Quando circa tre anni fa ho conosciuto il Vescovo di São Gabriel da Cachoeira ho chiesto se potevo fare una esperienza missionaria nella sua Diocesi. Al Vescovo di Gioiás dove lavoravo da 18 anni, questa idea non è piaciuta per niente: non ha potuto negare la richiesta, ma mi ha suggerito, prima, di provare: “vai per un mese, se ce la farai ne discuteremo!”. E io, testardo, l’ho preso in parola: ho passato 15 giorni ospitato nella Diocesi amazzonica e gli altri nella parrocchia di Pari Cachoeira proprio ai confini con la Colombia a un giorno e mezzo di lancia (barca) dal centro diocesi. Là ho visitato comunità lungo i fiumi Tichié e Castagno, sono riuscito a perdere due chili di peso in una settimana, ma mi sono innamorato di questa nuova realtà. Sono qui in São Gabriel nell’estremo nord-ovest del Brasile da un anno e mezzo e ancora sto cercando di inserirmi e di adattarmi. La situazione è completamente diversa da quella del Goiás. Siamo nel mezzo di una foresta amazzonica praticamente preservata con il 95% della popolazione che è india. Sono 23 tribù diverse che parlano oltre al portoghese 18 altre lingue di cui 3 più importanti: Nheengatú, Tucano, Baniwa.
Siamo a 1000 Km circa da Manaus, capitale della Amazzonia e si arriva qui solo con la barca o l’aereo. Il problema qui è dato dalle distanze: la Diocesi di São Gabriel è grande quasi come l’Italia con circa 60.000 abitanti di cui due terzi vivono nelle 3 città più importanti: São Gabriel, Santa Isabel e Barcelos.
La caratteristica più importante della missione è data dalla “itineranza”, cioè la visita alle comunità lungo i fiumi. Qui è tutto un’avventura: si parte con una lancia guidata da una persona pratica del luogo e si rimane fuori anche per più di una settimana senza telefono, internet e immersi nella natura.
Le comunità, che si incontrano sono super accoglienti: ci accolgono all’arrivo e sono pronte a condividere con noi tutto quello che hanno. La cosa che colpisce per primo è il “rituale” che si usa per i pasti: i primi a servirsi sono gli ospiti, poi gli uomini e infine le donne e i bambini. Questa abitudine è abbastanza imbarazzante, ma non c’è verso di cambiarlo!
Le figure principali di una comunità sono il capitano e il catechista. Il capitano è eletto dalla comunità per un tempo determinato e la dirige: prende le decisioni più importanti come la compra di materiali, la gestione del generatore di energia della comunità, il lavoro comune a favore di tutto il villaggio.
Il catechista aiuta la comunità nella preghiera giornaliera e nel culto domenicale, visto che il sacerdote e la messa possono essere celebrate solo durante le itineranze che si realizzano “alcune volte” all’anno.
Quando si arriva in una comunità è bellissimo ammirare l’entusiasmo delle persone, la gioia dei bimbi che sono i primi a correre e a circondarti stringendoti la mano e chiedendo la benedizione. Ma la situazione che si incontra è spesso molto precaria! Gli uomini vivono di caccia e pesca, le donne hanno un piccolo appezzamento di terreno rubato alla foresta dove coltivano mandioca, peperoncino e alberi da frutto, soprattutto banane e papaia. Il “di più” è comprato in città con contributi del governo come la “bolsa família” che obbligano gli indios a file chilometriche e attese stressanti sotto il sole.
Anche la scuola è quello che è: nelle comunità con più di 10 famiglie i bimbi possono frequentare fino al nono anno. In quelle più grandi ci sono anche i 3 anni delle superiori, ma i professori sono pochi, mal pagati e, soprattutto, ogni scusa è buona per non avere scuola: sono più i giorni senza lezioni che quelli dove si insegna.
Quando noi arriviamo veniamo accolti con festa: la comunità si raduna per offrirci qualcosa da mangiare: può essere un banchetto o un poco di acqua con farina di mandioca, tutto dipende da quello che hanno! Poi ci sono le confessioni e la messa come momento centrale. C’è quasi sempre tempo, durante il giorno per giocare con i bimbi e adolescenti e fare un po’ di formazione religiosa e umana a giovani ed adulti. Alla fine, dopo cena, visto che abbiamo con noi anche un piccolo generatore di energia, rimane tempo di vedere un film prima di appendere le nostre amache sotto la tettoia che ci è offerta e dormire. Nelle notti senza nuvole il cielo è incredibile: le stelle per la quantità e lucentezza lasciano a bocca aperta, e io spesso sono tentato di rimanere minuti e minuti con il naso all’insù a rimirarle ringraziando il Signore per questo spettacolo!
Sembra di vivere in un altro mondo, dove non c’è quasi niente di superfluo, ma non manca l’essenziale: la speranza, il sorriso sulla bocca dei bambini e la allegria di vivere, lavorare e di affrontare le difficoltà assieme.
don Maurizio Setti
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