luca, ci siamo accorti che la narrazione del Natale inizia con una sguardo d’amore che Dio rivolge a due donne umiliate.

Elisabetta, anziana, si sentiva umiliata per la sua sterilitá. Le donne sterili erano considerate del tutto inutili per il mantenimento della societá, e spesso erano abbandonate dal marito. Una legge romana, Lex Julia et Papia, le escludeva dal testamento familiare. Ma adesso Dio volge il suo sguardo su Elisabetta, che esclama: “Ecco ciò che ha fatto per me il Signore nei giorni in cui ha volto lo sguardo per togliere la mia umiliazione tra gli uomini” (Lc 1,25). Lo sguardo di Dio elimina l’umiliazione delle donne sterili. Il Signore interviene per abolire la discriminazione e l’esclusione di tante persone emarginate e scartate. Il sogno di Dio é che sia annullato ogni tipo di emarginazione.

Anche Maria ringrazia Dio per il suo sguardo: “Ha volto il suo sguardo sull’umiliazione della sua schiava” (Lc 1,48). Probabilmente Maria si sente umiliata come donna povera di un popolo oppresso. Nel Magnificat Maria mostra di essere pienamente cosciente delle ingiustizie sociali del suo tempo e dell’oppressione che soffriva il suo popolo. Ed é convinta che Dio cambierá questa situazione: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,52-53). Dio innalza gli umiliati, pone fine alla loro emarginazione.

Dio é molto sensibile all’umiliazione che soffrono tanti suoi figli, e rivolge loro uno sguardo d’affetto che cambia la loro vita. E’ una cosa che sperimentiamo tutti: quando un essere caro ci rivolge un sorriso o uno sguardo d’amore la nostra giornata e la nostra vita si illumina di speranza e di gratitudine.

E’ fondamentale, per un cristiano, sentire sempre questo sguardo d’amore su di sé. E’ solo questo sguardo di Dio che ci permette di accogliere la Gioia, e di sentire la presenza di questa Gioia e di questo Amore pur in mezzo a tante difficoltá.

Maria ed Elisabetta si incontrano e si raccontano. Come dice una teologa sudamericana, “é a partire da queste due persone emarginate e discriminate che comincia a realizzarsi una nuova storia di partecipazione, di rovesciamento dei valori nell’ambito familiare e sociale, di restaurazione della dignità di tutte le persone affamate di pane, di giustizia e di felicità” (Ivoni Richter Reimer).

Quando, con i Missionari Afro, ho parlato dell’umiliazione di Maria ed Elisabetta, molte donne, anche giovani, si sono identificate con loro, perché per molte donne nere l’umiliazione é un’esperienza quotidiana: sul lavoro, e a volte nella famiglia di fronte a un marito ubriaco e violento. Molte di loro lavorano duro, ma quello che guadagnano non é sufficiente a garantire il pane quotidiano per i figli. “Per chi non entra nel sistema non c’é pane, non ci sono diritti”, dice il papa. Dobbiamo combattere questa mentalitá che considera normale la disuguaglianza e l’esclusione di tanta gente. Dio valorizza queste persone umiliate e scorge in loro un tesoro inestimabile.

I timori dei giovani e dei bambini

Nel ritiro con i giovani afro abbiamo letto il brano di Luca che ho citato nella mia precedente lettera:“Vi saranno segni nel sole.. mentre gli uomini moriranno per la paura e l’attesa di ció che dovrá accadere sulla Terra…” (Lc 21, 25-27). E ci siamo chiesti: quali sono le principali paure dei giovani neri oggi? A ciascuno abbiamo dato un biglietto per rispondere, e il 90% ha scritto che il suo principale timore é quello di perdere una persona cara. Questo mi ha fatto capire, ancora una volta, come la violenza e la morte siano una presenza costante nella vita di questi giovani, e come, in mezzo a tutto questo, la famiglia rimane l’unico appoggio, l’unico rifugio sicuro, in un mondo sentito spesso come ostile e pericoloso.

E questo non vale solo per i giovani. In un incontro per la novena di Natale, quando abbiamo chiesto ai bambini di ringraziare il Signore, il 70% di loro ha ringraziato Dio “perché i loro genitori sono ancora vivi”, segno che tanto nel cuore dei giovani come in quello dei bimbi il timore della morte dei propri cari é sempre vivo.

In particolare, Reina, diciottenne, ha perso la mamma 7 anni fa, e lo zio materno, Jonathan, alcuni mesi fa. Il papá non si é mai preso cura di lei. Le é rimasta la nonna, la signora Catalina. “Spesso mi sento abbandonata da Dio”, ha detto. Ma la cosa bella é che Reina da un po’ di tempo sta assistendo con regolaritá alle nostre riunioni, e io prego Gesú che questo spazio la possa aiutare a ritrovare speranza, e cosí, tutti insieme, sapremo accogliere la Gioia che viene.

Custodire la Tenda

In questo contesto, cosa significa augurare ‘Buon Natale’? Riprendo un’’idea che avevo espresso in un lettera di dieci anni fa. A Natale celebriamo un Dio che si ostina a piantare la sua Tenda in mezzo a questa giungla post-umana. “Venne fra i suoi … E pose la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1,11-14). Grazie, Signore, perché Tu non ti arrendi mai! Grazie, perché non ti stanchi mai di cercare uno spazio in cui accamparti. Certo, questa Tenda spaventa i potenti. E così Erode vuole uccidere il bambino, non vuole che Dio riesca ad accamparsi sul Pianeta Terra, perché sa che se questa Tenda entra nella Storia i potenti – e i loro piani di morte – saranno rovesciati.

Oggi questa è una sfida più attuale che mai: anche oggi c’è chi vorrebbe far sparire la Tenda di Dio – il suo progetto di giustizia e fraternitá – dalla Storia. E anche oggi, come allora, l’Umanitá si salverà solo se ci saranno dei ‘giusti’ disposti a custodire questa Tenda, come fece Giuseppe, che fuggì in Egitto con Gesù per proteggerlo dalla furia omicida dei potenti.

Assumiamo con gioia e responsabilità questo impegno! Perché il destino di questa Tenda è intimamente legato al destino dell’umanità. Augurare Buon Natale, dunque, significa augurare che l’uomo e la donna di oggi siano ancora capaci di lottare per permettere a Dio di accamparsi in mezzo a noi. Che Dio ci aiuti a piantare questa Tenda in tutti gli ambiti della nostra vita, e a proteggerla: nelle nostre relazioni interpersonali, nella nostra famiglia, nella nostra comunità, nelle nostre strutture politiche ed economiche, nel nostro legame con l’ambiente, nei rapporti internazionali e interculturali.
BUON NATALE!
fratel Alberto